PROFESSIONE E PARI OPPORTUNITA’ DIECI ANNI DI ATTIVITA’ DEL CPO DALLA NASCITA AD OGGI: OBIETTIVI, RISULTATI ED ESPERIENZE GUARDANDO AL FUTURO.

L’avv. Giulietta Bergamaschi partecipa alla tavola rotonda, organizzata presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano, per celebrare i 10 anni del Comitato Pari Opportunità.
2 Dicembre 2016 – Ore 9,30 – 13,00

PROFESSIONE E PARI OPPORTUNITA’
DIECI ANNI DI ATTIVITA’ DEL CPO DALLA NASCITA AD OGGI: OBIETTIVI, RISULTATI ED ESPERIENZE GUARDANDO AL FUTURO

Saluti di benvenuto:
Avv. Remo Danovi, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano
Introduce e modera:
Avv. Tatiana Biagioni, Presidente CPO Milano

Ore 10,00 – TAVOLA ROTONDA
Dieci anni di attività: sfide, conquiste e progetti
Avv. Giulietta Bergamaschi, Avv. Francesca Cunteri, Avv. Giovanna Fantini, Avv. Ilaria Li Vigni, Avv. Alberto Longo, Avv. Claudia Shammah

Ore 11,00 – Interventi:
Le pari opportunità a Milano
Dott.ssa Daria Colombo, Delegata alle Pari Opportunità del Comune di Milano
Le pari opportunità e la magistratura
Dott.ssa Paola Ortolan, Magistrato Tribunale di Milano, Presidente Comitato Pari Opportunità presso il Consiglio Giudiziario
Il lavoro, l’imprenditoria, le professioni e le donne: qualche numero
Dott.ssa Valeria Negri, Direttore Centro Studi Assolombarda
Le professioniste: occupazione, reddito e posizionamento. La fotografia degli studi legali associati. Rimedi e azioni positive
Avv. Barbara de Muro, Presidente ASLAwomen
Ore 12,00 – Saluti e aperitivo

Evento gratuito, organizzato dall’Ordine attraverso la Fondazione Forense, nell’ambito del programma di formazione continua per gli Avvocati.
La partecipazione all’evento, di formazione continua specialistica, consente l’attribuzione di n. 3 crediti formativi di cui 2 in materia obbligatoria. Le iscrizioni, devono essere effettuate dall’area web FormaSFERA (http://albosfera.sferabit.com/coamilano) accessibile dal sito internet www.ordineavvocatimilano.it area Formazione Continua.

 

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Diversity: una ricchezza per le organizzazioni.

Zeta Service, società che si occupa di amministrazione del personale in outsourcing, sviluppo del capitale umano e di consulenza del lavoro, ha organizzato per il 29 novembre 2016 un incontro dal titolo: Diversity, una ricchezza per le organizzazioni.
L’incontro vede, tra gli altri, la partecipazione dell’avv. Giulietta Bergamaschi sul tema dell’inclusione LGBT nel mondo del lavoro anche alla luce dell’entrata in vigore della legge Cirinnà.
Il programma è il seguente:

  • hr. 9,30 Registrazione
  • hr, 10.00 Presentazione di Zeta Service a cura di Claudio Genualdo
  • hr. 10.15 Presentazione di Parks a cura di Igor Suran
  • hr. 10.30 L’inclusione delle persone LGBT nel mondo del lavoro. Obblighi, valore e opportunità

Cosa deve fare il datore di lavoro in seguito all’approvazione della legge Cirinnà?
A cura di  Giulietta Bergamaschi – Studio Legale Lexellent e Ilaria Agazzi – Consulente del Lavoro Lumina

  • hr. 11.30 La mappa delle differenze in azienda

Cosa hanno messo in campo le realtà più innovative per accrescere performance, business e competenze sulla mappa della diversity.
A cura di Marcella Chiesi e Alessia Canfarini – Eleva

Per ulteriori informazioni http://zetaservice.com/diversity/
 

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La carta dei valori della genitorialità in azienda.

Durante il IV convegno sulle Pari Opportunità organizzato dallo Studio, si è parlato di quali fossero i valori più significativi e imprescindibili per le aziende che consentono ai lavoratori di conciliare vita privata e lavorativa. Lexellent ne ha presentati nove, basandosi anche sui risultati emersi dalla ricerca commissionata ad IPSOS sui dipendenti delle PMI, e ha invitato i partecipanti al convegno ad integrare l’elenco.

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Chi desidera sottoscrivere la Carta dei Valori o completare l’ultima pagina con un proprio contributo, clicchi sul tasto sottostante:

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I suoi suggerimenti verranno integrati in questa pagina senza menzione del nome o dell’azienda.

 

Per chi invece desiderasse contribuire e condividere attraverso i social:
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Lexellent è lo studio dell’anno nella categoria Lavoro – Contenzioso, ai Top Legal Awards 2016.

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La X edizione dei Top Legal Awards vede lo studio Lexellent tra le eccellenze del settore legale, la boutique milanese si è aggiudicata il riconoscimento quale migliore studio dell’anno nella categoria Lavoro – Contenzioso, in una rosa che comprendeva sia boutique specializzate che più importanti studi interdisciplinari. Lexellent ha vinto l’ambito premio con la seguente motivazione: “Ha creato, per conto del proprio cliente Ryanair, un importante precedente giudiziale di rilevanza europea in un caso contro l’Inps. Si tratta della prima pronuncia della Corte Superiore in tema di regime previdenziale applicabile a una compagnia aerea straniera.”
Lo studio ha fatto dottrina, dal punto di vista legale, portando una corte superiore a pronunciarsi sull’applicabilità dei regolamenti europei che disciplinano il coordinamento tra i sistemi di previdenza sociale negli Stati membri. Questa, in sintesi, la scelta della commissione tecnica che, in qualità di Giuria, ha decretato i vincitori all’interno delle varie categorie dei Top Legal Awards 2016. Top Legal è una delle testate di riferimento nel mercato legale italiano capace di individuare le eccellenze nel settore e spesso di anticiparne le tendenze.
L’avv. Sergio Barozzi, managing partner dello studio, commenta così: “Il contenzioso previdenziale che interessa la compagnia aerea è di rilevanza nazionale ed europea e potrebbe avere risvolti anche sulle pronunce della Corte di Giustizia. L’expertise che lo studio ha sviluppato in materia previdenziale ci ha dato l’opportunità di approfondire un settore di nicchia nel mondo del diritto del lavoro, come quello del contenzioso con gli Enti di previdenza e assistenza, consentendoci di sostenere le società anche da questo delicato punto di vista”.
L’Avv. Sofia Bargellini, Senior Associate che gestisce in particolare le tematiche previdenziali dello Studio, commenta “Il riconoscimento di Top Legal è per tutto il Team motivo di stimolo e di nuovo impegno per il futuro a favore dei nostri clienti, ai quali garantiamo non soltanto l’eccellenza sul piano nazionale, ma anche grande attenzione a quello che accade a livello europeo”.
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I RIPOSI COSIDDETTI “PER ALLATTAMENTO”.

Il Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità
(D.lgs. n. 151/2001) vieta espressamente – conformemente a quanto disposto
dal Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.lgs. n. 198/2006)
– qualsiasi discriminazione per ragioni connesse allo stato di maternità o paternità,
anche adottive, e all’esercizio dei relativi diritti (art. 3).
Nel quadro di tale divieto, il datore di lavoro, durante il primo anno di vita
del bambino, deve consentire alle lavoratrici madri che ne facciano richiesta
di poter usufruire nel corso della giornata lavorativa di due periodi di riposo
di un’ora ciascuno, anche cumulabili, ovvero di uno solo nel caso in cui l’orario
giornaliero di lavoro sia inferiore a sei ore, riducibili a mezz’ora quando la
lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea istituiti dal datore
di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa. In tali casi
la lavoratrice avrà il diritto di uscire dall’azienda e non perderà il proprio trattamento
economico, dovendo i periodi di cui trattasi essere considerati ore
lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro (art. 39).
Analoghi diritti il datore di lavoro deve riconoscere al padre lavoratore che ne
faccia richiesta: nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; in alternativa
alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; nel caso in cui la
madre non sia lavoratrice dipendente; e in caso di morte o di grave infermità della madre (art. 40)
Il T.U. prevede espressamente che: in caso di parto plurimo, i periodi di
riposo siano raddoppiati e che le ore aggiuntive rispetto a quelle concesse alla
madre possano essere utilizzate anche dal padre (art. 41); non possa esservi
cumulabilità della fruizione di tali permessi con la fruizione oraria del congedo
parentale, salva diversa previsione della contrattazione collettiva, anche di
livello aziendale (art. 32 come modificato dal D.lgs. n. 80/2015; cfr. messaggio
INPS n. 6704/2015); fino al compimento del terzo anno di vita del bambino
con handicap in situazione di gravità, e in alternativa al prolungamento del
periodo di congedo parentale, si applichi l’art. 33, co. 2, L. 104/1992 relativo alle
due ore di riposo giornaliero retribuito (art. 42); in caso di adozione e di affidamento
le disposizioni in materia di riposi si applichino entro il primo anno
dall’ingresso del minore nella famiglia (art. 45 come modificato dal D.lgs. n.
119/2011 dopo C. Cost. n. 104/2003).
Sul punto, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella risposta ad
Interpello n. 23/2015 ha avuto modo di chiarire che «il diritto di fruire dei riposi
in questione ha natura di diritto potestativo, inteso quest’ultimo quale situazione
giuridica soggettiva consistente nell’attribuzione di un potere alla lavoratrice
madre cui corrisponde dal lato del datore una posizione giuridica passiva di soggezione
e non di obbligo; il datore deve, infatti, consentire alla madre la fruizione
dei permessi qualora la stessa presenti esplicita richiesta. Nello specifico, a differenza
di quanto avviene nell’ipotesi di astensione obbligatoria per maternità, la
lavoratrice madre può scegliere se esercitare o meno il proprio diritto, fruendo dei
summenzionati riposi» (da leggersi, alle condizioni date, anche con riferimento
al padre).
In caso di violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi di cui alla
normativa sopra richiamata, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria
da 516 a 2.582 euro (art. 46).

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Se la domanda è sempre: figli o carriera?

Il lavoro condiziona la nostra vita e incide su decisioni così delicate e personali come quella di avere figli. “Figli o carriera?”, è una domanda silenziosa, implicita, che aleggia in tanti ambienti di lavoro e che spesso impedisce, a chi non ha una rete familiare o risorse economiche adeguate, di fare entrambe le cose.
«Ho rinunciato ai figli per fare carriera», è una frase che ho sentito ripetere spesso. Sia da uomini, sia da donne. Oggi però una ricerca condotta da Ipsos e promossa dallo studio legale Lexellent svela le dimensioni di questo fenomeno.
La motivazione lavorativa – a guardare i risultati del sondaggio condotto su un campione di mille persone – sembra essere infatti, per il 63% degli intervistati, la ragione principale per la quale gli italiani e le italiane non fanno figli.
E tuttavia il 76% di loro assicura che i figli li avrebbero fatti se l’azienda per cui lavorano avesse messo in atto politiche di conciliazione vita-lavoro valide. Il 66% degli intervistati ha, invece, dichiarato che ne avrebbe voluti di più se le condizioni lavorative ed economiche lo avessero permesso.
La ricerca svela un mondo del lavoro nel quale diventare genitori viene ancora interpretato come un ostacolo alla carriera, e dove i servizi per conciliare lavoro e famiglia mancano o non sono conosciuti dai lavoratori e dalle lavoratrici.
Ma che cosa vorrebbero i lavoratori per vivere meglio il loro essere mamme e papà sul posto di lavoro? Il 54% dei genitori ha chiesto la possibilità di lavorare da casa, mentre il 52% vorrebbe avere maggior flessibilità negli orari di lavoro.
Dal sondaggio emerge inoltre la percezione che il welfare non sia ancora visto dalle aziende come una leva per far aumentare il benessere e quindi la produttività dei lavoratori, ma solo come un onere in più. Cambiare la prospettiva è una sfida che riguarda tutte le aziende perché, come ha spiegato Giulietta Bergamaschi, partner di Lexellent: «Una politica di conciliazione tra vita e lavoro dei dipendenti è l’unico sistema per attirare e trattenere i migliori talenti e per avere in azienda un clima positivo che favorisca un aumento di produttività».

Diversity Management: oneri, opportunità e strumenti per le organizzazioni aziendali.

Vi raccontiamo come è andato il convegno di ESTE Edizioni dedicato al tema dell’inclusione e della gestione della diversità nelle aziende.

Martedì 15 novembre si è tenuto il convegno interdisciplinare Diversity Management, organizzato dalla casa editrice ESTE e dedicato al tema dell’inclusione e della gestione delle diversità all’interno delle organizzazioni aziendali private e pubbliche. L’agenda è stata ricca di opportunità di approfondimento e di riflessioni. Di seguito vi riportiamo i principali punti trattati durante la giornata dagli oratori, che hanno analizzato, da un punto di vista teorico e applicativo, il tema delle differenze di genere, di cultura, di orientamento sessuale e di età.

Il quadro teorico
Un inquadramento teorico del contesto e della situazione entro cui possono prendere l’avvio le pratiche aziendali di inclusione organizzativa, delle tendenze e tensioni nei nuovi scenari demografici e sociali e degli effetti e degli ostacoli delle pratiche della diversità all’interno delle organizzazioni sono stati discussi da Chiara Saraceno, Honorary Fellow del Collegio Carlo Alberto dell’Università di Torino, e da Camilla Gaiaschi, collaboratrice del nostro Laboratorio e ricercatrice del Centro GENDERS dell’Università degli Studi di Milano.
Dalla riflessione sui cambiamenti sociali italiani – l’entrata massiccia della donne nel mercato del lavoro, il progressivo invecchiamento della popolazione, l’avvento di nuovi modelli familiari e l’internazionalizzazione della forza lavoro – è risultato chiaro quanto occorrano progetti volti a promuovere servizi all’infanzia a tempo pieno e interventi per la non autosufficienza, per promuovere l’aumento dell’occupazione femminile, e una migliore organizzazione degli spazi e un maggiore ricorso agli strumenti tecnologici, per favorire una più agevole partecipazione al mondo del lavoro da parte delle persone con disabilità.
Sono stati posti in luce anche aspetti interessanti, risultati dalla revisione della letteratura (Moss Kanter, 1977; Valiant, 1998) e dagli esperimenti di psicologia comportamentale, che hanno mostrato la presenza di distorsioni nella valutazione (bias) e framework cognitivi, anche inconsci, sui generi che portano a valutazioni deformate delle competenze e delle performance. I risultati valutati fin ora non sono dirimenti: l’analisi delle politiche di pari opportunità e gestione delle diversità – che possono perseguire obiettivi di giustizia sociale o business driven e vengono disegnate secondo i tre fattori money, services e time ha evidenziato aumento della lealtà dei lavoratori (Williams et al., 2000) e riduzione del conflitto sul luogo di lavoro (Crompton, 2006), ma anche impatti negativi sull’avanzamento nelle carriere (Houston e Waumsley, 2003) e sul benessere fisico (Lyness, 2012).
L’aspetto normativo
Il punto di vista giuslavoristico è stato invece sviscerato da Giulietta Bergamaschi, partner e socio fondatore dello Studio Legale Lexellent.
Come avvio della discussione sono state presentate le direttive europee del 2000 – implementate in Italia a partire dal 2003, con i decreti legislativi 215 e 216 sulla parità di trattamento di razze, religioni, handicap e orientamento sessuale – e gli obiettivi della Commissione europea di promozione dell’uguaglianza di genere dal punto di vista dell’indipendenza economica, della retribuzione a parità di lavoro svolto e della partecipazione alle decisioni – obiettivi perseguiti tra il 2010 e 2015 e poi riconfermati per il quinquennio successivo -. Per capire a che punto siamo in Italia, dopo l’introduzione della parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati (legge 120/2011) è stata utilizzata l’indagine della Commissione europea nel periodo tra il 1° e il 30 aprile 2016 – di cui riportiamo di seguito qualche valore della effettiva presenza femminile italiana ai vertici aziendali, esemplificativo dello scarto con la media europea.
 
Figura 1 – Presenza fenniminile ai vertici aziendali (% donne)

Presidente CdA Membri CdA          CEO Dirigenti
EU28 7% 23% 3% 15%
Italia 11% 30% 0% 9%

Fonte: nostra elaborazione su dati Commissione UE presentati durante il convegno
Per quanto riguarda poi il tema LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans), è stata analizzata la legge 76/2016 ed è stato portato l’esempio del CCNL Federculture, che rinnovato il 12 maggio 2016, prima dell’approvazione della legge, già era stato integrato con ‘unione civile’ e ‘ogni parte dell’unione civile’ ove viene fatto riferimento a ‘matrimonio’ e ‘coniuge’.
Specificatamente sulla tematica della disabilità – argomento regolato in Lombardia dalla legge regionale 13/2003, le cui previsioni hanno consentito di avviare all’attività lavorativa 3795 individui nel 2014 –Simone Scerri, psicologo sociale e collaboratore del Centro Studi e Ricerche di Psicologia della comunicazione dell’Università Cattolica di Milano, ha infine presentato gli obblighi di legge e le opportunità (una esposizione esaustiva è disponibile qui).

L’approccio aziendale e gli strumenti per le imprese

L’analisi del contesto di riferimento socio culturale e della normazione sul tema ha dunque ben mostrato le possibilità e le sfide che si aprono per le imprese e difatti gran parte della giornata di lavori è stata dedicata alla presentazione delle esperienze operative e sul campo.
Alcuni progetti aziendali sono stati riportati da Sonia Anelli, Trade Marketing and Omnichannel Senior Manager di SBD, Procter & Gamble, Serena Apicella, Hr Director di Peroni, Camilla Buttà, Business Development Manager di Vector, Doriana De Benedectis – Hr Diversity Engagement Partner di IBM Italy, Marina Fantini, Senior Marketing Manager Italy & Iberia di Linkedin Talent Solutions, Patrizia Mezzadra, HR Management and Development Specialist presso Deutsche Bank.
Il punto di vista sindacale e statale è stato poi rappresentato da Luis Lageder, presidente di Anolf Lombardia di Cisl – che offre, tra l’altro, un completo servizio di assistenza legale ed amministrativa ai migranti – e da Carolina Pellegrini, Consigliera di Parità di Regione Lombardia.
Gli strumenti offerti dalle agenzie di consulenza, e cui le imprese possono utilmente giovarsi, sono stati invece illustrati da Roberto Degli Esposti, Managing Partner di Performant by Scoa, Rosanna Gallo, Amministratrice Unica di Eu-tròpia, Rita Muci, Owner and Partner di Before, Luisa Pogliana, Presidente dell’Associazione Donnesenzaguscio, Igor Suran, Executive Director di Parks, liberi e uguali e Riccarda Zezza, Ceo di Maam.
Qualche caso paradigmatico
Visto l’elevato numero di contributi presentati – tutti di rilievo e forieri di spunti – ne abbiamo selezionati alcuni rappresentativi per darvi un’idea di quali siano le buone pratiche esportabili in altri contesti.
Il caso IBM, presenta un buon esempio di attenzione al tema delle differenze – al 1914 risale l’assunzione delle prima persona disabile e al 1953 la pima policy scritta sulle pari opportunità -. Qui è interessante soprattutto il progetto NERD Non E’ Roba per Donne – volto ad incrementare il numero di laureate in materie scientifiche e tecniche (l’area STEM Science, Technology, Engineering and Mathematics) e rimuovere così uno stereotipo – che prevede la presentazione nelle scuole degli strumenti per generare un’app e la creazione di un contest il cui premio consiste nell’accesso per tre giorni in azienda per avere un’idea delle opportunità di lavoro in ambito informatico. Un lavoro sui pregiudizi femminili di questo tipo è stato svolto da Linkedin Talent Solutions che, dopo un’azione di due anni sul proprio organico, ha portato l’incidenza femminile nel personale dal 39 per cento al 42 per cento, in ambito STEM dal 17 per cento al 20 per cento e con funzioni leader dal 25 per cento al 35 per cento. Come le tecnologie possano proficuamente essere utilizzate per promuovere l’integrazione tra i dipendenti e una cultura aziendale inclusiva è ben dimostrato dall’esperienza di Deutsche Bank, dove tramite intranet aziendali e gruppi facebook, viene assicurato un calendario di iniziative, promosse e svolte anche dai dipendenti stessi, come coffee connect (con incontri coi top manager durante la pausa caffè di gruppi di dipendenti per promuoverne la visibilità e l’avanzamento), book lunch (dove autori o colleghi presentano libri sui temi delle diversità), tavoli in lingua straniera, corsi di lingua dei segni o di pratiche di prevenzione della salute.
Questi progetti restituiscono una visione degli interventi di inclusione delle diversità ‘riservati a pubblici alti e situazioni di nicchia’, come evidenziato dalla consigliera di parità Carolina Pellegriniche ha accesso ad un osservatorio diffuso sulle piccole realtà aziendali, dove risulta contenuta la consapevolezza delle aziende sul tema, soprattutto per quanto riguarda l’argomento LGTB, che è una differenza invisibile e dunque sommersa. A questa triste situazione, confermata dai dati dell’ultimo Rapporto biennale di Regione Lombardia, sono emersi tuttavia degli elementi di soluzione.
Un’interessante alternativa ai progetti sequenziali e dedicati si è dimostrata infatti la proposta di un programma integrato di gestione delle differenze – che affronta tutti gli aspetti della diversità contemporaneamente e promuove così una sinergia tra i progetti – proposto da Before.
Per promuove specificatamente la sensibilizzazione alle strategie e pratiche rispettose delle diversità di orientamento sessuale e identità di genere, l’associazione senza scopo di lucro Parks Liberi e Uguali ha invece realizzato l’LGBT Index – uno strumento per misurare lo sviluppo di iniziative inclusive -.
Vi sono poi in effetti anche casi di PMI, come Vector, dove non vi sono assunzioni obbligatorie ma la presenza di persone con disabilità è la conseguenza delle capacità dimostrate; dove è stata anticipata la legge Cirinnà e i congedi matrimoniali, i permessi retribuiti ai coniugi e i congedi per figli sono assicurati anche ai conviventi di fatto e ai figli non biologici; dove sono organizzati sessioni di sensibilizzazione con associazioni come l’Agedo (Associazione di Genitore, parenti e amici di persone LGBT) e laboratori – come l’aperitivo in sedia a rotelle per far sperimentare ai normodotati le concrete difficoltà nella vita quotidiana -.

Alcune conclusioni

Questo convegno è stato dunque un utile momento di promozione della consapevolezza del tema della diversità e di capitalizzazione delle esperienze. I relatori hanno fatto ben emergere che occorrono delle politiche di intervento e che le politiche non sono neutre – ma dipendono dai target e dalla cultura organizzativa che le implementa – e che per funzionare devono essere precedute da una analisi dei fabbisogni, opportunamente comunicate e compatibili con la cultura dell’organizzazione consente di orientare gli interventi operativi in modo più efficace.
Progetti, come quelli organizzati da ESTE, di informazione sulle previsioni normative e di presentazione di dati che ne dimostrano l’efficacia a promuovere e realizzare l’inclusione, contribuiscono a generare un cambiamento culturale che assicuri un ruolo ed una pari dignità sociale indipendentemente da specifiche caratteristiche individuali. Soprattutto diffondere le buone pratiche aziendali e le percezioni degli attori concretamente coinvolti – imprese, sindacati e consulenti che hanno un punto di vista privilegiato sui comportamenti di manager e dipendenti – permette di confermare come un cambiamento culturale su temi che in Italia hanno ancora poca visibilità sia in effetti possibile.
Riferimenti
La pagina del convegno sul sito di ESTE

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Legge Cirinnà: i cambiamenti in arrivo in azienda. Stessi diritti anche sul lavoro.

Immaginate di esservi sposarvi e di non poter partire per il viaggio di nozze. No, non vi siete ammalati e non avete nemmeno deciso di posticipare la luna di miele. Non potete partire perché il vostro datore di lavoro non riconosce il vostro matrimonio e quindi nemmeno il diritto al permesso retribuito di quindici giorni.
Questo era quello che avveniva fino allo scorso 25 febbraio. Fino a quando il Parlamento, dopo mesi di proteste e di scontri, è riuscito ad approvare la legge Cirinnà. Pochi lo sanno ma la norma, conosciuta soprattutto per aver legalizzato le unioni civili nel nostro Paese, ha introdotto anche nuovi diritti per i lavoratori lgbt.
La legge prevede, infatti, una serie di obblighi per i datori di lavoro nei confronti dei dipendenti lgbt uniti civilmente. A queste nuove coppie, finalmente legittime, spettano ora quei diritti – garantiti dalla legislazione sul lavoro e dalla contrattazione collettiva – prima riservati solo ai lavoratori e alle lavoratrici sposate.
A spiegare quali sono le conseguenze per i datori di lavoro, ci hanno pensato le avvocate Giulietta Bergamaschi dello studio legale Lexellent, Francesca Lauro di Hogan Lovells, e l’avvocato Renato Scorcelli di Scorcelli Rosa & Partners. I tre giuristi hanno scritto un piccolo volume (scaricabile qui) intitolato La legge Citrinnà & i datori di lavoro che dovrebbe aiutare le aziende ad affrontare questa importante novità legislativa che porta con sé prima di tutto un cambio di mentalità. Ma che cosa cambia nel concreto?
Congedi e permessi per tutti
La legge Cirinnà estende ai lavoratori uniti civilmente tutti i congedi e i permessi previsti per i dipendenti in caso di particolari esigenze familiari. Rientrano, ad esempio, in questa categoria i periodi di assenza retribuita in caso di malattia del compagno o della compagna. Da oggi inoltre tutte le aziende dovranno garantire anche alle coppie unite civilmente il congedo matrimoniale retribuito di (almeno) 15 giorni. Non si tratterà più quindi di una scelta della singola azienda virtuosa (come avveniva finora), ma di un obbligo che tutti i datori di lavoro devono rispettare, proprio come avviene per le coppie sposate.
Uguali anche per il fisco
Coppie sposate e coppie unite civilmente hanno ora gli stessi diritti anche dal punto di vista fiscale. Un esempio? I lavoratori e le lavoratrici lgbt con un partner che dipende economicamente da loro, hanno diritto alle detrazioni fiscali e anche all’assegno previsto per le famiglie con un reddito basso. La legge Cirinnà tutela inoltre le coppie unite civilmente anche in caso di morte di uno dei due partner. A chi rimane spetta infatti l’indennità sostitutiva del preavviso e il Tfr
Previdenza e assistenza sanitaria allargata
Pensione di indennità, pensione indiretta, possibilità di riscatto della posizione individuale maturata dal partner: sono solo alcuni dei diritti che la norma sulle unioni civili vengono estende anche ai lavoratori lgbt. Ma alle coppie unite civilmente si applicano anche le garanzie previste dai contratti collettivi. Se, ad esempio, un’azienda assicura ai propri dipendenti un’assicurazione che vale anche per i mariti e le mogli, da oggi dovrà estenderla anche ai partner dei dipendenti lgbt.
Licenziamenti e dimissioni mai più senza regole
La norma sulle unioni civili introduce una regola generale (articolo 20): tutte le leggi che contengono i termini “matrimonio”, “coniuge” o parole simili, si applicano anche ai lavoratori uniti civilmente. Di conseguenza, in caso di licenziamenti, vale anche per i lavoratori lgbt il criterio dei “carichi di famiglia” e la “nullità di licenziamento per matrimonio”. Un dipendente che viene lasciato a casa dal lavoro perché si è unito civilmente potrà perciò impugnare il licenziamento. Proprio come sono state costrette a fare per anni le donne sul luogo di lavoro. È per loro infatti che venne introdotta questa norma nel lontano (ma non troppo) 1963.

Diversity fra legislazione europea e interna: a che punto siamo?

Come di consueto lo studio mette a disposizione dei propri lettori i documenti derivanti dagli incontri a cui partecipa.
Ecco, quindi, le slide relative all’intervento dell’avv. Giulietta Bergamaschi durante l’incontro Diversity Management tenutosi oggi a Milano e organizzato da Este – Cultura d’Impresa.
Download: Diversity fra legislazione europea e interna: a che punto siamo?

Autisti di Uber, per il tribunale di Londra è lavoro subordinato.

Molto spesso si descrive l’Italia come uno dei paesi meno innovativi e liberalizzati, le cui leggi sul lavoro sono viste come particolarmente restrittive e limitative dello sviluppo imprenditoriale.
La notizia di qualche giorno fa sulla decisione del Tribunale del lavoro di Londra di considerare i guidatori di Uber dei normali lavoratori subordinati e non self-employed, o come diremmo noi dei co.co.co, ricorda molto da vicino la sentenza del Tribunale di Milano sui pony express di oltre 30 anni fa.
Si tratta di una prima decisione che certamente verrà sottoposta ad appello e la cui storia forse finirà solo davanti alla Corte Suprema, ma che ci può dare alcune interessanti indicazioni utilizzabili anche nel nostro paese.
Gli elementi della struttura del rapporto a deporre a favore del lavoro subordinato sono stati la necessità di essere connessi alla app di Uber, la limitazione territoriale della attività imposta dalla società californiana e l’obbligo di accettare le chiamate. In altre parole è stata rimarcata la assenza di autonomia da parte dei guidatori.
Interessante notare come il Giudice abbia voluto sottolineare come la sua sentenza non possa portare a sostenere che Uber non potrebbe operare con lavoratori autonomi, ma che semplicemente lo schema a cui oggi ricorre depone in senso opposto.
In particolare il giudice ha in tal senso sottolineato come lo schema proposto da Uber, ad esempio con le false fatture generate nell’interesse dei conducenti e mai inviate ai passeggeri, sia una mera finzione non corrispondente alla realtà. Realtà che, lo ricordiamo, anche in Italia rileva più dello schema contrattuale o del nome juris utilizzato dalle parti.
Insomma una sentenza in linea con i principi ribaditi anche dalle nostre corti a tutti i livelli e che si possono riassumere in alcune semplici regolette da applicare nel caso di rapporti “anomali”:
• ogni prestazione lavorativa può essere indifferentemente ricondotta al lavoro subordinato o al lavoro autonomo, non esistendo nessun lavoro che rientri necessariamente nell’una o nell’altra categoria;
•nessuno schema contrattuale, per quanto innovativo o complesso può superare la realtà fattuale;
•nel lavoro autonomo il lavoratore deve essere effettivamente in grado di autodeterminare la propria prestazione e se lavorare o meno, senza con questo subire conseguenze negative .

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Gli italiani non fanno più figli? Il lavoro non lo permette!

Il perdurare della crisi economica, gli stipendi sempre più bassi, per chi ha la fortuna di avere uno straccio di lavoro, il caro vita, le tasse, insomma la mancanza di risorse economiche che va a sommarsi alla carenza di quel tempo necessario ed indispensabile per prendersi cura di una famiglia – dacchè per portare a casa quattro soldi si raggiunge all’alba il posto di lavoro e si rincasa a tarda sera – sono le cause principali della denatalità che si registra in Italia, un Paese che ha assistito muto, immobile e rassegnato alla fine del ceto medio e alla svalutazione del lavoro e della famiglia!
Questi sono alcuni dei temi al centro della ricerca promossa da Lexellent, studio legale di diritto del lavoro, e condotta da Ipsos su un campione di mille persone, fra lavoratori e lavoratrici italiane delle piccole e medie imprese. Alla domanda “Quanto ha inciso la vostra situazione lavorativa sulla decisione di non avere figli” ben il 63% degli interpellati senza figli ha risposto che è stata rilevante: determinante per il 30% dei rispondenti, importante per il 33%. La soluzione sarebbe quella di un nuovo welfare: asili nido in azienda e lavoro part-time. Le famiglie avrebbero più tempo a disposizione per fare figli e prendersene cura, nel contempo si creerebbero nuove opportunità di lavoro per i giovani disoccupati, all’insegna del lavorare meno, lavorare tutti, ma con retribuzioni adeguate al costo della vita. Ma per il momento è tutto fermo: le culle italiane restano drammaticamente vuote, mentre i nidi si riempiono di migranti!

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A proposito del congedo di paternità obbligatorio.

In concomitanza con il nostro IV convegno sul tema delle Pari Opportunità, nel corso del quale abbiamo affrontato l’argomento, anche l’opinione pubblica a livello nazionale si è interrogata sul tema del congedo obbligatorio di paternità. Ne hanno dato l’occasione alcune dichiarazioni del presidente dell’INPS Tito Boeri, espresse durante un dibattito sul lavoro femminile.
Non entro nel merito delle considerazioni di carattere politico che ne sono scaturite, perché non mi compete. Desidero però contribuire all’approfondimento della discussione sulla scorta dei dati emersi dalla recentissima indagine statistica (ottobre 2016) che il mio Studio ha commissionato ad Ipsos in occasione del nostro Iv convegno sulle Pari Opportunità. Il titolo dell’indagine è “Lavoro e genitorialità: rispondono i dipendenti delle PMI”.
Fra le domande poste al target di riferimento, ve ne è una di particolare rilevanza rispetto al tema.
Abbiamo chiesto ai rispondenti se siano d’accordo con una legge che renda obbligatorio il congedo di paternità, elevandolo dai due giorni attuali a due settimane retribuite al 100%. Il campione dei rispondenti genitori, uomini e donne (47% e 53%), ha risposto di essere favorevole nel 95% dei casi; i rispondenti non genitori, uomini e donne (50% e 50%) sono favorevoli con una percentuale del 92%.
Andando più in dettaglio, le donne hanno risposto di essere molto favorevoli all’estensione per legge del congedo obbligatorio di paternità nel 62,4% dei casi, dimostrando quindi che apprezzerebbero in modo significativo la presenza a casa del compagno nei primi giorni di vita del neonato; gli uomini si sono dichiarati molto favorevoli in una percentuale superiore alla metà, ovvero nel 52,3% dei casi, dichiarando così la loro intenzione di voler condividere con la compagna i momenti successivi alla nascita dei figli.
Questi dati vanno letti anche alla luce di un’altra domanda sottoposta al campione; abbiamo chiesto ai genitori e ai non genitori che cosa fosse la genitorialità in azienda ed il 54% di entrambi i campioni hanno risposto che si tratta di un evento importante da far vivere ai genitori con serenità.
Nelle PMI lavorano la maggior parte dei dipendenti italiani, donne e uomini, e le loro risposte sono state inequivocabili; perché allora non andare nella direzione da loro auspicata di un maggiore sostegno alla condivisione delle responsabilità genitoriali nell’ambito della coppia?
Il Parlamento Europeo con una Risoluzione del maggio 2015 aveva segnato la strada verso l’introduzione di un congedo di paternità obbligatorio piuttosto ampio. Ha ribadito questa posizione nella Risoluzione del 13 settembre 2016.
Il disegno di legge dell’ottobre 2015 presentato dalla senatrice Valeria Fedeli è un tentativo italiano di andare nella direzione indicata dalle risoluzioni del Parlamento Europeo. Assegnato alla Commissione Lavoro del Senato il 20 novembre 2015, non ne è ancora iniziato l’esame.
Nell’attesa che il Parlamento legiferi, le aziende sensibili al tema del congedo di paternità potranno introdurre trattamenti di miglior favore rispetto alla normativa vigente sia ricorrendo alla contrattazione di secondo livello sia adottando specifiche policy.
Sul punto vi è l’opinione favorevole dei dipendenti delle PMI ai quali abbiamo chiesto se desiderino, in attesa della legge, che le aziende introducano misure migliorative della legislazione esistente ed elevino per policy interna la durata del congedo di paternità retribuito.
La risposta è stata di essere favorevoli nel 95% dei rispondenti genitori e nel 93% dei rispondenti non genitori.

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Italiani senza figli? Il lavoro non lo permette.

La notizia del convegno Lavoro e Genitorialità, organizzato dallo studio Lexellent, e i risutati della ricerca IPSOS, sono stati ripresi anche dalla testata Libero.it
libero-gossip

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DIVERSITY management.

L’avv. Giulietta Bergamaschi sarà uno dei relatori all’incontro dal titolo Diversity Management che si terrà il 15 novembre a Milano.
Si dibatterà di “Diversità e inclusione quale possibile via all’innovazione organizzativa”, l’intervento dell’avvocato metterà a confronto la legislazione europea con quella interna in un’ottica giuslavoristica,
Programma

8.45 Apertura accredito partecipanti
9.20 Benvenuto e apertura lavori
9.30 Tendenze e tensioni nei nuovi scenari demografici e sociali

 Lectio magistralis  di Chiara Saraceno, honorary fellow – Collegio Carlo Alberto/Università di Torino

10.00 Effetti e ostacoli delle pratiche della diversità all’interno delle organizzazioni

Camilla Gaiaschi, ricercatrice – Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, Centro Genders

10.25 Diversity fra legislazione europea e interna: a che punto siamo?

Giulietta Bergamaschi, partner e socio fondatore – studio legale Lexellent

10.50 Diversità di genere: La Diversity c’è, ma dobbiamo favorire l’ inclusion

Rosanna Gallo, amministratrice unica – Eu-Tropia

11.15 Coffee break
11.45 La diversità come motore di innovazione

Riccarda Zezza, ceo – MAAM, Maternity as a master

12.10 Intervento di Doriana De Benedictis, hr diversity engagement partner – IBM Italia
12.35 Diversity Management? A cominciare dai “non diversi”.

Roberto Degli Esposti, managing partner, executive coach e docente – SCOA

13.00 Pranzo
14.00 Politiche di valorizzazione delle donne al lavoro

Tavola rotonda:
– Sonia Anelli, trade marketing and omnichannel senior manager – SBD, Procter & Gamble
– Marina Fantini, senior marketing manager Italy & Iberia – LinkedIn talent solutions S
– Luisa Pogliana, presidente – Associazione Donne Senza Guscio
– Carolina Pellegrini, consigliera di parità – Regione Lombardia
– Patrizia Zambianchi, managing director & head of retail credit products – Deutsche Bank

15.00 LGBT: valorizzare le identità di genere e di orientamento sessuale per il successo dell’impresa. 

Confronto fra Igor Suran, Executive director – Parks Liberi e Uguali e Camilla Buttà, business development manager – Vector

15.30 Chi è diverso da chi?

Rita Muci, owner and partner – Before

15.55 La multiculturalità in azienda: superare lo stereotipo, a vantaggio di tutti

Confronto fra Luis Lageder, presidente – ANOLF Lombardia e Serena Apicella, hr director – Peroni

16.20 Collocamento obbligatorio: dall’obbligo di legge all’opportunità

Simone Scerri, psicologo sociale e collaboratore – Centro Studi e Ricerche di Psicologia della Comunicazione dell’Università Cattolica di Milano

16.45 Chiusura dei lavori
 

Appuntamento per:
Martedì 15 novembre 2016 – 8.45/16.45
Starhotels Business Palace – Via Privata Pietro Gaggia, 3
per iscrizioni e informazioni più dettagliate Diversity Management
 
 

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Italiani senza figli? Il lavoro non lo permette.

Quanto incide la situazione lavorativa sulla scelta degli italiani di fare figli o meno? Che cosa dovrebbero fare le aziende per aiutare la creazione e la gestione delle famiglie dei lavoratori? E di quali strumenti, messi a disposizione delle aziende dal nuovo welfare aziendale, i lavoratori preferirebbero disporre per poter conciliare meglio le esigenze di vita e di lavoro in presenza di figli? Questi sono alcuni dei temi al centro della ricerca promossa da Lexellent, studio legale di diritto del lavoro, e condotta da IPSOS su un campione di mille persone, fra lavoratori e lavoratrici italiane delle piccole e medie imprese.
Situazione lavorativa
Alla domanda «Quanto ha inciso la vostra situazione lavorativa sulla decisione di non avere figli» ben il 63% degli interpellati senza figli ha risposto che è stata rilevante: determinante per il 30% dei rispondenti, importante per il 33%.
Venendo ai servizi e alle facilitazioni che le aziende possono dare ai lavoratori per facilitare la conciliazione fra vita e lavoro – rese più convenienti dalla legge sul welfare privato che ha accompagnato la riforma del lavoro (Jobs Act) – si scopre che le PMI, per ora, non hanno ancora aderito ai nuovi modelli di welfare aziendale e, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno percepito quanto importanti questi benefit possano essere per i lavoratori e il miglioramento del clima aziendale.
La detanalità
«Ci sono due fattori molto importanti che emergono da questi numeri», sostiene Giulietta Bergamaschi, avvocato del lavoro, partner di Lexellent, «il primo è che, anche se tutti pensiamo di sapere che quello del lavoro è un tema importante rispetto alla decisione se fare figli o meno, nessuno si è soffermato a indagare quanto effettivamente sia cruciale. Si parla della denatalità dell’Italia come di un fattore ineluttabile o culturale, non si capisce che è anche e soprattutto un dato socioeconomico. Dalla ricerca che abbiamo commissionato a IPSOS risulta che la metà dei rispondenti, sia genitori sia non genitori sostengono che le politiche aziendali di conciliazione favoriscono un’efficace gestione della genitorialità e rappresenterebbero un incentivo reale ad avere figli. È un dato che dovrebbe far riflettere». «Il secondo fattore cruciale», prosegue Bergamaschi, «è che le grandi multinazionali hanno capito da tempo che una politica di inclusione che faciliti la conciliazione fra vita e lavoro dei dipendenti è l’unico sistema per attirare e trattenere i migliori talenti e per avere in azienda un clima positivo che favorisca un aumento di produttività e riescono a metterla in pratica. Le PMI, invece, pur avendolo capito, faticano a mettere in campo le politiche di inclusione, tranne in alcuni esempi virtuosi».
Che fare?
Una legge avanzata come quella sul welfare aziendale, spiega il legale Bergamaschi «consentirebbe infatti a tutte le società con dipendenti di migliorare le relazioni interne con sforzi relativamente contenuti. Ma per adesso non sta succedendo.
Sono convinta che le aziende che per prime capiranno le opportunità della legge e sapranno interpretarle in maniera corretta avranno nei prossimi anni un considerevole aumento di risultati rispetto a quelle che non sapranno andare in questa direzione»

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NEW PART TIME CONTRACT FOR EMPLOYEES CLOSE TO RETIREMENT.

L’avv. Sofia Bargellini parla del nuovo part time agevolato per i lavoratori vicini alla pensione.
The Italian Parliament, starting from 2nd June 2016, introduced a new type of part-time  contract, called “incentivised” part-time contract, specifically addressed to employees close to retirement age. This is a particular contract, subject to approval by the Local Labour Office, which grants employees with a number of specific and attractive advantages from a social security contribution point of view.
In particular, employees who will reach retirement age by 31 December 2018 will have the possibility to enter into an “incentivised” part-time contract, agreeing with their employers on reduction in working time varying from 40 to 60 %.
This agreement will grant the employee the following advantages: He or she will receive along with his or her monthly salary – duly reduced in consideration of the reduction in working hours – a further sum equal to the missing social security contributions that the employer would have paid on the normal full-time salary. This means
that if the employee was paid € 2.000 gross per month and he or she agrees to a 60% reduction in his working hours, the employee shall receive a monthly salary of € 800, plus a further sum equal to the contribution that the employer would have paid on the € 1.200 the employee loses as a consequence of the working time reduction.
The employee shall accrue notional social security contributions calculated on the previous full salary. Referring to the example above, even after the 60% reduction in working hours, the employee continues to accrue the social security contributions (valid for pension purposes) on € 2.000 per month.
Therefore, the employee close to retirement can enjoy shorter working hours and more free time in the last years of work, while in the meantime he or she does not suffer any reduction in pension, as social security contributions are accrued on the normal full-time time salary.
Even though the monthly salary is effectively reduced compared to the full-time salary, it is pro-rata higher than before, considering that the employer pays to the employee a sum equal to the contributions that would have paid on the missing part of the salary.
This new type of contract is favourable for the employer: in the last years of work, when the employee may be less productive, the employer can find an agreement to reduce its working hours and consequently cut costs. In the meantime, the employer can hire a new part-time or full-time employee to replace the one retiring. Also from a management point of view, this instrument allows the employer to organise in good time the training of the
new resource and the handover from the experienced person to the new recruit.

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Figli sì, figli no? Dipende (ancora) dalla carriera.

Che essere genitori in Italia e fare carriera sia un privilegio di pochi, è sotto gli occhi di tutti. Ma che venga dimostrato, dati alla mano, da una ricerca – condotta da Ipsos su commissione dello studio legale di diritto al lavoro Lexellent, che è stata presentata questa mattina nel convegno «Lavoro e genitorialità: indagini, proposte e prospettive per un’azienda inclusiva» – è una novità.
Il lavoro condiziona le scelte di vita personale, in particolare, la decisione di avere figli? Quasi un terzo dei 1002 rispondenti, 502 genitori e 500 non genitori (50% donne e 50% uomini, tra i 25 e i 45 anni), tutti lavoratori di Pmi sull’intero territorio nazionale, dichiara che avere figli è un ostacolo all’avanzamento professionale. Per la precisione, la risposta è sì per il 63% degli interpellati senza figli. Ma se l’azienda avesse previsto politiche e misure di conciliazione vita-lavoro, il 76% sostiene che avrebbe procreato, mentre il 66% di chi è già genitore dichiara che avrebbe volentieri aumentato la prole.
Giulietta-BergamaschiSecondo Giulietta Bergamaschi, avvocata del lavoro, partner di Lexellent e promotrice dell’iniziativa: «Il punto è che le imprese hanno iniziato a utilizzare le misure fiscali e di decontribuzione previste dal Jobs Act, ma sino ad oggi le hanno considerate come una facilitazione, senza comprendere appieno il valore di un piano strutturato di welfare, in termini di impatto positivo sulla produttività e di ricadute economiche, che arrivano sì, ma non nel breve  termine».
Il risultato è che spesso le misure a favore della conciliazione ci sono, eppure non vengono utilizzate dai lavoratori come potrebbero. I motivi sono diversi, ma tutti ascrivibili al fatto che il welfare sia considerato un corollario e non una leva strategica nei confronti dell’organizzazione, tant’è che il 47% dei rispondenti senza figli sostiene di non essere stato informato correttamente sui diritti e le opportunità per i lavoratori genitori.

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Avere figli è un ostacolo all’avanzamento…

professionale. Ne sono convinti il 63% degli intervistati senza figli, di un sondaggio Ipsos. Ma se l’azienda avesse previsto politiche e misure di conciliazione vita-lavoro, il 76% sostiene che avrebbe procreato, mentre il 66% di chi è già genitore dichiara che avrebbe volentieri allargato la famiglia. Che ruolo possono giocare le aziende per cambiare la situazione? Su Alley Oop – Il Sole 24 Ore

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Italiani senza figli perché il lavoro non lo permette Politiche di sostegno alla genitorialità ancora assenti nelle PMI.

Lo rivela una ricerca IPSOS per Lexellent che è stata presentata oggi a Milano.
Quanto incide la situazione lavorativa sulla scelta degli italiani di fare figli o meno? Che cosa dovrebbero fare le aziende per aiutare la creazione e la gestione delle famiglie dei lavoratori? E di quali strumenti, messi a disposizione delle aziende dal nuovo welfare aziendale, i lavoratori preferirebbero disporre per poter conciliare meglio le esigenze di vita e di lavoro in presenza di figli?
Questi sono alcuni dei temi al centro della ricerca promossa da Lexellent, studio legale di diritto del lavoro, e condotta da IPSOS su un campione di mille persone, fra lavoratori e lavoratrici italiane delle piccole e medie imprese, i cui risultati sono stati presentati oggi nel corso del convegno «Lavoro e genitorialità: indagini, proposte e prospettive per un’azienda inclusiva» che si è tenuto a Milano a Palazzo delle Stelline.
Fra i risultati salienti dell’indagine Simone Andrea Telloni di IPSOS ha spiegato che la motivazione lavorativa è una delle ragioni principali per cui gli italiani e le italiane non fanno figli, o almeno così dichiarano ben il 63% degli interpellati senza figli. Ma se l’azienda per cui lavorano avesse messo in atto politiche di conciliazione vita-lavoro valide, i figli li avrebbero fatti? IL 76% ha risposto di sì. Fra quanti i figli ne hanno fatti, invece, il 66% ha risposto che ne avrebbero voluti di più se le condizioni lavorative ed economiche lo avessero permesso. Per quasi un terzo dei rispondenti (sia con figli che senza) il fatto di diventare genitori viene ancora interpretato come un ostacolo alla carriera.
Secondo Telloni le PMI italiane cominciano a offrire servizi per conciliare lavoro e genitorialità come previsto dal Jobs Act, ma la fruizione di queste opportunità, per altro non ancora pienamente sviluppate dalle aziende, è ancora molto bassa da parte dei lavoratori. Ben il 47% dei rispondenti senza figli, per esempio, sostiene di non essere stata informata correttamente sui diritti e le opportunità per i lavoratori genitori. Quasi il 90% dei lavoratori interpellati auspica una maggiore trasparenza nelle comunicazioni fra il dipendente in maternità o paternità e l’azienda stessa.     
Ma cosa vorrebbero i lavoratori per poter vivere meglio la genitorialità sul posto di lavoro? Il 54% dei genitori chiede la possibilità di utilizzare forme di telelavoro. Il 62% vorrebbe buoni acquisto per i libri scolastici e un aiuto per le rette scolastiche.
Fra i non genitori il 55% vorrebbe un aiuto per il carrello della spesa. Sia genitori che non genitori chiederebbero al 52% una maggiore flessibilità degli orari.
«Ci sono due fattori molto importanti che emergono da questi numeri», sostiene Giulietta Bergamaschi, avvocato del lavoro, partner di Lexellent e promotrice del convegno, il quarto organizzato dallo studio sul tema delle pari opportunità, «il primo è che, anche se tutti pensiamo di sapere che quello del lavoro è un tema importante rispetto alla decisione se fare figli o meno, nessuno si è soffermato a indagare quanto effettivamente sia cruciale. Si parla della denatalità dell’Italia come di un fattore ineluttabile o culturale, non si capisce che è anche e soprattutto un dato socioeconomico. Dalla ricerca che abbiamo commissionato a IPSOS risulta che più della metà dei rispondenti, sia genitori sia non genitori sostengono che le politiche aziendali di conciliazione favoriscono un’efficace gestione della genitorialità e rappresenterebbero un incentivo reale ad avere figli. È un dato che dovrebbe far riflettere».
«Il secondo fattore cruciale», prosegue Bergamaschi, «è che le grandi multinazionali hanno capito da tempo che una politica di inclusione che faciliti la conciliazione fra vita e lavoro dei dipendenti è l’unico sistema per attirare e trattenere i migliori talenti e per avere in azienda un clima positivo che favorisca un aumento di produttività e riescono a metterla in pratica. Le PMI italiane, invece, pur avendolo capito, faticano a mettere in campo le politiche di inclusione, tranne in alcuni esempi virtuosi. Una legge avanzata come quella sul welfare aziendale consentirebbe infatti a tutte le società con dipendenti di migliorare le relazioni interne con sforzi relativamente contenuti. Ma per adesso non sta succedendo. Sono convinta che le aziende che per prime capiranno le opportunità della legge e sapranno interpretarle in maniera corretta avranno nei prossimi anni un considerevole aumento di risultati rispetto a quelle che non sapranno andare in questa direzione».
La ricerca completa è disponibile sul sito http://www.lexellent.it/category/pari-opportunita/

lavoro e genitorialità: i risultati della ricerca IPSOS e gli altri materiali dell’incontro.

Come sempre, a seguito degli incontri organizzati dallo studio, sono disponibili i materiali presentati dai diversi relatori

  • Simone Andrea Telloni – Head of IPSOS Observer

 Lavoro e Genitorialità, i risultati dell’indagine

  • Giulietta Bergamaschi, founding partner Lexellent e Alessandra Rovescalli, associate Lexellent

La carta dei valori della genitorialità in azienda (presentazione)

Il perché della carta dei valori della genitorialità in azienda

  • Edvige Della Torre, EDWI HR Partner TTI Success Insights Italia

Trasformare la maternità da problema a vantaggio competitivo

  • Laura Gori, Founder, Co-owner & CEO Trans-Edit Group e Adele Nardulli, Co-owner & Managing Director Trans-Edit Group

 Progetto Wellteg

Presentazione

  • Sara Mazzucchelli, Ricercatrice Facoltà di Psicologia, Università Cattolica Milano

La cultura della genitoralità e il vantaggio competitivo

  • Laura Parigi, Managing Director NPI Italia S.r.l.

Presentazione

  • Alessandra Scipioni, Department Executive Manager Assolombarda Servizi

I genitori lavoratori: una criticità da gestire o un’opportunità da cogliere per le imprese?

 

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Chi lavora non fa figli, Lexellent: pmi non aiutano i genitori.

Gli italiani non fanno figli a causa del lavoro. Sembra assurdo, ma è così. Almeno stando ai dati della ricerca promossa da Lexellent, studio legale di diritto del lavoro, e condotta da Ipsos su un campione di mille persone, fra lavoratori e lavoratrici italiane delle piccole e medie imprese
SONDAGGIO IPSOS FA EMERGERE QUADRO PREOCCUPANTE
Alla domanda «Quanto ha inciso la vostra situazione lavorativa sulla decisione di non avere figli», il 63% degli interpellati senza figli ha risposto che è stata rilevante. Per la metà di questi, addirittura determinante. Non si tratta di dati da prendere sotto gamba. Viviamo in un Paese in cui chi ha un lavoro non fa figli perché non trova supporto e chi è senza occupazione spesso non li fa lo stesso per paura di non poterli mantenere. La genitorialità non è mai stata tanto a rischio come in questo periodo storico.
POCHE IMPRESE VALORIZZANO IL WELFARE AZIENDALE
E d’altra parte le aziende spesso non aiutano a conciliare lo status di lavoratore con quello di padre o madre. Nonostante qualche passo in avanti sia stato compiuto dalla politica in questo campo, attraverso l’ultima riforma del lavoro ad esempio, sono ancora poche le pmi che hanno aderito ai nuovi modelli di welfare aziendale. Ancora non è stato compreso appieno quanto possano rivelarsi fondamentali i benefit per i genitori e quanto possano indirettamente contribuire a migliorare la produttività delle persone e il clima che si respira sul posto di lavoro.

POCHI FIGLI? NON È QUESTIONE CULTURALE, MA SOCIOECONOMICA

«Ci sono due fattori molto importanti che emergono da questi numeri – spiega Giulietta Bergamaschi, avvocato del lavoro, partner di Lexellent e promotrice del convegno Lavoro e genitorialità: indagini, proposte e prospettive per un’azienda inclusiva che si terrà a Milano domani –. Il primo è che, anche se tutti pensiamo di sapere che quello del lavoro è un tema importante rispetto alla decisione se fare figli o meno, nessuno si è soffermato a indagare quanto effettivamente sia cruciale. Si parla della denatalità dell’Italia come di un fattore ineluttabile o culturale, non si capisce che è anche e soprattutto un dato socioeconomico. Dalla ricerca che abbiamo commissionato a Ipsos risulta che la metà dei rispondenti, sia genitori sia non genitori, sostengono che le politiche aziendali di conciliazione favoriscono un’efficace gestione della genitorialità e rappresenterebbero un incentivo reale ad avere figli. È un dato che dovrebbe far riflettere».

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Sostegno alla genitorialità: in Italia il lavoro non permette di fare figli.

Gli italiani sono senza figli
Gli italiani sono senza figli anche perché il lavoro non lo permette: le politiche di sostegno alla genitorialità, infatti, sono ancora assenti nelle PMI, come rivela una ricerca IPSOS. Quanto incide la situazione lavorativa sulla scelta degli italiani di fare figli o meno? Che cosa dovrebbero fare le aziende per dare sostegno alla genitorialità e aiutare la creazione e la gestione delle famiglie dei lavoratori? E di quali strumenti, messi a disposizione delle aziende dal nuovo welfare aziendale, i lavoratori preferirebbero disporre per poter conciliare meglio le esigenze di vita e di lavoro in presenza di figli? Questi sono alcuni dei temi al centro della ricerca promossa da Lexellent, studio legale di diritto del lavoro, e condotta da IPSOS su un campione di mille persone, fra lavoratori e lavoratrici italiane delle piccole e medie imprese, i cui risultati verranno presentati il 4 novembre nel corso del convegno Lavoro e genitorialità: indagini, proposte e prospettive per un’azienda inclusiva che si terrà a Milano a Palazzo delle Stelline. Sostegno alla genitorialità, cosa emerge Fra i risultati salienti dell’indagine emerge prepotentemente che la motivazione lavorativa è la ragione principale per cui gli italiani e le italiane non fanno figli, o almeno così dichiarano. Alla domanda quanto ha inciso la vostra situazione lavorativa sulla decisione di non avere figli ben il 63% degli interpellati senza figli ha risposto che è stata rilevante: determinante per il 30% dei rispondenti, importante per il 33%. Venendo ai servizi e alle facilitazioni che le aziende possono dare ai lavoratori per facilitare la conciliazione fra vita e lavoro – rese ancora più convenienti dalla legge sul welfare privato che ha accompagnato la riforma del lavoro (Jobs Act) – si scopre che le PMI, per ora, non hanno ancora aderito ai nuovi modelli di welfare aziendale e, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno percepito quanto importanti questi benefit possano essere per i lavoratori e il miglioramento del clima aziendale. “Ci sono due fattori molto importanti che emergono da questi numeri” sostiene Giulietta Bergamaschi, avvocato del lavoro, partner di Lexellent e promotrice del convegno, il quarto organizzato dallo studio sul tema delle pari opportunità “il primo è che, anche se tutti pensiamo di sapere che quello del lavoro è un tema importante rispetto alla decisione se fare figli o meno, nessuno si è soffermato a indagare quanto effettivamente sia cruciale. Si parla della denatalità dell’Italia come di un fattore ineluttabile o culturale, non si capisce che è anche e soprattutto un dato socioeconomico. Dalla ricerca che abbiamo commissionato a IPSOS risulta che la metà dei rispondenti, sia genitori sia non genitori sostengono che le politiche aziendali di conciliazione favoriscono un’efficace sostegno alla genitorialità e rappresenterebbero un incentivo reale ad avere figli. È un dato che dovrebbe far riflettere”. “Il secondo fattore cruciale” prosegue Bergamaschi “è che le grandi multinazionali hanno capito da tempo che una politica di inclusione che faciliti la conciliazione fra vita e lavoro dei dipendenti è l’unico sistema per attirare e trattenere i migliori talenti e per avere in azienda un clima positivo che favorisca un aumento di produttività e riescono a metterla in pratica. Le PMI italiane, invece, pur avendolo capito, faticano a mettere in campo le politiche di inclusione, tranne in alcuni esempi virtuosi. Una legge avanzata come quella sul welfare aziendale consentirebbe infatti a tutte le società con dipendenti di migliorare le relazioni interne con sforzi relativamente contenuti. Ma per adesso non sta succedendo. Sono convinta che le aziende che per prime capiranno le opportunità della legge e sapranno interpretarle in maniera corretta avranno nei prossimi anni un considerevole aumento di risultati rispetto a quelle che non sapranno andare in questa direzione”. Un traguardo verso il sostegno alla genitorialità che ci auspichiamo tutti venga raggiunto il prima possibile, sia come aiuto alla crescita demografica del nostro Paese sia come forma di emancipazione delle donne lavoratrici.

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Lavoro e genitorialità.

IV CONVEGNO ANNUALE SULLE PARI OPPORTUNITÀ 

[rb_button style=”headed” decoration=”arrow” color=”light” link=”http://www.lexellent.it/iscrizione-corsi-2016/” target=”_self” label=”ISCRIVITI ONLINE”] [/rb_button]

 
 
Milano, venerdì 4 novembre 2016
66° anniversario firma della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
Sala Toscanini – Palazzo delle Stelline, C.so Magenta, 61 – Ore 9.00

LAVORO E GENITORIALITÀ: INDAGINI, PROPOSTE E PROSPETTIVE PER ESSERE UN’AZIENDA INCLUSIVA

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palco pubblico
9.00 – 9.15 – Registrazione
9.15 – 9.30
Apertura dei lavori
Giovanni Battista Benvenuto, Lexellent
9.30 – 10.00
Giulietta Bergamaschi, Lexellent
Introduce
Ricerca su “Lavoro e genitorialità in azienda: rispondono i dipendenti delle PMI”
Simone Andrea Telloni, Head of Ipsos Observer
10.00 – 11.00
Le testimonianze di aziende e rappresentanze sindacali
Modera: Maria Cristina Origlia, Managing Editor L’Impresa
Ester Balconi, ‎Rappresentante sindacale Cisl Milano Metropoli
Fiorella Capursi, Selezione, formazione e sviluppo Risorse Umane INAZ
Luisa Corvino, Head of Human Resources Banzai
Laura Gori, Founder, Co-owner & CEO Trans-Edit Group e Adele Nardulli, Co-owner & Managing Director Trans-Edit Group
Alessandra Scipioni, Department Executive Manager ASSOLOMBARDA Servizi
11.00 – 11.15 – Coffee break
11.15 – 11.45
La Carta dei Valori sulla genitorialità in azienda
Giulietta Bergamaschi, Lexellent
Alessandra Rovescalli, Lexellent
11.30 – 12.30
Un caso concreto: la cultura della genitorialità come vantaggio competitivo
Modera: Marco Giangrande, Lexellent
Edvige Della Torre, EDWI HR Partner TTI Success Insights Italia
Sara Mazzucchelli, Ricercatrice Facoltà di Psicologia, Università Cattolica Milano
Laura Parigi, Managing Director NPI Italia S.r.l.
12.30 – 12.45
Question time e conclusione dei lavori
Giulietta Bergamaschi, Lexellent
In collaborazione con:
edwi-hr
nkl-rid

 

[rb_button style=”headed” decoration=”arrow” color=”light” link=”http://www.lexellent.it/iscrizione-corsi-2016/” target=”_self” label=”ISCRIVITI ONLINE”] [/rb_button]
 
lexellent_4novembre2016

Italiani senza figli perché il lavoro non lo permette Politiche di sostegno alla genitorialità ancora assenti nelle PMI.

Lo rivela una ricerca IPSOS per Lexellent che verrà presentata domani a Milano.
Quanto incide la situazione lavorativa sulla scelta degli italiani di fare figli o meno? Che cosa dovrebbero fare le aziende per aiutare la creazione e la gestione delle famiglie dei lavoratori? E di quali strumenti, messi a disposizione delle aziende dal nuovo welfare aziendale, i lavoratori preferirebbero disporre per poter conciliare meglio le esigenze di vita e di lavoro in presenza di figli?
Questi sono alcuni dei temi al centro della ricerca promossa da Lexellent, studio legale di diritto del lavoro, e condotta da IPSOS su un campione di mille persone, fra lavoratori e lavoratrici italiane delle piccole e medie imprese, i cui risultati verranno presentati il 4 novembre nel corso del convegno «Lavoro e genitorialità: indagini, proposte e prospettive per un’azienda inclusiva» che si terrà a Milano a Palazzo delle Stelline a partire dalle 9 del mattino.
Fra i risultati salienti dell’indagine emerge prepotentemente che la motivazione lavorativa è la ragione principale per cui gli italiani e le italiane non fanno figli, o almeno così dichiarano. Alla domanda «Quanto ha inciso la vostra situazione lavorativa sulla decisione di non avere figli» ben il 63% degli interpellati senza figli ha risposto che è stata rilevante: determinante per il 30% dei rispondenti, importante per il 33%.
Venendo ai servizi e alle facilitazioni che le aziende possono dare ai lavoratori per facilitare la conciliazione fra vita e lavoro – rese ancora più convenienti dalla legge sul welfare privato che ha accompagnato la riforma del lavoro (Jobs Act) – si scopre che le PMI, per ora, non hanno ancora aderito ai nuovi modelli di welfare aziendale e, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno percepito quanto importanti questi benefit possano essere per i lavoratori e il miglioramento del clima aziendale.
«Ci sono due fattori molto importanti che emergono da questi numeri», sostiene Giulietta Bergamaschi, avvocato del lavoro, partner di Lexellent e promotrice del convegno, il quarto organizzato dallo studio sul tema delle pari opportunità, «il primo è che, anche se tutti pensiamo di sapere che quello del lavoro è un tema importante rispetto alla decisione se fare figli o meno, nessuno si è soffermato a indagare quanto effettivamente sia cruciale. Si parla della denatalità dell’Italia come di un fattore ineluttabile o culturale, non si capisce che è anche e soprattutto un dato socioeconomico. Dalla ricerca che abbiamo commissionato a IPSOS risulta che la metà dei rispondenti, sia genitori sia non genitori sostengono che le politiche aziendali di conciliazione favoriscono un’efficace gestione della genitorialità e rappresenterebbero un incentivo reale ad avere figli. È un dato che dovrebbe far riflettere».
«Il secondo fattore cruciale», prosegue Bergamaschi, «è che le grandi multinazionali hanno capito da tempo che una politica di inclusione che faciliti la conciliazione fra vita e lavoro dei dipendenti è l’unico sistema per attirare e trattenere i migliori talenti e per avere in azienda un clima positivo che favorisca un aumento di produttività e riescono a metterla in pratica. Le PMI italiane, invece, pur avendolo capito, faticano a mettere in campo le politiche di inclusione, tranne in alcuni esempi virtuosi. Una legge avanzata come quella sul welfare aziendale consentirebbe infatti a tutte le società con dipendenti di migliorare le relazioni interne con sforzi relativamente contenuti. Ma per adesso non sta succedendo. Sono convinta che le aziende che per prime capiranno le opportunità della legge e sapranno interpretarle in maniera corretta avranno nei prossimi anni un considerevole aumento di risultati rispetto a quelle che non sapranno andare in questa direzione».