Disabilità e lavoro. Storie di aziende che investono sull’inclusione

Lexellent vi invita a partecipare al workshop organizzato da ABILITIAMO LA DISABILITA’ dal titolo “DISABILITÀ E LAVORO. STORIE DI AZIENDE CHE INVESTONO SULL’INCLUSIONE”, per un confronto sui temi dell’inclusione e della disabilità.

L’evento si svolgerà il giorno 3 dicembre 2019 dalle ore 14:00 alle ore 19:00 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – Via Nirone 15 MILANO.

Agenda:
ore 14.00 Accredito – Registrazione
ore 14.30 Saluti istituzionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
ore 14.45 Presentazione del tavolo «Abilitiamo la disabilità», Andrea Orlandini – AIDP
ore 15.15 Tavola rotonda – Esperienze a confronto:
                 Accenture, Alstom, IBM, Intesa Sanpaolo, Nestlé, UniCredit,
                 modera Giulietta Bergamaschi – Lexellent
ore 16.45 Question time
ore 17.15 Intervento: «Lavoro e malattie croniche oggi», Prof.ssa Matilde Leonardi – Fondazione IRCCS Istituto Neurologico C. Besta
ore 17.45 Conclusioni a cura di Camillo Caputo – ASST Fatebenefratelli Sacco
ore 18.00 Aperitivo di Networking a cura del team di #Rob de Matt
In allegato la locandina completa
Per iscrizioni cliccare qui

WeWorld Festival, l’intervista a Marco Chiesara sul Corriere della Sera

Il Corriere della Sera dedica un approfondimento al WeWorld Festival, l’appuntamento che il 23 e 24 Novembre, presso il Teatro Litta di Milano, vedrà un sussegursi di dibattiti, film, reading, performance teatrali e mostre con la partecipazione di prestigiosi nomi del mondo culturale: tutti uniti per combattere gli stereotipi legati alla figura femminile, alla radice di ogni violenza.

Pubblichiamo di seguito un estratto dell’intervista al Presidente di WeWorld Onlus, nonchè Partner dello studio Lexellent, Marco Chiesara.

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Da Saviano a Cantarella. I primi 10 anni di lotta.
L’edizione celebrativa schiera anche lo scrittore sotto scorta. Chiesara: «Quando abbiamo cominciato il tema era di nicchia»
Si tiene a Milano, al Teatro Litta, il 23 e 24 novembre. Il WeWorld Festival, giunto alla decima edizione, è l’evento con cui WeWorld Onlus, associazione da oltre vent’anni impegnata nella difesa dei diritti di donne e bambini in Italia e nel Mondo, si presenta ogni autunno al grande pubblico.
In realtà, come sottolinea Marco Chiesara, presidente della Onlus, è molto più di un festival.
«Queste manifestazioni regalano grande visibilità, noi la sfruttiamo trasformandola in momento di advocacy» dice.
In un’Italia dove il femminicidio è diventato una triste quotidianità e la violenza improvvisa, feroce, viene ancora identificata come «raptus», si avverte il bisogno di un intervento di contrasto concreto.
«Il problema è culturale – afferma Chiesara -, il problema sono gli stereotipi maschilisti, ancora presenti, e le differenze di genere che alimentano quel pensiero che apre la porta alla violenza.
[…]
Per leggere l’intervista completa, e gli altri articoli di approfondimento, cliccare qui.

Lexellent per WeWorld Festival – 10° Edizione

Milano, 23 – 24 novembre 2019.
WeWorld Festival giunge quest’anno alla sua decima edizione e, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, organizza due giorni di Film, Teatro e Incontri presso il Teatro Litta, in Corso Magenta 24.
Lexellent, da sempre in prima linea sulle tematiche legate al genere e contro ogni forma di violenza, è onorato di poter presenziare alla kermesse e sostenere l’opera di WeWolrd Onlus e del suo Presidente, e nostro partner, Marco Chiesara.
Con l’occasione si ricorda che l’ingresso è gratuito, su prenotazione.
 

Alcuni “perchè” di una politica aziendale in tema di diversità

Pubblichiamo un articolo in tema di politiche di diversity a firma di Giulietta Bergamaschi per il MAG di Legalcommunity.
Con il decreto legislativo n.254/2016 è stata recepita la direttiva 2014/95 UE (in tema di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni) ed è stato modificato l’articolo 123 – bis Tuf, sul contenuto della “Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari” che le società quotate in mercati regolamentati sono tenute a redigere.
La Relazione deve contenere “una descrizione delle politiche in materia di diversità applicate in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo relativamente ad aspetti quali l’età, la composizione di genere e il percorso formativo e professionale, nonché una descrizione degli obiettivi, delle modalità di attuazione e dei risultati di tali politiche”.
L’adozione di politiche in tema di diversity non costituisce un obbligo per le emittenti quotate: la società che non applichi alcuna politica sul tema è tenuta a motivare in maniera chiara e articolata le ragioni della scelta, secondo il principio comply or explain. La modifica del Tuf origina dal 18° considerando della direttiva 2014/95 UE: la diversità per genere, età, provenienza geografica, background professionale tra amministratori e sindaci produce una dialettica che rende la volontà dell’ente aperta a idee innovative; condizione ritenuta imprescindibile perché l’attività sociale sia frutto di un pensiero di gruppo e non di logiche impositive a discapito delle minoranze. Con tale modifica il sistema italiano ha compiuto un passo in avanti per l’affermazione dei valori di board diversity nei sistemi di governance societaria, sulla scia degli effetti positivi prodotti dalla legge n. 120/2011 in tema di equilibrio di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali.
Il percorso di sensibilizzazione delle imprese ai valori di diversità e inclusione, ormai avviato, è orientato verso obiettivi ambiziosi, come confermato da recenti iniziative messe in atto per proseguirlo.
Nel luglio 2018 è stato modificato il codice di autodisciplina di Borsa Italiana: un “modello di riferimento” volto a promuovere il buon governo delle società italiane quotate, in linea con le best practices internazionali, che si è tradotto nell’inserimento dei principi 2. P. 4 e 8. P. 2, a tenore dei quali l’emittente applica criteri di diversità, anche di genere, nella composizione del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale.
Il 22/11/2018 è stato siglato il protocollo d’intesa tra presidenza del Consiglio dei ministri, Consob e Banca d’Italia, che ha istituito l’osservatorio interistituzionale sulla partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società di capitale italiane per la raccolta dei dati e la promozione di attività volte a promuovere la presenza femminile in tali contesti.
Aidaf (Associazione Italiana delle aziende familiari) in collaborazione con l’Università Bocconi, ha formulato un codice di autodisciplina per il governo delle società non quotate a controllo familiare, in vigore dal gennaio 2018, che estende a tali società quei principi di buon andamento societario per la diffusione di un sistema di governance più evoluto e ben funzionante, e promuove i valori di diversità dei componenti sia del consiglio di amministrazione sia del collegio sindacale.
Quanto alle proposte di legge all’esame del Parlamento si segnalano la n. 1418 (presentata il 29/12/2018) sulla proroga della legge n. 120/2011 per 3 ulteriori mandati e la n. 615 (presentata il 11/05/2018).
Quest’ultima andrebbe a modificare l’articolo 46 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (disciplina del rapporto sulla situazione del personale) che ad oggi prevede l’obbligo di formulare detto rapporto con cadenza biennale per le sole aziende che impiegano oltre 100 dipendenti.
La modifica proposta amplierebbe il novero delle aziende chiamate a redigere il rapporto inserendo la facoltà, per le aziende con meno di 100 dipendenti, di elaborare lo stesso documento. Inoltre, rimette al ministero del lavoro la definizione dei “parametri minimi di rispetto delle pari opportunità, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta [in un’ottica di eliminazione/contenimento del gender pay gap] e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” alle aziende rispettose dei parametri verrà rilasciata la “certificazione di pari opportunità di lavoro”.
In definitiva, la diversità e l’inclusione, temi prima al centro delle sole politiche sociali, sono sempre più percepiti come cardini su cui fondare le moderne organizzazioni produttive, intese a largo spettro, quindi anche le società non quotate, di modeste dimensioni o riconducibili ad un modello di controllo familiare. Un’impresa più inclusiva che informa il mercato delle politiche attuate all’interno può indurre gli altri operatori ad allinearsi a tali buone pratiche, nella direzione di un circuito economico complessivamente più virtuoso e trasparente.
In allegato l’articolo in formato PDF

Whistleblowers: l’Europa rafforza le tutele. Nuovi compiti anche per le aziende

Pubblichiamo di seguito l’editoriale del Prof. Francesco Bacchini per IPSOA – Quotidiano, una comparazione sistematica fra legge nazionale e direttiva europea in materia di whistleblowers.

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Rispetto all’impianto normativo delineato dal legislatore italiano, la direttiva europea sui whistleblowers amplia il raggio di operatività delle tutele per chi denuncia violazioni sul luogo di lavoro. Un primo mutamento di prospettiva rispetto al sistema italiano, che dovrà essere profondamente modificato, entro il 2021, per recepire i principi eurounitari. Anche per le sanzioni ci dovranno essere dei cambiamenti: sarà necessario prevedere specifiche norme nei confronti delle persone fisiche e giuridiche che ostacolino le segnalazioni o che pongano in essere ritorsioni, vessazioni o che violino il diritto alla riservatezza dell’identità degli informatori; ma anche gli stessi whistleblowers, quando si accerti l’effettuazione di segnalazioni scientemente false, potranno essere sanzionati. Quindi, si dovrà andare ben oltre l’attuale dimensione nazionale delle tutele esclusivamente connessa alla adozione del modello di organizzazione e gestione del decreto 231 …

Nel nostro ordinamento, la tutela dei whistleblowers (letteralmente dei “fischiatori”, dalla frase “blow the whistle”, “soffiare il fischietto”), ossia degli “informatori”, delle persone che, all’interno del proprio ambito lavorativo, segnalano frodi, violazioni, reati, irregolarità, trova disciplina nella legge n. 179/2017, la quale, diversamente dal settore pubblico, per il settore privato, si muove essenzialmente all’interno del campo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 (che sancisce la responsabilità delle persone giuridiche per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato).

Di conseguenza, la normativa di protezione vanta un ambito applicativo soggettivo piuttosto circoscritto, operando nei confronti dei lavoratori all’interno dei soli enti:
– compresi nell’elenco dei soggetti destinatari del predetto decreto (enti forniti di personalità giuridica, società e associazioni anche prive di personalità giuridica, ai sensi dell’art. 1, comma 2);
– che abbiano, in concreto, adottato il sistema di compliance ivi prescritto (adozione di un modello di organizzazione e gestione e nomina dell’organismo autonomo di vigilanza)
Limitati sono anche i confini dell’ambito applicativo oggettivo della legge n. 179/2017, che coincidono con l’elenco dei “reati presupposto” in presenza dei quali può configurarsi la responsabilità dell’ente (principio di tipicità).
 
Quanto ai mezzi di tutela del segnalante (whistleblower), l’art. 2 della stessa legge integra il contenuto dei modelli organizzativi, che devono contemplare:
– specifici canali informativi dedicati alle segnalazioni, di cui almeno uno con modalità informatiche, tali da garantire la riservatezza dell’identità del segnalante;
– il divieto di atti di ritorsione o di discriminazione nei confronti del segnalante;
– l’inserimento all’interno del sistema disciplinare del modello organizzativo di sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni poi rivelatesi infondate;
– la previsione di una giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto di cui agli artt. 326, 622 e 623 c.p. e all’art. 2105 c.c.
A tutela del segnalante, è inoltre espressamente prevista la nullità:
– del licenziamento (ritorsivo o discriminatorio);
– del demansionamento;
– di qualsiasi misura ritorsiva o discriminatoria per motivi collegati direttamente o indirettamente alla segnalazione.
 
In caso di controversia, l’onere della prova di aver adottato il provvedimento disciplinare o di variazione dello status lavorativo del prestatore successivo alla presentazione della segnalazione “sospetto di nullità” per ragioni diverse dalla segnalazione stessa è, ovviamente, posto in capo al datore di lavoro.
In definitiva, fatta salva l’espressa comminatoria di nullità delle eventuali misure ritorsive o discriminatorie adottate nei confronti del segnalante, nonché la facoltà di denuncia all’ITL (per i provvedimenti di propria competenza) attribuita al medesimo o all’organizzazione sindacale dallo stesso indicata, la legge n. 179/2017 rimette larga parte della protezione del whistleblower alla discrezionalità del datore di lavoro, che integrerà il proprio modello organizzativo con le modalità tecniche reputate più adatte a conseguire gli obiettivi di tutela sottesi alla normativa ad oggi vigente.
 
Rispetto all’impianto normativo così delineato dal legislatore italiano, la direttiva approvata dal Consiglio dell’Unione europea il 7 ottobre 2019 (che gli Stati Membri devono recepire entro il 2021) amplia decisamente il raggio di operatività della tutela in favore dei whistleblowers che denuncino violazioni del vigente diritto eurounitario nei settori indicati all’art. 2 (“Ambito di applicazione materiale”) ossia: appalti pubblici, sicurezza dei prodotti, servizi e mercati finanziari, riciclaggio e finanziamento del terrorismo, sicurezza dei trasporti, protezione dell’ambiente, salute pubblica, sicurezza degli alimenti, sicurezza nucleare, protezione dei consumatori, tutela della vita privata, protezione dei dati personali delle reti e dei sistemi informativi, interessi finanziari UE, e violazioni riguardanti il mercato interno, la concorrenza e gli aiuti di Stato.
 
Ciò consente di riscontrare un primo mutamento di prospettiva rispetto al sistema italiano di cui alla legge n. 179/2017: la tutela del segnalante, infatti, opera non più in conseguenza dell’integrazione (allo stadio tentato o consumato) delle fattispecie incriminatrici nel novero dei “reati presupposto”, bensì, più in generale, all’atto della lesione di un bene giuridico tutelato dal diritto UE.
Tuttavia, è bene osservare che la tutela delineata, congiuntamente, dal D.Lgs. n. 231/2001 e dalla legge n. 179/2017 opera anche dinanzi a delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies del D.Lgs. n. 231/2001), mentre la direttiva UE sembra più orientata alla repressione di interessi di natura economica o, comunque, superindividuale (al di là, invero, del riferimento alla “tutela della vita privata ai sensi dell’art. 2, par. 1, lett. x).
 
Quanto all’ampliamento dell’ambito applicativo personale, i “segnalanti” destinatari della disciplina sono, in virtù dell’art. 4, par. 1:
– le persone aventi la qualità di lavoratore, compresi i dipendenti pubblici;
– le persone aventi la qualità di lavoratore autonomo (consulenti, freelance, ecc.);
– gli azionisti e i membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza di un’impresa, compresi i membri senza incarichi esecutivi;
– i volontari e i tirocinanti retribuiti e non retribuiti;
– qualsiasi persona che lavora sotto la supervisione e la direzione di appaltatori, subappaltatori e fornitori.
 
I paragrafi 2, 3 e 4 aggiungono, inoltre, rispettivamente, che la direttiva trova applicazione anche nei confronti dei segnalatori che comunichino o divulghino informazioni sulle violazioni acquisite nell’ambito di un rapporto di lavoro nel frattempo terminato o non ancora iniziato e ciò in relazione alle informazioni riguardanti violazioni acquisite durante il processo di selezione o altre fasi delle trattative precontrattuali, ma anche nei confronti dei facilitatori che assistono l’informatore e dei terzi collegati con lo stesso, quali colleghi o parenti che potrebbero subire in conseguenza del collegamento ritorsioni sul lavoro.
La direttiva si rivolge alle imprese private con almeno 50 dipendenti, ma è facoltà degli Stati Membri (ex art. 8, par. 7), a fronte di adeguata valutazione dei rischi e tenuto conto della natura dell’attività, di estenderne le previsioni anche a enti con un numero di lavoratori inferiore.
Sotto il profilo procedurale, il Legislatore europeo detta prescrizioni più stringenti rispetto a quelle della legge nazionale italiana, individuando un sistema di canali di segnalazione articolato su due livelli: il primo interno (che il segnalatore deve privilegiare), il secondo esterno.
 
Con l’intento di assicurare l’efficienza delle procedure di segnalazione interna, l’art. 9 della direttiva individua i seguenti elementi fondamentali che dovranno essere previsti:
– i canali per ricevere le segnalazioni devono essere progettati, realizzati e gestiti in modo sicuro, garantendo la riservatezza dell’identità del segnalante, la protezione degli eventuali terzi citati nella segnalazione e impedendo l’accesso al personale non autorizzato;
– entro sette giorni dalla segnalazione l’informatore deve essere avvisato della ricezione;
– deve essere designata una persona o un servizio (potrebbe essere anche lo stesso che riceve le segnalazioni), competente e imparziale, per dare seguito, in modo diligente, alle segnalazioni (anche anonime se previste dal diritto nazionale), restare in contatto il segnalante e, se necessario, chiedere ulteriori informazioni e fornirgli riscontro;
– deve essere previsto un termine ragionevole, non superiore a tre mesi a far data dall’avviso di ricevimento (in assenza di avviso al segnalante, i tre mesi si calcolano dalla scadenza del termine di sette giorni dall’effettuazione della segnalazione), per dare un riscontro alla segnalazione;
– devono essere rese disponibili informazioni chiare e facilmente accessibili sulle procedure per effettuare segnalazioni esterne alle autorità competenti e, se del caso, a istituzioni, organi e organismi dell’Unione Europea.
 
L’art. 10 della direttiva prevede che, dopo aver effettuato la segnalazione per mezzo dei canali interni, ma, in alternativa, anche in prima battuta, gli informatori possono attivare una procedura “esterna”, indipendente e autonoma, che gli Stati Membri demanderanno alle autorità competenti, chiamandole ad informare il pubblico circa il concreto funzionamento del sistema di denuncia (art. 13).
Tali canali potranno considerarsi indipendenti e autonomi qualora soddisfino due parametri (art. 12):
– siano progettati, stabiliti e gestiti in modo da garantire la completezza, l’integrità e la riservatezza delle informazioni e impediscano l’accesso da parte del personale non autorizzato dell’autorità competente;
– permettano la memorizzazione di informazioni su supporti durevoli, conformemente all’art. 18, per consentire l’effettuazione di ulteriori indagini.
 
Tra le misure di protezione, che si applicano sempre quando l’informatore abbia fondati motivi per ritenere che, al momento della segnalazione, le notizie fossero vere e abbia seguito le procedure previste di segnalazione interne o esterne, diversamente da quanto previsto dalla legge n. 179/2017 che non le prevede nei confronti di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate, la direttiva contempla:
1) divieto di ritorsione (art. 19) tramite: licenziamento, retrocessione di grado, mancata promozione, mutamento di funzioni, cambiamento di luogo o di orario di lavoro, riduzione dello stipendio, sospensione della formazione, referenze negative, misure disciplinari, note di biasimo, mancata stabilizzazione di un lavoro temporaneo, coercizione, molestie, intimidazioni, ostracismo, ecc.
Si prevede, quindi, un elenco molto dettagliato, in luogo della formula di chiusura “qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria” impiegata dalla l. n. 179/2017;
2) misure di sostegno per l’autore della segnalazione (art. 20): garanzie sul piano informativo, assistenza, patrocinio gratuito a spese dello Stato, supporto psicologico;
3) misure di protezione dell’autore della segnalazione (art. 21): esclusione di ogni responsabilità per lecita acquisizione o divulgazione di informazioni propedeutiche alla denuncia; principio dell’integralità del risarcimento per danni subiti dal segnalante (par. 8);
4) misure di protezione anche per le “persone coinvolte” (ex art. 5 n. 10, le persone fisiche o giuridiche menzionate nella segnalazione o divulgazione come persone alle quali la violazione è attribuita o con le quali tali persone sono associate): diritto proporre ricorso effettivo dinanzi ad un giudice imparziale, presunzione di innocenza, diritto di difesa, di essere sentito e di accesso al fascicolo, tutela dell’identità durante le indagini (art. 22).
 
Gli Stati Membri possono, da ultimo, prevedere uno specifico apparato sanzionatorio nei confronti delle persone fisiche e giuridiche che ostacolino le segnalazioni o che pongano in essere ritorsioni, vessazioni o che violino il diritto alla riservatezza dell’identità degli informatori; allo stesso modo possono essere previste sanzioni anche nei confronti degli informatori quando si accerti che hanno effettuato segnalazioni scientemente false.
 
Dall’analisi della disciplina della direttiva sul whistleblowing emerge chiaramente il forte impatto sulla normativa italiana che dovrà essere profondamente modificata, entro il 2021, per recepire i principi eurounitari, andando ben oltre l’attuale dimensione esclusivamente connessa all’adozione del modello di organizzazione e gestione del D.Lgs. n. 231/2001.
 
L’articolo disponibile anche qui.

Licenziamento CEO McDonald’s: Giulietta Bergamaschi intervistata su TGCom24

La notizia del licenziamento di Steve Easterbrook, CEO di McDonald’s “colpevole” di aver violato il codice di condotta dell’azienda per aver intrattenuto una relazione sentimentale – consenziente –  con una dipendente, ha fatto il giro del mondo e sollevato interrogativi etici e giuridici anche nel nostro paese.
Intervistata da TGCom24, la nostra Managing Partner Giulietta Bergamaschi ha spiegato come il problema che le aziende intendono controllare con la sottoscrizione di queste policy interne è il conflitto di interessi nella gestione del personale: evitare situazioni di disequilibrio con ricadute negative per l’organizzazione.
Giulietta Bergamaschi ha sottolineato come in Italia la situazione sia, attualmente, diversa: i codici di condotta delle nostre aziende non sono altrettanto stringenti, si predilige una valutazione caso per caso, che tenga conto del coinvolgimento di aspetti personali (soprattutto quando c’è consensualità).
La multinazionale americana ha gestito la questione con un rigore che non è nuovo oltreoceano, dove i temi dell’etica e della trasparenza superano qualsiasi altra valutazione (anche dei risultati eventualmente portati dal dipendente, come nel caso di Steve Easterbrook).
Giulietta Bergamaschi ha concluso con una valutazione sulla probabilità che, a seguito di questa vicenda, le aziende italiane optino per un irrigidimento delle policy, attualmente più orientate alla gestione delle molestie (“altra faccia della moneta”).
L’intervista è disponibile qui.

Il “whistleblowing” prima e dopo la recente Direttiva UE in argomento

L’ultimo articolo del Prof. Francesco Bacchini sul tema “whistleblowing“, per il numero di novembre di HR Online, periodico dedicato alle Risorse Umane di AIDP.

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La figura del whistleblower (colui che, all’interno del proprio ambito lavorativo, segnala frodi, violazioni, reati, irregolarità) trova tutela, in Italia, nella L. n. 179/2017, efficace nel perimetro applicativo del D.Lgs.n. 231/2001 (che sancisce la responsabilità delle persone giuridiche per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato) e quindi rivolta ai lavoratori nei soli enti:

  • destinatari del predetto Decreto (enti forniti di personalità giuridica, società e associazioni anche prive di personalità giuridica, ai sensi dell’art.1, comma 2);
  • che si siano adeguati al sistema di compliance ivi prescritto (adozione di un modello di organizzazione e gestione e nomina dell’organismo autonomo di vigilanza).

La vigente L. 179/2017 interviene, quindi, a fronte dei soli illeciti (inclusi nell’elenco dei c.d. “reati presupposto”)che possono determinare la responsabilità dell’ente.
L’art. 2 della stessa legge impone infatti che i modelli organizzativi adottati dall’ente prevedano, a tutela del denunciante:

  • specifici canali informativi dedicati alle segnalazioni, di cui almeno uno con modalità informatiche, tali da garantire la riservatezza dell’identità del segnalante;
  • il divieto di atti di ritorsione o di discriminazione nei confronti del segnalante;
  • sanzioni per chi viola le misure di tutela del segnalante nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni poi rivelatesi infondate;
  • la previsione di una giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto di cui agli artt. 326, 622 e 623 c.p. e all’art. 2105 c.c.

Direttamente prevista dalla Legge, a beneficio del whistleblower, è l’espressa nullità (presunta, con conseguente onere di prova contraria in capo al datore):

  • del licenziamento (ritorsivo o discriminatorio);
  • del demansionamento;
  • di qualsiasi misura ritorsiva o discriminatoria per motivi collegati direttamente o indirettamente alla segnalazione.

Da tutto quanto sopra emerge, quindi, come la protezione del whistleblower sia oggi parziale e non generale, in quanto prevista solo in relazione ai reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001 e comunque rimessa alla discrezionalità dell’ente, il quale trasporrà nel proprio modello organizzativo i mezzi di tutela ritenuti più adeguati in favore del segnalante.
I margini di tutela così tracciati dalla normativa nazionale saranno sensibilmente ampliati grazie alla Direttiva approvata lo scorso 7 ottobre dal Consiglio dell’Unione Europea (da recepirsi entro il 2021), che interviene in favore dei soggetti che denuncino, in imprese private con almeno 50 dipendenti, trasgressioni del diritto eurounitario vigente in settori quali: appalti pubblici, sicurezza dei prodotti, servizi e mercati finanziari, riciclaggio, finanziamento del terrorismo, ambiente, sicurezza degli alimenti, etc…
Tra i “segnalanti” la Direttiva contempla non solo i lavoratori “in senso ampio” (dipendenti, anche pubblici, lavoratori autonomi – quali consulenti o freelance -, volontari, tirocinanti retribuiti e non, soggetti sottoposti alla supervisione e la direzione di appaltatori, subappaltatori e fornitori), ma pure azionisti e titolari di cariche (anche non esecutive) in impresa, oltre a soggetti il cui rapporto lavorativo non sia iniziato (e che siano venuti a conoscenza di violazioni in fase precontrattuale) o sia già concluso, e ancora, i facilitatori e i terzi che assistono l’informatore (ad esempio, colleghi o parenti potenzialmente esposti a ritorsioni sul lavoro).
Sotto il profilo procedurale, il segnalante disporrà di due canali di denuncia (il primo, interno all’azienda, da preferire, il secondo esterno) che, nel rispetto dei requisiti dettati dalla Direttiva, devono assicurare, anzitutto, la riservatezza del segnalante, nonché la tempestività e la trasparenza dell’intera procedura.
La Direttiva tutela inoltre l’informatore (purché quest’ultimo abbia effettuato la denuncia mediante i suddetti canali e sulla base di notizie fondatamente ritenute vere all’atto della segnalazione) con:

  1. divieto di misure ritorsive (tra cui l’art. 19 contempla, in un elenco molto dettagliato: licenziamento, retrocessione di grado, mancata promozione, mutamento di funzioni, cambiamento di luogo o di orario di lavoro, etc…)
  2. misure di sostegno e protezione (artt. 20 e 21):garanzie sul piano informativo, patrocinio gratuito a spese dello Stato, supporto psicologico, integralità del risarcimento dei danni, esonero di responsabilità per lecita acquisizione di dati strumentali alla denuncia;

Tra le misure protettive per le “persone coinvolte” (i denunciati quali responsabili della violazione o i soggetti a questi ultimi collegati) troviamo, invece: il diritto di ricorso ad un giudice imparziale, la presunzione di innocenza, il diritto di difesa, di essere sentito e di accesso al fascicolo, la riservatezza durante le indagini (art. 22).
In ultima analisi, è evidente che il recepimento della Direttiva nel sistema italiano comporterà un significativo passo in avanti verso la tutela del whistleblower, che dovrà operare a livello generale e, quindi, ben al di là di quanto previsto nei modelli di organizzazione e gestione di cui al D. Lgs. 231/2001.
L’articolo è disponibile anche qui in formato PDF