Lexellent: al via un servizio di sostegno psicologico e orientamento alle imprese nell’emergenza Covid19

Milano, 27 marzo 2020 – I clienti di Lexellent potranno da oggi usufruire di un servizio di supporto psicologico e di orientamento grazie alla collaborazione con un’equipe di psicologi del lavoro e delle emergenze.
Lexellent, oltre a dare supporto giuslavoristico alle imprese, è da sempre attento ad orientare la propria consulenza alla salute e al benessere psicofisico dei lavoratori, oggi messi a dura prova dall’emergenza Covid19 che sta impattando gravemente sulla vita di tutti.
“L’obiettivo è salvaguardare le persone e l’organizzazione aziendale” spiega la Managing Partner Giulietta Bergamaschi “così da ripartire in modo rapido e determinato alla fine di questo momento di crisi”, conclude.
In allegato la rassegna stampa in formato PDF

Emergenza Covid19: le assemblee sociali virus free

Assemblee sociali “virus free”. Il commento dell’avv. Renato D’Andrea sulle disposizioni del D.L c.d. “Cura Italia”, sulle norme in materia di svolgimento delle assemblee di società pubblicato da Diritto24.
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Webinar gratuito “La Gestione delle Risorse Umane alla luce della crisi da Coronavirus” – 25 marzo ore 13

Domani, 25 marzo alle ore 13:00, vi invitiamo al webinar gratuito in lingua francese sul tema della gestione delle Risorse umane alla luce della crisi da Coronavirus realizzato dai nostri partner francesi MGG Voltaire in collaborazione con la società LEXALERT.
A introdurre il seminario, con una panoramica sulla situazione delle aziende italiane, il nostro associate Edoardo Gandini.
a piattaforma per accedere al webinar è la seguente: https://www.lexalert.fr/seminar/webinaire-gratuit-faq-coronavirus-et-gestion-des-ressources-humaines.
In alternativa è possibile seguire il seminario anche attraverso l’applicazione gratuita scaricabile dal sito di MGG Voltaire.

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Anche il Diritto è positivo al Covid-19

Riportiamo di seguito l’articolo del Prof. Francesco Bacchini per il MAG di Legalcommunity.

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Stiamo assistendo, da alcune settimane, a una fitta decretazione soi-disant antivirale. Compito non facile, beninteso. Eppure, per le conseguenze pratiche che le nuove disposizioni producono, era lecito confidare in una ben superiore qualità redazionale.
E non ci riferiamo solo a qualche zoppia linguistica di troppo e ad una semantica talvolta ambigua o errata, come ad.es., nel caso della rubrica dell’art. 46 del d.l. n. 18/2020: “Sospensione dei termini per l’impugnazione del licenziamento”, incongruente rispetto al suo contenuto che riguarda il divieto o la sospensione delle procedure di licenziamento economico organizzativo e non già l’impugnazione della misura espulsiva, quanto piuttosto a inattesi passi falsi giuridici.
I DPCM con cui il legislatore d’urgenza (ha) prova(to) a governare il caos pandemico adoperano più volte verbi ed espressioni persuasivi, quasi preghiere (si invita a, evitare di, promuoverei raccomanda, può essere applicata), talvolta incalzanti, attraverso l’ormai solito allegro ricorso agli avverbi (è fortemente raccomandato), ma che il giurista mai si aspetterebbe di incontrare in un testo legislativo e che aprono la strada a incertezze e interpretazioni discrezionali.
La regola giuridica è tale perché, inequivocabilmente, prescrive o vieta una condotta, non in quanto formulata da un oracolo più o meno ascoltato.
Il DPCM del 9 marzo, se da un lato esprime finalmente con chiarezza che “è vietata ogni forma di assembramento di persone […]”, dall’altro dimentica la sanzione, così ridimensionando la norma e rendendone incerta l’applicazione.
E per punire i riottosi, seguendo una pessima abitudine legislativa, si è fatto ricorso a una norma penale – l’art. 650 c.p. – in bianco (ossia una fattispecie nella quale la norma di rango primario rinvia alla fonte regolamentare) e a carattere sussidiario.
È peraltro noto, sebbene il legislatore spesso ne abusi, che l’art. 650 c.p. punisce l’inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, ossia atti caratterizzati da individualità e specificità, e non delle norme, generali e astratte, quali sono quelle di cui stiamo trattando: è dunque verosimile ritenere che tra alcuni mesi le aule penali saranno ingolfate da procedimenti già incanalati su binari morti.
La fretta, si sa, è cattiva consigliera e la paura, di questi tempi, potrà relegare quanto sopra a minutaglia giuridica, eppure l’accuratezza normativa è un valore che, tanto più nel contesto attuale, dovremo imparare a coltivare.
Il contributo è qui disponibile in versione pdf.

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L’epidemia da Covid-19 è, anche e soprattutto, una questione di sicurezza e salute del lavoro.

Pubblichiamo di seguito l’ultimo contributo dell’avv  Marco Chiesara, partner, sul tema della sicurezza sul lavoro alla luce dell’epidemia in corso, uscito sul numero 8 del 2020 di HR Online, periodico dedicato alle Risorse Umane di AIDP.

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I decreti emergenziali del Presidente del Consiglio dei Ministri, soprattutto quello del 9 marzo scorso, letti in combinazione e interpretati sistematicamente nell’ottica della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, portano ad affermare che, per tutte le attività lavorative non sospese, i datori di lavoro, dopo aver promosso il massimo utilizzo delle modalità di lavoro agile in forma semplificata, ossia senza accordo individuale e con l’informativa sicurezza standard redatta dall’INAIL; dopo aver favorito la fruizione delle ferie e dei congedi nonché degli eventuali ulteriori strumenti previsti dalla contrattazione collettiva ed aver pianificato le attività aziendali necessarie, sospendendo quelle non indispensabili, (anche utilizzando gli ammortizzatori sociali), dovranno adottare tutte le misure di prevenzione e protezione in materia di salute e sicurezza discendenti dal d.lgs. n. 81/2008 e normativa collegata.
La prima misura è rappresentata dall’aggiornamento, in collaborazione con RSPP e Medico Competente,della valutazione dei rischi con riferimento a quello, “biologico generico”, da COVID-19.
Da tale valutazione discende l’obbligo di:

  • predisporre protocolli di sicurezza anti-contagio;
  • informare i lavoratori sulle misure igienico-sanitarie previste dal Ministero della Salute, anche mediante affissione e invio telematico con email e/o applicazioni della documentazione infografica messa a disposizione sul sito del Ministero della Salute e delle Regioni;
  • mettere a disposizione dei lavoratori soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani;
  • mettere a disposizione dei lavoratori dispositivi di protezione individuale (i.e. mascherine) specie laddove non sia possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro;
  • incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro e degli strumenti di lavoro.

Il sistema normativo appena delineato viene, per così dire, integrato dal “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo scorso, sottoscritto, su invito del Governo, dalle Parti Sociali, proprio in attuazione dell’art. 1 co. 1, n. 9 del DPCM 11 marzo 2020.
Preliminare all’analisi del testo e, comunque, doveroso, è domandarsi quale sia la natura giuridica del Protocollo. Sul punto occorre sottolineare, per un verso, che il Protocollo d’intesa non ha rango di fonte di legge, nemmeno secondaria, rappresentando tutt’al più una regolamentazione che potremmo definire di soft law e, per altro verso, che gli obblighi giuridici in esso richiamati nemmeno discendono dalla suddetta già intervenuta decretazione emergenziale (sulla quale molte parole potrebbero essere spese in termini di rilevante distinzione tra raccomandazione e/o promozione e prescrizione, tra obbligo e relativa sanzione e persuasione e assenza di sanzione, tra norma e provvedimento), bensì dalla legge.
Appunto per questo, la natura di vincolo giuridico dei citati adempimenti in capo al datore di lavoro deriva, innanzitutto, dall’art. 2087 c.c., nonché dall’obbligo di valutare, a norma degli artt. 28e 29 del D. Lgs. n. 81/2008, tutti i rischi che espongono i dipendenti a pericoli per la loro salute e sicurezza, eliminandoli o, comunque, riducendone per quanto possibile l’esposizione, incluso il rischio biologico da Covid-19 all’interno dei luoghi di lavoro (ex art. 266 TUSL) giacché, da un lato, il Covid-19 è definito “rischio biologico generico” nell’incipit del Protocollo d’intesa e, dall’altro, nell’allegato XLVI del TUSL è presente, fra gli altri, anche il Coronaviridae, ossia l’aggregazione (o famiglia) di virus i cui componenti sono noti come “coronavirus”.
Da tale fondamentale osservazione discende, pertanto, che i controlli che gli organi ispettivi (ATS/ASL e ITL) hanno iniziato a svolgere, come ad es. in Veneto, sul rispetto da parte delle aziende, delle misure contenute nel Protocollo, non potranno contestare la mancata attuazione dello stesso, bensì la mancata attuazione degli obblighi di cui alla legislazione di sicurezza e salute del lavoro a cui le misure declinate (informazione, formazione, controlli, igiene degli ambienti, dispositivi di protezione individuale, sorveglianza sanitaria, ma anche organizzazione aziendale, gestione di entrate e uscite, degli spostamenti interni, delle riunioni, turnazioni, spazi comuni) devono necessariamente essere ricondotte quali conseguenze dell’aggiornamento della valutazione dei rischi lavorativi di cui all’art. 28 e 29 del D.lgs. n. 81/2008.
Per aiutare i clienti a verificare e soprattutto a documentare le azioni intraprese per la gestione dell’emergenza Covid-19, abbiamo predisposto una check list(1) di controllo sui punti previsti dal DPCM 11 marzo2020 e dal Protocollo Sicurezza 14 marzo 2020.
L’utilizzo della check list dovrebbe consentire alle aziende di eseguire una verifica sistemica dei vari punti ma, soprattutto, tracciare adeguatamente le misure attuate con eventuali riferimenti a documenti ufficiali interni/esterni (disposizioni interne, circolari, informative, ecc.), risultando, inoltre, utilizzabile anche come input per la revisione del Documento di Valutazione dei Rischi.
Un’adeguata documentazione delle azioni svolte è, infatti, fondamentale per attestare il corretto comportamento del Datore di Lavoro sia verso le autorità esterne che verso i lavoratori e le loro rappresentanze.
(1) a cura di Francesco Bacchini – Lexellent e di Dario Carrettoni – Igeam S.r.l.
L’articolo è disponibile anche qui in formato PDF

Congedi parentali, permessi legge 104, bonus baby-sitting per emergenza COVID-19 – Novità del 20 marzo 2020

Il messaggio reso disponibile oggi sul sito dell’INPS e relativo ai congedi parentali, permessi legge 104, bonus baby-sitting per l’emergenza COVID-19, si limita a spiegare gli istituti disciplinati dal decreto Cura Italia. La presentazione delle domande, anche con data retroattiva, avverrà, tranne in un paio di casi nei quali si utilizza la procedura già in uso per il normale congedo parentale, con una nuova procedura telematica che sarà disponibile entro la fine del mese di marzo
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Decreto Cura Italia: Misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19

A supporto di chiunque abbia necessità di reperire informazioni sulle misure adottate dallo Stato a sostegno del lavoro, Lexellent mette a disposizione il seguente vademecum con tutte le osservazioni, in chiave giuslavoristica, al Decreto Cura Italia.

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Con riferimento al nuovo D.L. n. 18/2020 e, in particolare, alle norme ivi contenute relative alle “misure a sostegno” del lavoro e della sicurezza sul lavoro nonché alle “misure fiscali a sostegno” della liquidità delle imprese, si osserva, in chiave giuslavoristica, quanto segue.
Il D.L. è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il 17 marzo 2020, e sarà presentato alle Camere per la conversione in
legge.
Il Capo I del Titolo II ha previsto uno snellimento delle procedure necessarie per accedere agli ammortizzatori sociali e ampliato la platea dei destinatari degli stessi su tutto il territorio nazionale.
Di seguito un’analisi dei principali provvedimenti in materia di ammortizzatori sociali.
Per continuare la lettura, effettuare il download.

Produttività e contrattazione di secondo livello: la disciplina dei premi di risultato

Pubblichiamo di seguito l’ultimo contributo del Prof. Francesco Bacchini sul tema della disciplina dei premi di risultato uscito sul numero 6 del 2020 di HR Online, periodico dedicato alle Risorse Umane di AIDP.

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Al fine di ridurre il deficit strutturale che condiziona inevitabilmente la crescita del sistema-paese e con essa la tenuta del welfare state, fonte di disuguaglianze e disagio sociale, di alleggerire il carico fiscale per sostenere il reddito e, conseguentemente, i consumi delle famiglie (dei lavoratori), fornendo, contemporaneamente, impulso alla competitività delle aziende, con la l. n. 208 del 2015 (legge di stabilità per l’anno 2016) e la l. n. 232 del 2016 (legge di bilancio per l’anno 2017) il legislatore reintroduce, questa volta a titolo definitivo rispetto alla provvisorietà del passato, la tassazione agevolata dei premi di risultato (e non, per precisa scelta normativa, come avveniva in passato, del “salario o retribuzione di produttività”), ossia di quei premi, affidati obbligatoriamente alla determinazione della contrattazione collettiva di secondo livello, volti a limitare la rigidità salariale, incrementare il trattamento economico dei lavoratori in base a logiche diverse dalla retribuzione ordinaria (costituzionalmente proporzionale e sufficiente), permettendo alle imprese di assegnare quote di produttività nel salario, rendere disponibile maggiore ricchezza nei periodi di trend positivo e valorizzare in questo modo l’apporto dei collaboratori, fidelizzandoli e coinvolgendoli nelle performance dell’impresa e ciò anche nel caso del “premio di risultato con opzione welfare aziendale”, da intendersi quale “paniere” di benefici economici di utilità sociale di tipoparamonetario non rientranti nel sinallagma retributivo e, pertanto, detassati e non soggetti a contribuzione, che, sempre e solo il contratto collettivo, può consentire vengano scambiati dai lavoratori, totalmente o parzialmente, con il premio in denaro (comunque tassato, ancorché in misura ridotta).
La disciplina dei premi di risultato e della loro fruibilità anche in beni e servizi di welfare aziendale, espressamente riservata, come per il passato, al settore privato, è sancita dai commi 182-191 dell’art. 1, l. n. 208 del 2015, così come modificata dall’art. 1, comma 160, l. n. 232 del 2016, nonché dal d. interm. 25 marzo 2016 con il quale i ministri del Lavoro e dell’Economia hanno definito (in attuazione del comma 188) i criteri (misurabili rispetto ad un periodo congruo e verificabili in modo obiettivo con il riscontro di indicatori numerici o di altro genere espressamente individuati) per raggiungere gli obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione che possono consistere: nell’aumento della produzione, in risparmi dei fattori produttivi, nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro (con esclusione dello straordinario) o nel ricorso al lavoro agile.
L’elenco dei criteri di misurazione deve essere specificato nella dichiarazione di conformità del contratto collettivo aziendale o territoriale che necessariamente li pattuisce, la quale è redatta dal datore secondo il modello dell’allegato I e depositata, unitamente al contratto collettivo (in sintonia con il precetto di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 151/2015), entro 30 giorni dalla sottoscrizione, presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Nel modello sono descritti 20 indicatori di risultato (19 più uno lasciato alla libera determinazione delle parti ad evidente riprova della non tassatività dell’elencazione), fra cui si segnalano: il volume della produzione, il fatturato o il valore aggiunto (come da bilancio) divisi il numero dei dipendenti; il margine operativo lordo diviso il valore aggiunto; gli indici di soddisfazione del cliente; la riduzione degli scarti di lavorazione; il miglioramento dei tempi di consegna; le modifiche dell’organizzazione del lavoro o dei regimi di orario; la riduzione dell’assenteismo; il numero di brevetti depositati; la riduzione degli infortuni; la riduzione dei consumi energetici, e altri ancora che possono anche essere liberamente scelti dalla contrattazione collettiva di secondo livello purché siano oggettivamente rendicontabili.
È, dunque, il raggiungimento degli obbiettivi di produttività in base ai criteri di misurazione individuati dal decreto e necessariamente negoziati collettivamente, da cui dipende la detassazione dei premi di risultato di ammontare variabile corrisposti ai lavoratori.
Il limite stabilito dal legislatore per la detassazione dei premi di risultato è di 3.000€ lordi annui mentre il tetto massimo di reddito percepito dal lavoratore per usufruire dell’agevolazione fiscale è di 80.000€ lordi all’anno.
Con la modifica operata dall’art. 55 del d.l. n. 50, convertito dalla l. n. 96/2017, in forza del quale viene novellato il comma 189 della l. n. 208/2015, non è più previsto l’innalzamento dell’importo del premio di risultato detassabile a 4.000€ per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro, bensì la riduzione del 20% dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro per il regime relativo all’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti su una quota del premio di risultato non superiore a 800€. In aggiunta, con riferimento alla quota di cui sopra è prevista la corrispondentemente riduzione dell’aliquota contributiva di computo ai fini pensionistici e sulla stessa non è dovuta alcuna contribuzione a carico del lavoratore. Con questo provvedimento ulteriormente incentivante (riconducibile, pur nella sua limitata, ma non irrilevante, dimensione, all’interno della largamente inattuata cornice normativa dell’art. 46 Cost.) il legislatore reintroduce stabilmente una fattispecie di decontribuzione complementare alla detassazione, che aveva, inopinatamente, abbandonato già dal 2015.
In base all’art. 4 del d. interm., il vantaggio contributivo discende dalla previsione nel contratto collettivo (aziendale o territoriale), ancorché a titolo esemplificativo, di gruppi di lavoro nei quali agiscono responsabili aziendali e lavoratori, vale a dire gruppi misti di manager, quadri, impiegati ed operai finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione, con strutture permanenti di orientamento e monitoraggio degli obbiettivi da perseguire nonché di rendicontazione periodica dei risultati raggiunti, all’interno dei quali non rientrano, per espressa previsione regolamentare “gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione”.
L’imposta, sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali, prevista per i premi di risultato è unitariamentefissata nel 10% delle somme erogate entro i limiti appena richiamati; tuttavia, poiché essa può risultare in alcuni casi svantaggiosa, il legislatore riconosce al lavoratore il diritto di rinunciarvi espressamente con una comunicazione scritta al datore di lavoro o in sede di dichiarazione dei redditi.
Per conseguire l’agevolazione fiscale è, tuttavia, indispensabile, come precedentemente ricordato, che i premi siano erogati in esecuzione di contratti collettivi di secondo livello, aziendali (stipulati da RSU o RSA) o territoriali, in entrambi i casi negoziati con il sindacato maggiormente rappresentativo a livello nazionale, così come stabilito dall’art. 51, d.lgs. n. 81 del 2015.
Si tratta di una limitazione comprensibile, tanto nell’ottica di stimolo alla contrattazione di “prossimità” e alla realizzazione di nuovi modelli di relazioni sindacali partecipative, quanto nella prospettiva del perseguimento del risultato atteso dal legislatore, essendo il riferimento a tali contratti l’unico che può garantire aumenti di produttività reali e non solo di facciata. Innegabilmente, attesa la limitata diffusione di tale contrattazione, soprattutto nelle aziende di piccole e medie dimensioni, il rischio è quello che gran parte dei lavoratori restino esclusi dai vantaggi fiscali connessi ai premi di risultato. Con il manifesto intento di allargare la platea dei fruitori dei premi di risultato detassati (e della loro possibile conversione in servizi welfare) anche nelle piccole e medie imprese prive di rappresentanze sindacali, deve leggersi l’Accordo Interconfederale Quadro del 14 luglio 2016 stipulato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, per la definizione di accordi territoriali (a livello provinciale) in materia di agevolazione fiscale dei premi di risultato e di welfare contrattuale.
Secondo i dati del Ministero del Lavoro, al 16/12/2019 sono state compilate 52.588 dichiarazioni di conformità (moduli): 17.937 si riferiscono a contratti tuttora attivi; 13.912 sono riferite a contratti aziendali e 4.025 a contratti territoriali. Dei 17.937 contratti attivi, 13.714 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 10.369 di redditività, 8.120 di qualità, mentre 2.046 prevedono un piano di partecipazione e 9.491 prevedono misure di welfare aziendale. Prendendo, invece, in considerazione la distribuzione geografica, per sede legale, delle aziende che hanno depositato le 52.588 dichiarazioni si evidenzia che il 78% è concentrato al Nord, il 16% al Centro e solo il 6% al Sud.
L’articolo è disponibile anche qui in formato PDF

Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro

Sicurezza sul Lavoro.
Rendiamo disponibile a questo link il testo integrale del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure
per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.
Il prof. Francesco Bacchini ha commentato: “Fra le indicazioni operative decise dal Governo e dalle parti sociali nel protocollo firmato oggi per contrastare il contagio da Covid-19 nelle aziende che continuano a produrre, molte delle quali già contenute sinteticamente nei vari DPCM e, comunque, da tempo attuate dalle imprese in applicazione dei principi generali e specifici di sicurezza e salute del lavoro, merita di essere segnalata, in particolare, una misura di prevenzione e protezione, visti i forti dubbi, peraltro infondati, avanzati anche dal sindacato sulla sua legittimità, ossia quella che consente al datore di lavoro di sottoporre il personale (anche quello degli appaltatori es. imprese di pulizie, manutenzione, ecc.) prima dell’accesso al luogo di lavoro, al controllo della temperatura corporea (sempre nel rispetto della privacy del lavoratore) e di vietare l’accesso alle persone il cui stato febbrile superi i 37,5°; tali persone saranno momentaneamente isolate, fornite di mascherine e dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante seguendo le sue indicazioni“.

Anche quest’anno Lexellent e Giulietta Bergamaschi su Chambers & Partners

Chambers & Partners, tra le directories più apprezzate al mondo nel settore legale, conferma il posizionamento di  Lexellent come boutique d’eccellenza nel Diritto del Lavoro in Italia (Band 5).
Testualmente:

Per cosa è riconosciuta la squadra
“Il team di Lexellent assiste i clienti su una varietà di problemi occupazionali, tra cui salute, sicurezza, trattative sindacali, licenziamenti collettivi e individuali. Fornisce inoltre consulenza in merito alle relative controversie legali. Offre un’ampia gamma di competenze che comprende le trattative con con le rappresentanze sindacali. Rappresenta clienti nazionali e multinazionali appartenenti a diverse industry, e in particolare società in ambito Life Science.”
Mandati in evidenza

“L’assistenza a Farmaceutici Damor sulla ristrutturazione e riorganizzazione della forza lavoro dell’azienda, compreso il licenziamento di alcuni dirigenti di alto livello.”
Professionista di punta

Managing partner e capo del dipartimento, Giulietta Bergamaschi è esperta dei settori farmaceutico ed energetico. Fornisce in particolare consulenza sulle riorganizzazioni aziendali, sulle revoche di dirigenti senior e sull’attuazione delle politiche di gestione della diversity.”

Coronavirus e smart working, come difendere i dati aziendali

L’avvocato Renato D’Andrea, ha scritto per Startupbusiness un interessante approfondimento in merito all’accesso ai dati aziedali in questa fase di emergenza dettata dal Coronavirus in cui molti lavoratori sono stati messi nelle condizioni di effettuare “smart working”. 

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L’emergenza coronavirus inventiva lo smart working, ma per le aziende è necessario adottarlo insieme a cautele informatiche e comportamentali.

L’allarme Coronavirus, complice la normativa emergenziale del D.L n.6/2020 e susseguente DPCM 01 marzo 2020, sta incrementando a dismisura il già cospicuo numero di smart workers che svolgono la prestazione lavorativa al di fuori della sede aziendale e mediante device che permettono di connettersi H24 al sistema informatico datoriale.
Tale modalità lavorativa implica quindi l’accesso in remoto a svariati dati aziendali riservati, quali email commerciali, elenchi clienti e fornitori, scadenziari contrattuali, profilazioni e statistiche, disegni tecnici, layout e settaggio di impianti; altresì delegando al dipendente la gestione di dati personali (ad esempio recapiti telefonici privati) soggetti alla normativa privacy e del cui eventuale breach il datore di lavoro risponde come Titolare del Trattamento.
Sono perciò evidenti le conseguenze dannose derivanti da una divulgazione accidentale (o addirittura da abusi) di tali assett immateriali aziendali, per effetto sia di hackeraggi esterni, sia di comportamenti colposi o dolosi ascrivibili allo smart worker. Un problema che in primo luogo andrebbe affrontato con misure tecniche difensive di tipo informatico.
La protezione degli endpoint deve infatti iniziare prima che i dispositivi abbandonino il perimetro aziendale, garantendo che le patch siano aggiornate, che le vulnerabilità siano note e gestite, che siano implementati antivirus e antimalware. Si deve poi attivare il regolare backup dei dispositivi e l’uso di un’efficace crittografia dell’hard disk, così innalzando una barriera qualora il dispositivo venga hackerato, smarrito o rubato.
Ulteriori precauzioni hanno poi matrice comportamentale. Negli spostamenti gli smart workers dovrebbero cioè assicurarsi che i device restino a portata di mano, o riposti in luogo sicuro, soprattutto in aeroporti, treni e mezzi pubblici, laddove cresce esponenzialmente il rischio di smarrimento e furto. Anche il Wi-Fi pubblico andrebbe usato con cautela, mai senza che le informazioni sensibili passino attraverso una rete privata virtuale di sicurezza. Né deve tralasciarsi il fatto che un laptop aperto su un aereo, in un bar o ristorante, può attirare sguardi indesiderati.
Tali best practice, tuttavia, possono divenire cogenti solo formalizzando un’apposita policy aziendale.In altre parole, per quanto lo smart working sia una modalità incentivata e vieppiù semplificata dalla normativa emergenziale, e già immune ex art.1 L.81/2017 da vincoli di orario, luogo e postazione, in essa la tutela dei dati aziendali è pur sempre demandata all’adozione (non necessariamente contestuale all’avvio della modalità agile) di misure difensive, tecniche e negoziali, tali da “ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenere segreti” i dati aziendali, solo così “aventi valore economico” ex art. 98 Codice Proprietà Industriale.
A questo link l’articolo
 

Giulietta Bergamaschi intervistata nello Speciale Tg1 “Pari ma dispari”

Giulietta Bergamaschi intervistata di Cinzia Fiorato ed Enrica Majo parla di lavoro agile e flessibilità (dal min. -42:12 al min. -41:00)

Il lavoro agile non è soltanto una modalità per agevolare la conciliazione vita-lavoro.
È qualche cosa di più ampio che rientra tra gli strumento organizzativi dell’impresa e che va a favore sia dell’impresa che del lavoratore.
La flessibilità dell’organizzazione del lavoro alla fine consente all’impresa di trattenere al proprio interno le persone e quindi di garantirsi “a tempo indeterminato”, senza che ci sia un continuo turnover, i migliori talenti che può reperire sul mercato”.
Qui il link alla puntata dello Speciale Tg1, disponibile su RaiPlay

 
“Ogni anno 30mila donne lasciano il lavoro perché fanno figli e da quel momento diventa tutto difficile, se non impossibile. Le prospettive di carriera vacillano, scarseggiano welfare e servizi pubblici, dai costi esorbitanti quelli privati, mentre mobbing e licenziamenti restano in agguato.
Nella giornata della donna, parte da qui lo Speciale Tg1 di Cinzia Fiorato ed Enrica Majo che racconta la vita delle donne nel mondo del lavoro, ancora alle prese con disparità, ingiustizie e asimmetrie con gli uomini. Donne messe all’angolo, tagliate lentamente fuori, spesso sole ma altrettanto spesso determinate a reagire reinventando lavoro e vita.
Donne che spiegano quanto sia ancora difficile fronteggiare una cultura retrograda, nonostante l’Italia sia, insieme con la Francia, il paese che più tutela con le leggi la maternità. La sfida è conciliare i tempi del lavoro con la vita privata e se le aziende cominciano ad attuare lo smart working e prevedere forme di protezione della genitorialità, ogni giorno si fanno i conti – ancora – con aggressioni e molestie. Quattro donne, senza mostrarsi in viso per paura di ritorsioni, raccontano quelle subite sul posto di lavoro e lo fanno per aiutare le altre che non hanno il coraggio di uscire allo scoperto. Attacchi violenti e continui, molestie pesanti e gravi che creano terrore psicologico e lasciano un segno profondo. Le donne, poi, continuano ad essere discriminate anche sul piano economico.
La loro busta paga, infatti, pesa spesso la metà anche quando fanno lo stesso lavoro dei colleghi uomini e il gap occupazionale è ancora molto forte: l’Italia è penultima in Europa. Fondamentale che tutte le aziende adottino un codice etico aziendale che vieti ogni tipo di disparità tra uomo e donna.
Nel reportage l’analisi, le opinioni e le riflessioni di esperti, accademici, psicologi, giornalisti, avvocati. Un quadro sconfortante, tanto che, secondo quanto prevede il World Economic Forum, “per raggiungere la parità ci vorranno 100 anni”.
 
 
 

 

Rinnovati i vertici dell’Associazione Amici delle Stelline, Giulietta Bergamaschi nuovo Segretario

Nell’Assemblea di mercoledì 19 febbraio 2020 sono stati rinnovati i vertici dell’Associazione Amici delle Stelline, comunità presentata il 18 luglio 2013 dalla Presidente della Fondazione Stelline PierCarla Delpiano con l’obiettivo di dare vita a un contenitore culturale e divulgatore di progetti che la Fondazione intende promuovere perché possano essere realizzati in un’ottica di sviluppo concreto della città di Milano e della Lombardia.
Il Presidente neoeletto è il giornalista Fabio Massa, mentre il nuovo Segretario è l’Avvocato Giulietta Bergamaschi.
Nel Direttivo sono stati eletti l’Avvocato Giovanna Giampà (Vicepresidente), il Dottor Dario Iaccarino (Tesoriere) e la Professoressa Maria Cristina Treu.
In questi ultimi anni l’Associazione Amici delle Stelline è stata di supporto alla Fondazione Stelline con l’ideazione e la proposta di due progetti di grande successo: l’Hub Leonardo e Italia Direzione Nord.
Durante la riunione, sono stati discussi anche i nuovi progetti per il 2020: a tenere banco, i temi della creatività femminile, della scultura e della sostenibilità.
La notizia disponibile anche qui.

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Lo smart working al tempo del coronavirus

Pubblichiamo di seguito l’ultimo editoriale del Prof. Francesco Bacchini per IPSOA, sul tema del ricorso allo smart-working, anche in assenza di accordi individuali, in ragione dell’emergenza sanitaria da  Covid-19  c.d. Coronavirus.

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Nella dinamica delle misure di sicurezza anti-coronavirus utilizzabili dalle aziende, la normativa emergenziale ha incentrato la sua attenzione sullo smart working. Con una disposizione di natura temporanea, si è infatti disposto che – fino al 15 marzo 2020 – i datori di lavoro con sede in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria (e i lavoratori qui residenti o domiciliati che lavorano al di fuori da tali territori) potranno ricorrere allo smart working anche in assenza di accordi individuali. Resta, invece, confermato l’obbligo di consegna al lavoratore dell’informativa scritta sulla salute e sicurezza. E i dipendenti che non potranno svolgere il proprio lavoro a distanza?

 
Il testo del decreto legge n. 6/2020 (G.U. Serie Generale n. 45 del 23-02-2020) merita di essere commentato, per quanto di nostra competenza, giacché si occupa di alcuni aspetti di rilevanza giuslavoristica.
A tale riguardo, si rileva che il commento del decreto legge non può esse disgiunto da quello dei due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri i quali, emanati il primo in pari data, il secondo a due giorni di distanza (DPCM 25 febbraio 2020), ne contengono alcune disposizioni attuative (efficaci per un limitato periodo di tempo dall’entrata in vigore), e segnatamente le misure finalizzate al contenimento dell’epidemia nei comuni noti alle cronache sanitarie come “zona rossa” (di Lombardia e Veneto), con le quali è stata sancita la pressoché totale interruzione di ogni attività sociale ed economica nonché la “segregazione fisica” degli abitanti, unitamente ad altri provvedimenti emergenziali di portata territorialmente più ampia coincidenti con le regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, fra i quali spicca l’intervento, provvisoriamente derogatorio (interamente riscritto), della disciplina del lavoro agile di cui alla l. n. 81/2017.
Prima di addentrarci nella regolamentazione contingente del lavoro agile, occupiamoci del D.L. che ne costituisce il presupposto giuridico.
In prima battuta deve rimarcarsi, non avendo, come contesta l’OMS, ancora compreso dove sia/siano i focolai del contagio e quali le cause dello stesso, che le indicazioni topografiche di attuazione del decreto risultano quanto mai generiche; la norma, infatti, trova applicazione “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio di virus (…)”.
A fronte di questo incerto campo di vincolatività del decreto, segue una elencazione, chiaramente non tassativa, di eventuali misure, adeguate e proporzionali all’evolversi della situazione epidemiologica, che potranno essere prese, a scopo cautelare, dalle autorità competenti.
Fra codeste misure, quelle a maggiore impatto, diretto e indiretto, sul lavoro riguardano la chiusura delle attività commerciali e delle attività lavorative delle imprese (e dei lavoratori) “ad esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità (…) e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza”,
Ebbene, non essendovi stata, ad oggi, alcuna sospensione generalizzata delle attività lavorative e d’impresa – ad eccezione della richiamata “zona rossa” – spetterà al datore di lavoro decidere se e come assicurare la continuità operativa delle aziende garantendo, nel contempo, la tutela della sicurezza e della salute dei propri dipendenti e collaboratori.
Ciò dovrà avvenire valutando ex novo o aggiornando sia la valutazione relativa al rischio biologico di contagio da coronavirus, sia il protocollo sanitario elaborato dal medico competente; informando i lavoratori, anche telematicamente, sulle misure di sicurezza e salute da adottare; invitando o intimando chi fosse comunque malato dal non presentarsi sul posto di lavoro; sospendendo o riducendo le trasferte e i servizi svolti presso terzi committenti; dotando i lavoratori che debbono necessariamente prestare la propria attività di dispositivi di protezione individuale e di presidi medico chirurgici adeguati, nonché di procedure minime di sicurezza come da circolari del Ministero della Salute.
Nella dinamica delle misure di sicurezza anti coronavirus utilizzabili dalle aziende, la normativa emergenziale, in forza della previsione di cui alla lett. n) del D.L. n. 6/2020, ha incentrato la sua attenzione sulla modalità di lavoro domiciliare o a distanza. A tale proposito, merita evidenziare che all’art. 3 del DPCM del 23 febbraio, si dispone(va) l’applicabilità (efficace, ex art. 5, solo per 14 giorni dal 23 febbraio) del lavoro agile (smart working) di cui alla l. n. 81/2017, “in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”, prevedendosi, inoltre, la possibilità di adempiere gli “obblighi di informativa di cui all’art. 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, (…) in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.
Il precetto di cui sopra, invero tutt’altro che chiaro, evidenziava da subito almeno un paio di problemi interpretativi: il primo aveva ad oggetto la portata generale o specifica della norma, valida solo, si leggeva, “nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale”, così da potersi intendere, con interpretazione restrittiva, limitata alla sola “zona rossa”, mentre, con interpretazione estensiva, applicabile in tutti gli altri ambiti territoriali, nazionali o locali, via via coinvolti dal rischio epidemico; il secondo aveva a che fare con il riferimento agli obblighi di informativa di cui all’art. 23 della l. n. 81/2017, non comprendendosi se la norma si riferisse all’informativa di sicurezza sul lavoro agile, disciplinata all’art. 22, co.1, o all’invio telematico della comunicazione dell’accordo per lo svolgimento della prestazione lavorativa agile prevista dall’art. 23 co. 1, rilevante agli esclusivi fini assicurativi, anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL.
Al fine di ovviare a tali dilemmi nel nuovo DPCM, che contiene ulteriori disposizioni attuative del D.L. n. 6/2020, pubblicato nella G.U. n. 47 del 25 febbraio 2020, l’art. 3 nella precedente formulazione viene abrogato e interamente sostituito.
Per la verità la novella normativa di cui all’art. 2 del DPCM 25 febbraio, non risolve appieno i problemi sopra evidenziati, e, nella formulazione pubblicata, purtroppo lascia qualche dubbio sull’applicabilità delle deroghe temporanee alla disciplina del lavoro agile ex l. n. 81/2017: dubbi residuali in merito al profilo territoriale, dubbi sostanziali rispetto a quello dell’informativa della sicurezza sul lavoro e della comunicazione di attivazione del lavoro agile agli enti competenti.
Quanto al primo profilo di dubbio il nuovo testo sancisce, che in via provvisoria, ossia fino al 15 marzo 2020, i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, e i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa al di fuori da tali territori, potranno utilizzare la modalità di lavoro agile in ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalla legislazione di riferimento, “anche in assenza degli accordi individuali”.
Ne consegue, pertanto, che l’applicazione della modalità di lavoro agile in deroga al vincolo dell’accordo individuale opererà non solo nella “zona rossa” bensì in tutte le regioni tassativamente elencate e risulterà utilizzabile sicuramente nei confronti di ogni rapporto di lavoro subordinato posto in essere con un datore di lavoro che ha sede legale o operativa in dette regioni, nonché, ragionevolmente interpretando il provvedimento normativo, varrà anche nei confronti dei lavoratori ivi residenti o domiciliati, nel caso in cui svolgano l’attività lavorativa fuori da tali territori in quanto dipendenti da datori di lavoro con sede legale o operativa in regioni diverse da quelle appellate.
Quanto, invece, alla seconda questione, il nuovo testo ha corretto l’evidente errore commesso richiamando l’informativa dell’art. 23 della l. n. 81/2017, ora sostituita dal giusto riferimento all’art. 22 e ha confermato la previsione di assolvimento dell’obbligo di consegna al lavoratore dell’informativa in materia di sicurezza sul lavoro in via telematica, utilizzando la documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL. A tal proposito si segnala che, dal 26 febbraio, è scaricabile sul sito dell’Istituto assicuratore un modello di informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’art. 22, comma 1, l. 81/2017 che i datori di lavoro potranno utilizzare per informare i propri lavoratori agili.
Resta, pertanto, impregiudicato, anche in codesta disciplina emergenziale, l’obbligo della consegna dell’informativa scritta sui rischi (generali e specifici) “connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro” di cui all’art. 22 del D.lgs. n. 81/2017, che il lavoratore agile, per così dire, forzato, dovrà necessariamente ricevere dal datore di lavoro seppure in via telematica e con schema standardizzato.
Nonostante il venir meno, nel nuovo testo dell’art. 3 del DPCM del 23 febbraio, del riferimento all’art. 23 della l. n. 81/2017, e pur in assenza di un accordo individuale, pare doversi confermare l’obbligo in esso contenuto di comunicazione telematica per l’attivazione del lavoro agile. Conferma di ciò si trae direttamente da un comunicato del Ministero del lavoro del 24 febbraio in cui si afferma che nel caso di specie “nella procedura telematica l’accordo individuale è sostituito da un’autocertificazione che il lavoro agile si riferisce ad un soggetto appartenente a una delle aree a rischio. Nel campo “data di sottoscrizione dell’accordo”, va inserita la data di inizio dello smart working”.
In conclusione, merita di essere ricordato che non tutti i dipendenti potranno svolgere il proprio lavoro in modalità agile, sicché mentre chi, in conseguenza della tipologia di mansioni e già in possesso di strumenti tecnologici e di collegamento telematico, è in grado di operare da remoto potrà continuare a lavorare, previo coordinamento con il datore di lavoro che dovrà comunque fornire le disposizioni necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa, chi, diversamente, sempreché sano, in ragione delle mansioni e/o della mancanza di detti strumenti e collegamenti, non è in grado di lavorare a distanza, dovrà recarsi sul posto di lavoro per rendere la prestazione lavorativa o esserne espressamente temporaneamente esonerato dal datore di lavoro per motivi di sicurezza e salute, con mantenimento della retribuzione.
 
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