Lavoro sicuro post virus: un questionario online

La Repubblica – Su Affari & Finanza è stato pubblicato l’articolo sul tema dell’applicazione delle normative relative alla sicurezza sul lavoro nel contesto dell’emergenza Covid-19. All’interno dell’articolo, il commento del Prof. Francesco Bacchini, responsabile del dipartimento sicurezza di Lexellent, il quale ha sottolineato come la pandemia abbia messo in luce l’importanza delle misure di tutela dei lavoratori.
 
“Non si ferma il dibattito sulle novità normative in materia di sicurezza sul lavoro introdotte in seguito all emergenza sanitaria Covid- 19, tenendo anche conto di una possibile recrudescenza della pandemia nelle città e sui luoghi di lavoro. Quali le responsabilità per i datori di lavori per la gestione delle misure di prevenzioni della diffusione del virus? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei maggiori giuslavoristi italiani, che in questi mesi hanno dovuto affiancare le aziende nelle decisioni relative alla gestione dell emergenza Coronavirus.”
 
L’articolo completo è qui disponibile in versione pdf.

Lavoro sicuro post virus: un questionario online

La RepubblicaAffari & Finanza ha intervistato il Prof. Francesco Bacchini, responsabile del dipartimento di sicurezza sul lavoro di Lexellent, in merito a quanto la pandemia abbia contribuito a sensibilizzare gli imprenditori sul rispetto delle misure di sicurezza sul lavoro, ma anche quanto risulti per loro difficile assicurarsi di star rispettando tutte le norme. Per questi motivi Lexellent ha ideato un questionario per aiutare le aziende a monitorare la propria conformità ai protocolli anti Covid-19.
 
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«Il test, la cui idea parte dall’esperienza di assistenza legale e tecnica che abbiamo maturato durante il periodo di emergenza, è articolato in alcune domande che consentono di effettuare una veloce autoverifica della propria situazione. Al termine si possono ottenere tre diversi risultati: semaforo verde se si è in regola, arancione se ci sono dei punti da migliorare e rosso se c’è necessità di rivedere tutto il protocollo aziendale.»
 
L’articolo completo è qui disponibile in versione pdf.

Misure anti Covid-19: la tua Azienda è sicura? Verificalo con il questionario Lexellent

Lo Studio Lexellent ha pensato a come fornirvi un ulteriore contributo per adattare i luoghi di lavoro alla c.d. “nuova normalità”.
 
Per un tempo che non sappiamo prevedere, infatti, bisognerà adottare misure utili a contrastare la diffusione del virus Covid-19, così da essere rispettosi delle regole previste dai protocolli di sicurezza e al sicuro da responsabilità civili e penali.
 
Per aiutarvi in questo compito, abbiamo creato un questionario on-line che potrete completare in pochi minuti. 
 
Alla fine del questionario riceverete via e-mail un messaggio che vi informerà rispetto al vostro grado di conformità alla normativa anti Covid-19.
Vai al questionario.

Smart working da Covid-19 a fine corsa? Ragioniamo sugli scenari futuri

Di seguito l’articolo a firma del Prof. Francesco Bacchini pubblicato da IPSOA, relativo ai possibili scenari futuri dello smart working a fine emergenza Coronavirus.

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L’ascesa dello smart working è destinata ad una battuta d’arresto una volta finita l’emergenza Coronavirus? A oggi non è possibile fare previsioni. Una cosa è certa però: una volta tornati nei tradizionali luoghi deputati al lavoro – uffici, fabbriche, studi professionali, laboratori, negozi, ecc. – il lavoro agile deve (ri)trovare una dimensione normativa unitaria. Ciò potrà avvenire sia superando, in particolare, la deroga, emergenziale, alla stipulazione degli accordi individuali fra datore di lavoro e lavoratori, sia, all’opposto, disciplinando ex novo il lavoro agile. Un intervento normativo auspicato anche dal Piano Colao. Riuscirà a restituire ad aziende e lavoratori lo smart working nella sua natura novitaria e flessibile?

 
Il lavoro agile o, com’è abitualmente chiamato, lo smart working, aggettivabile “pandemico”, continua a essere al centro sia delle attenzioni (e delle polemiche) giuspolitiche che di variegate aspettative sociali, oscillando fra chi, i c.d. “abitatori delle caverne” (ossia quelli affetti dalla c.d. sindrome della “caverna”, mutazione emergenziale e parimenti costrittiva del mito di platoniana memoria, prima, seconda o terza poco importa, bella, grande, confortevole, magari al mare o in montagna che è ancora meglio) ne propugna un uso generalizzato e sine die e chi, invece, ritiene che si debba tornare alla normalità, ossia in ufficio, in fabbrica, in studio a riprendersi la vita sociale e, in modo pregiudizialmente polemico, a lavorare sul serio.
Sulla maggiore o minore produttività del lavoro da remoto, prima e, soprattutto, durante la pandemia, si è detto e scritto tutto e il suo contrario. Certamente il fenomeno è stato strumentalmente enfatizzato, nel bene e nel male, ma sull’importanza della sua momentanea e seppur non integrale utilizzazione durante le prime fasi dell’emergenza sanitaria e poi nel corso del lockdown, possono nutrirsi ben pochi dubbi. Non così, però, può affermarsi in merito all’impianto normativo decretato dal Governo per piegare la disciplina del lavoro agile alle esigenze dell’isolamento sociale, derogando sia ai vincoli e alle regole sancite nell’accordo individuale che all’informativa (e alla valutazione dei rischi) in materia di sicurezza del lavoro.
L’irresistibile odierna ascesa dello smart working, che molti vorrebbero (surrettiziamente) stabilizzare, è infatti insita nella sua impropria funzione di comoda misura segregativa anti-contagio (per così dire a costo zero) applicabile a diversi milioni di lavoratori.
Tale misura, invero mai imposta (tranne che nel pubblico impiego) sebbene fortemente raccomandata, pur avendo permesso la parziale continuità operativa di molti processi produttivi e una piena stabilità retributiva per i prestatori che hanno potuto utilizzarla, non discende da scelte pianificate e stabili esigenze organizzative aziendali, bensì dalla pragmatica necessità di lavorare permanentemente da casa durante il lockdown, necessità che è già venuta meno e, auspicabilmente, sarà completamente superata nei prossimi mesi.
Pertanto, perdurando o terminando l’emergenza sanitaria dopo il 31 luglio o, indipendentemente da questa, arrivando la disciplina speciale fino al 31 dicembre 2020, lo smart working “pandemico” necessita ormai di un sistematico e non rinviabile intervento normativo. Infatti, tanto nel caso in cui, seguitando il rischio sanitario, si imponga una normale anormalità con necessaria transizione verso nuovi paradigmi di lavoro incentrati sulla progressiva e stabile remotizzazione della prestazione, quanto in quello, decisamente preferibile, nel quale, finita l’emergenza, il lavoro torni a essere reso nei tradizionali luoghi ad esso deputati, uffici, fabbriche, studi professionali, laboratori, negozi, ecc., il lavoro agile deve (ri)trovare una dimensione normativa unitaria e durevole.
Ciò potrà avvenire sia restituendo all’ordinamento giuslavoristico l’originaria disciplina di cui al titolo II della l. n. 81/2017, superando, in particolare, la deroga, emergenziale, alla stipulazione degli accordi individuali fra datore di lavoro e lavoratori, sia, all’opposto, disciplinando ex novo la fattispecie, ormai irrimediabilmente ibridata da svariati e confusi precetti estemporanei aventi finalità preventivo-protettive e surrogative di servizi e prestazioni di natura pubblicistica non più universalmente garantibili (che, ovviamente non gli competono), avendo cura, però, di non appesantire l’istituto imponendone il ricorso “di diritto” ed evitandone la forzata sindacalizzazione che, come avvenuto per il telelavoro, finirebbe per rappresentarne il sicuro fallimento.
Tutto quanto senza tralasciare il fatto che la produttività del lavoro agile, tanto evocata in tempi di Covid-19, necessiterebbe quanto meno di puntuali e argomentate verifiche, giacché il dubbio che per molti lavoratori l’attività prestata, in modo improvvisato, in smart working, tanto nel pubblico quanto nel privato, sia stata finalizzata principalmente ad attendere agli impegni domestici e familiari adattando a questi il lavoro (comunque pagato al 100%), è, probabilmente a torto, difficile da fugare.
Ciò nonostante, prescindendo dal futuro assetto dell’istituto (che giocoforza dovrà necessariamente affrontare anche la questione del quantum salariale che tenga conto della circostanza che la prestazione è resa da casa così come la faccenda di chi sopporti i costi tecnici imprescindibili per rendere possibile la prestazione da remoto, come ad es. quelli della connessione internet), ai sensi dell’art. 1, lett. ll)-a), D.P.C.M. 11 giugno 2020, per le attività professionali, il lavoro agile continua ad essere la modalità di attuazione raccomandata e anche il Protocollo Governo – Parti sociali del 24 aprile (allegato 12 del decreto) ne suggerisce ancora il ricorso quale misura di contrasto e di contenimento della diffusione del virus Covid-19.
Anzi, in forza dell’art. 90 del D.L. 34/2020, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, il lavoro agile parrebbe evolvere da modalità concordata di prestazione lavorativa subordinata da eseguirsi parzialmente a distanza, in diritto soggettivo per tutti i genitori lavoratori dipendenti del settore privato i quali hanno almeno un figlio minore di anni 14 (l’art. 39 del D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2020 e modificato sempre dal D. L. n. 34/2020, ha previsto un diritto similare per i lavoratori disabili o affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa o immunodepressi e per i familiari conviventi di persone immunodepresse), sebbene a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore e, da ultimo, a patto che lo smart working risulti compatibile con le caratteristiche della prestazione da eseguire.
In attesa, dunque, dell’intervento normativo auspicato anche dal “piano Colao” che, invero alquanto genericamente, suggerisce di “puntare alla definizione di una disciplina legislativa dello smart working per tutti i settori, le attività e i ruoli (manageriali e apicali inclusi) compatibili, con attenzione alla pari fruibilità per uomini e donne, che lo qualifichi come opzione praticabile per aziende e lavoratori, in particolare nell’ottica della creazione di nuova impresa e/o nuovi posti di lavoro”, risulta inevitabile, de iure condito, analizzare attentamente in particolare la disciplina del richiamato art. 90 del D.L. n. 34.
Come anticipato tale norma sancisce il diritto, relativo in quanto condizionato a specifiche situazioni giuridiche e fattuali, del lavoratore genitore di figlio/i di età minore/i di 14 anni, di svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, sempreché, ovviamente, tale modalità sia compatibile con le caratteristiche dell’attività lavorativa. La questione che merita di essere indagata è se il datore di lavoro sia obbligato, fino al 31 luglio 2020, a concedere il lavoro agile per l’intero orario normale settimanale a chiunque abbia un figlio infra quattordicenne, oppure se possa negarlo almeno parzialmente. Si deve innanzitutto rilevare che, come abbiamo già avuto modo di vedere, pur essendo raccomandato il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per tutte le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza, il lavoro agile non è mai stato reso obbligatorio dalla decretazione emergenziale quale misura di sicurezza e salute e la sua utilizzazione non può certo essere pretesa e, laddove mancante o parziale, neppure contestata dagli organi di vigilanza e controllo pubblici. Muovendoci all’interno di questo perimetro normativo, è possibile ritenere che il ricorso al lavoro agile da parte del datore di lavoro resti, dunque, una facoltà e non un obbligo giuridico. E ciò anche nel caso di cui all’art. 90 comma 1 del D.L. Rilancio; infatti, interpretando due passaggi della disposizione tutt’altro che perentori: il primo rappresentato dalla locuzione “anche in assenza degli accordi individuali”, il secondo dalla locuzione “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”, in modo conforme della ratio alla disciplina del lavoro agile, è possibile affermare che il diritto di cui si tratta sconti due limiti rappresentati, il primo dagli eventuali accordi individuali attuativi delle policy aziendali sul lavoro agile tutt’ora vigenti (anche in assenza degli accordi individuali non significa affatto che detti accordi siano vietati), il secondo dalla compatibilità della modalità di lavoro agile con le caratteristiche della prestazione le quali ben possono essere decise dal datore di lavoro, ad esempio, fissando un limite di alternanza di ogni team impiegatizio in modo che non sia mai presente in azienda oltre il 50% dell’organico). Pare, dunque, sostenibile che il diritto al lavoro agile previsto dall’art. 90, co. 1 non sia incondizionato o assoluto, bensì debba essere esercitato all’interno dell’accordo individuale, beninteso se tale accordo esiste, o nei limiti di compatibilità con le caratteristiche della prestazione decise dal datore di lavoro.
Del resto, come sottolineato anche dall’inciso di cui al comma 4, si riscontra una netta differenziazione fra l’uso emergenziale del lavoro agile consentito ai datori di lavoro privati e quello imposto ai datori di lavoro pubblici.
Infatti, mentre nei confronti di questi ultimi, ossia delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, l’art. 87, comma 1, del D.L. Cura Italia, afferma che “il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa”, sancendo un vero e proprio diritto soggettivo e (quasi) assoluto del pubblico dipendente a lavorare da remoto, nei confronti dei datori di lavoro privati il lavoro agile rappresenta invece una scelta organizzativa, di sicuro fortemente raccomandata, eppure mai imposta per legge, e ciò, a ben vedere, nonostante la previsione normativa di un diritto, nemmeno nel caso dei lavoratori disabili, affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa (per i quali è riconosciuta soltanto la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile) o con figli minori di 14 anni. 
Nell’analisi della disciplina emergenziale del lavoro agile, merita altresì considerazione l’introduzione, sempre nell’art. 90 del D.L. Rilancio, della possibilità, come già previsto per i dipendenti pubblici, anche per i lavoratori del settore privato, che la prestazione di lavoro agile venga svolta “attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro”. Benché, per la verità, nella L. n. 81/2017 non si riscontri un espresso obbligo di assegnazione al lavoratore degli strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa agile da parte del datore di lavoro, risultando, pertanto, astrattamente ammissibile che il lavoratore agile possa utilizzare device propri, l’innovazione normativa risulta, comunque, piuttosto significativa. Infatti, se da una parte tale provvedimento avalla prassi aziendali la cui legittimità era prima quantomeno dubbia, dall’altra deve sensibilizzare i datori di lavoro sui molteplici rischi derivanti dalla connessione di dispositivi elettronici privati a server aziendali che custodiscono informazioni commerciali di inestimabile valore, oltre a dati personali del cui eventuale breach l’imprenditore risponde ai sensi del GDPR e della disciplina sulla privacy. Se, dunque, è legittimo far svolgere il lavoro agile tramite PC e connessioni telematiche di proprietà dei dipendenti, al tempo stesso è bene che ciò avvenga solo dopo aver messo in sicurezza tali dispositivi con l’installazione di firewall, antivirus, ecc.: o previa loro consegna all’amministratore di sistema dell’azienda, o anche, eventualmente, con apposito accesso concordato presso il domicilio del dipendente.  Altrettanto consigliabile è l’implementazione di apposite policy comportamentali, a presidio sia della cyber-sicurezza, sia della segretezza dei dati aziendali.
 
L’articolo è qui disponibile in versione pdf.

Gli ultimi ora sono i primi – Francesco Bacchini su Business People

Francesco Bacchini è stato intervistato da Alberto Tundo di Business People in merito a quanto, in tempo di crisi da pandemia, i gig worker si siano rivelati una categoria indispensabile. Una galassia ampia e composita di cui i rider sono solo un piccolo pianeta. Eppure, la legge fatica a regolare il fenomeno.
Francesco Bacchini ha quindi spiegato chi sono i gig workers e quali sono le tutele attualmente previste in Italia per questa particolare categoria di lavoratori.
Clicca qui per leggere l’articolo in formato PDF

Lexellent: al via un servizio di sostegno psicologico e orientamento alle imprese nell’emergenza Covid19

Milano, 27 marzo 2020 – I clienti di Lexellent potranno da oggi usufruire di un servizio di supporto psicologico e di orientamento grazie alla collaborazione con un’equipe di psicologi del lavoro e delle emergenze.
Lexellent, oltre a dare supporto giuslavoristico alle imprese, è da sempre attento ad orientare la propria consulenza alla salute e al benessere psicofisico dei lavoratori, oggi messi a dura prova dall’emergenza Covid19 che sta impattando gravemente sulla vita di tutti.
“L’obiettivo è salvaguardare le persone e l’organizzazione aziendale” spiega la Managing Partner Giulietta Bergamaschi “così da ripartire in modo rapido e determinato alla fine di questo momento di crisi”, conclude.
In allegato la rassegna stampa in formato PDF

Lo smart working al tempo del coronavirus

Pubblichiamo di seguito l’ultimo editoriale del Prof. Francesco Bacchini per IPSOA, sul tema del ricorso allo smart-working, anche in assenza di accordi individuali, in ragione dell’emergenza sanitaria da  Covid-19  c.d. Coronavirus.

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Nella dinamica delle misure di sicurezza anti-coronavirus utilizzabili dalle aziende, la normativa emergenziale ha incentrato la sua attenzione sullo smart working. Con una disposizione di natura temporanea, si è infatti disposto che – fino al 15 marzo 2020 – i datori di lavoro con sede in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria (e i lavoratori qui residenti o domiciliati che lavorano al di fuori da tali territori) potranno ricorrere allo smart working anche in assenza di accordi individuali. Resta, invece, confermato l’obbligo di consegna al lavoratore dell’informativa scritta sulla salute e sicurezza. E i dipendenti che non potranno svolgere il proprio lavoro a distanza?

 
Il testo del decreto legge n. 6/2020 (G.U. Serie Generale n. 45 del 23-02-2020) merita di essere commentato, per quanto di nostra competenza, giacché si occupa di alcuni aspetti di rilevanza giuslavoristica.
A tale riguardo, si rileva che il commento del decreto legge non può esse disgiunto da quello dei due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri i quali, emanati il primo in pari data, il secondo a due giorni di distanza (DPCM 25 febbraio 2020), ne contengono alcune disposizioni attuative (efficaci per un limitato periodo di tempo dall’entrata in vigore), e segnatamente le misure finalizzate al contenimento dell’epidemia nei comuni noti alle cronache sanitarie come “zona rossa” (di Lombardia e Veneto), con le quali è stata sancita la pressoché totale interruzione di ogni attività sociale ed economica nonché la “segregazione fisica” degli abitanti, unitamente ad altri provvedimenti emergenziali di portata territorialmente più ampia coincidenti con le regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, fra i quali spicca l’intervento, provvisoriamente derogatorio (interamente riscritto), della disciplina del lavoro agile di cui alla l. n. 81/2017.
Prima di addentrarci nella regolamentazione contingente del lavoro agile, occupiamoci del D.L. che ne costituisce il presupposto giuridico.
In prima battuta deve rimarcarsi, non avendo, come contesta l’OMS, ancora compreso dove sia/siano i focolai del contagio e quali le cause dello stesso, che le indicazioni topografiche di attuazione del decreto risultano quanto mai generiche; la norma, infatti, trova applicazione “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio di virus (…)”.
A fronte di questo incerto campo di vincolatività del decreto, segue una elencazione, chiaramente non tassativa, di eventuali misure, adeguate e proporzionali all’evolversi della situazione epidemiologica, che potranno essere prese, a scopo cautelare, dalle autorità competenti.
Fra codeste misure, quelle a maggiore impatto, diretto e indiretto, sul lavoro riguardano la chiusura delle attività commerciali e delle attività lavorative delle imprese (e dei lavoratori) “ad esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità (…) e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza”,
Ebbene, non essendovi stata, ad oggi, alcuna sospensione generalizzata delle attività lavorative e d’impresa – ad eccezione della richiamata “zona rossa” – spetterà al datore di lavoro decidere se e come assicurare la continuità operativa delle aziende garantendo, nel contempo, la tutela della sicurezza e della salute dei propri dipendenti e collaboratori.
Ciò dovrà avvenire valutando ex novo o aggiornando sia la valutazione relativa al rischio biologico di contagio da coronavirus, sia il protocollo sanitario elaborato dal medico competente; informando i lavoratori, anche telematicamente, sulle misure di sicurezza e salute da adottare; invitando o intimando chi fosse comunque malato dal non presentarsi sul posto di lavoro; sospendendo o riducendo le trasferte e i servizi svolti presso terzi committenti; dotando i lavoratori che debbono necessariamente prestare la propria attività di dispositivi di protezione individuale e di presidi medico chirurgici adeguati, nonché di procedure minime di sicurezza come da circolari del Ministero della Salute.
Nella dinamica delle misure di sicurezza anti coronavirus utilizzabili dalle aziende, la normativa emergenziale, in forza della previsione di cui alla lett. n) del D.L. n. 6/2020, ha incentrato la sua attenzione sulla modalità di lavoro domiciliare o a distanza. A tale proposito, merita evidenziare che all’art. 3 del DPCM del 23 febbraio, si dispone(va) l’applicabilità (efficace, ex art. 5, solo per 14 giorni dal 23 febbraio) del lavoro agile (smart working) di cui alla l. n. 81/2017, “in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”, prevedendosi, inoltre, la possibilità di adempiere gli “obblighi di informativa di cui all’art. 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, (…) in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.
Il precetto di cui sopra, invero tutt’altro che chiaro, evidenziava da subito almeno un paio di problemi interpretativi: il primo aveva ad oggetto la portata generale o specifica della norma, valida solo, si leggeva, “nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale”, così da potersi intendere, con interpretazione restrittiva, limitata alla sola “zona rossa”, mentre, con interpretazione estensiva, applicabile in tutti gli altri ambiti territoriali, nazionali o locali, via via coinvolti dal rischio epidemico; il secondo aveva a che fare con il riferimento agli obblighi di informativa di cui all’art. 23 della l. n. 81/2017, non comprendendosi se la norma si riferisse all’informativa di sicurezza sul lavoro agile, disciplinata all’art. 22, co.1, o all’invio telematico della comunicazione dell’accordo per lo svolgimento della prestazione lavorativa agile prevista dall’art. 23 co. 1, rilevante agli esclusivi fini assicurativi, anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL.
Al fine di ovviare a tali dilemmi nel nuovo DPCM, che contiene ulteriori disposizioni attuative del D.L. n. 6/2020, pubblicato nella G.U. n. 47 del 25 febbraio 2020, l’art. 3 nella precedente formulazione viene abrogato e interamente sostituito.
Per la verità la novella normativa di cui all’art. 2 del DPCM 25 febbraio, non risolve appieno i problemi sopra evidenziati, e, nella formulazione pubblicata, purtroppo lascia qualche dubbio sull’applicabilità delle deroghe temporanee alla disciplina del lavoro agile ex l. n. 81/2017: dubbi residuali in merito al profilo territoriale, dubbi sostanziali rispetto a quello dell’informativa della sicurezza sul lavoro e della comunicazione di attivazione del lavoro agile agli enti competenti.
Quanto al primo profilo di dubbio il nuovo testo sancisce, che in via provvisoria, ossia fino al 15 marzo 2020, i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, e i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa al di fuori da tali territori, potranno utilizzare la modalità di lavoro agile in ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalla legislazione di riferimento, “anche in assenza degli accordi individuali”.
Ne consegue, pertanto, che l’applicazione della modalità di lavoro agile in deroga al vincolo dell’accordo individuale opererà non solo nella “zona rossa” bensì in tutte le regioni tassativamente elencate e risulterà utilizzabile sicuramente nei confronti di ogni rapporto di lavoro subordinato posto in essere con un datore di lavoro che ha sede legale o operativa in dette regioni, nonché, ragionevolmente interpretando il provvedimento normativo, varrà anche nei confronti dei lavoratori ivi residenti o domiciliati, nel caso in cui svolgano l’attività lavorativa fuori da tali territori in quanto dipendenti da datori di lavoro con sede legale o operativa in regioni diverse da quelle appellate.
Quanto, invece, alla seconda questione, il nuovo testo ha corretto l’evidente errore commesso richiamando l’informativa dell’art. 23 della l. n. 81/2017, ora sostituita dal giusto riferimento all’art. 22 e ha confermato la previsione di assolvimento dell’obbligo di consegna al lavoratore dell’informativa in materia di sicurezza sul lavoro in via telematica, utilizzando la documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL. A tal proposito si segnala che, dal 26 febbraio, è scaricabile sul sito dell’Istituto assicuratore un modello di informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’art. 22, comma 1, l. 81/2017 che i datori di lavoro potranno utilizzare per informare i propri lavoratori agili.
Resta, pertanto, impregiudicato, anche in codesta disciplina emergenziale, l’obbligo della consegna dell’informativa scritta sui rischi (generali e specifici) “connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro” di cui all’art. 22 del D.lgs. n. 81/2017, che il lavoratore agile, per così dire, forzato, dovrà necessariamente ricevere dal datore di lavoro seppure in via telematica e con schema standardizzato.
Nonostante il venir meno, nel nuovo testo dell’art. 3 del DPCM del 23 febbraio, del riferimento all’art. 23 della l. n. 81/2017, e pur in assenza di un accordo individuale, pare doversi confermare l’obbligo in esso contenuto di comunicazione telematica per l’attivazione del lavoro agile. Conferma di ciò si trae direttamente da un comunicato del Ministero del lavoro del 24 febbraio in cui si afferma che nel caso di specie “nella procedura telematica l’accordo individuale è sostituito da un’autocertificazione che il lavoro agile si riferisce ad un soggetto appartenente a una delle aree a rischio. Nel campo “data di sottoscrizione dell’accordo”, va inserita la data di inizio dello smart working”.
In conclusione, merita di essere ricordato che non tutti i dipendenti potranno svolgere il proprio lavoro in modalità agile, sicché mentre chi, in conseguenza della tipologia di mansioni e già in possesso di strumenti tecnologici e di collegamento telematico, è in grado di operare da remoto potrà continuare a lavorare, previo coordinamento con il datore di lavoro che dovrà comunque fornire le disposizioni necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa, chi, diversamente, sempreché sano, in ragione delle mansioni e/o della mancanza di detti strumenti e collegamenti, non è in grado di lavorare a distanza, dovrà recarsi sul posto di lavoro per rendere la prestazione lavorativa o esserne espressamente temporaneamente esonerato dal datore di lavoro per motivi di sicurezza e salute, con mantenimento della retribuzione.
 
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