Pubblichiamo di seguito l’articolo dell’avv. Marco Chiesara sul tema delle molte opportunità offerte dal contratto collettivo di prossimità – per il numero 16 di HR Online, periodico dedicato alle Risorse Umane di AIDP.
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Il contratto collettivo di prossimità disciplinato dall’art. 8 del DL 183/2011 è uno strumento che offre alle imprese la possibilità di derogare, entro certi limiti e per specifiche materie, alle disposizioni di legge e di contratto collettivo per adeguarle alle condizioni e alle esigenze di organizzazione del lavoro di ciascuna azienda. Il comma 2 bis della disposizione sopra richiamata, infatti, consente ai contratti di prossimità, di operare “in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”, fermo il rispetto della Costituzione, della normativa comunitaria e delle convenzioni internazionali sul lavoro.
Se si scorre l’elenco delle materie cui le parti collettive possono derogare, risulta immediatamente evidente la rilevanza di questo strumento e la sua capacità di adattarsi in maniera sartoriale alle specifiche situazioni di ciascuna impresa. Il comma 2 della norma in esame prevede la possibilità di ricorrere a questo tipo di accordo con riferimento “a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio”. Come si può osservare, si tratta di materie che possono incidere in maniera decisiva sull’organizzazione del lavoro di una data impresa.È bene però precisare che, considerata l’eccezionalità della norma, l’elenco di cui al comma 2 è tassativo e gli accordi di prossimità non possono intervenire su materie diverse.
A conferma dell’interesse nei confronti di questo strumento, abbiamo potuto assistere recentemente a un incremento del ricorso alla stipulazione di accordi di prossimità, a seguito della stretta sul lavoro temporaneo introdotta dal c.d. Decreto Dignità (DL 87/2018): sono infatti diverse le intese che le parti collettive hanno raggiunto, allo scopo, ad esempio, di superare i vincoli legati al nuovo regime delle causali.
L’ulteriore elemento di sicuro interesse della disciplina qui esaminata è l’efficacia erga omnes degli accordi collettivi di prossimità che dunque si applicano a tutti i dipendenti dell’azienda, a prescindere dal fatto che siano o meno aderenti alle sigle sindacali che hanno sottoscritto gli accordi.
Tuttavia, considerato il loro carattere derogatorio e dunque di eccezionalità, per essere validi e superare l’eventuale scrutinio del Tribunale, gli accordi di prossimità devono rispettare le condizioni imposte dalla legge, come ha recentemente ribadito la sentenza del Tribunale di Firenze n. 528 del 4 giugno 2019.
Accanto ai requisiti e alle condizioni sino a qui ricordati, merita sottolineare che il comma 1 dell’art. 8 DL 183/2011, stabilisce che detti accordi debbano essere necessariamente finalizzati a garantire una maggiore occupazione, a favorire la qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, l’emersione del lavoro irregolare, a gestire incrementi di competitività e di salario, e alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e l’avvio di nuove attività.
A tale riguardo, la giurisprudenza di merito ha precisato che, ai fini della legittimità del contratto di prossimità e delle norme derogatorie ivi contenute, non è sufficiente il mero richiamo in via generale alle finalità enunciate nel disposto normativo, ma è necessario che le parti contraenti indichino in maniera puntuale le finalità perseguite e le circostanze di fatto che giustificano il ricorso al regime derogatorio (si vedano, in tal senso, oltre alla richiamata sentenza del Tribunale di Firenze, la precedente pronuncia della Corte d’Appello di Firenze del 20 novembre 2017). In caso di impugnazione dell’accordo stipulato, grava in capo al datore di lavoro l’onere di provare la rispondenza della disciplina contenuta nell’accordo al tipo delineato dall’art. 8 DL 183/2011.
È bene da ultimo ricordare che gli accordi di prossimità, per loro natura, possono essere siglati a livello aziendale o territoriale, non nazionale. In assenza di una specifica previsione, la definizione dell’ambito territoriale (comunale, provinciale, regionale, distrettuale) è rimessa all’autonomia delle parti sociali.
I soggetti legittimati a sottoscriverli sono, nel caso degli accordi territoriali, le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale e, nel caso di accordi aziendali, le loro rappresentanze operanti nell’impresa ai sensi della legge e dell’accordi interconfederali vigenti, incluso il TU sulla rappresentanza sottoscritto il 10 gennaio 2014 da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.
Dal, seppur sintetico, quadro sopra descritto, emerge come la contrattazione di prossimità possa davvero costituire un utile strumento per imprese e lavoratori al fine di avvicinare la disciplina del rapporto di lavoro alle specifiche esigenze di ciascuna realtà aziendale.
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