IL PATTO DI NON CONCORRENZA: LE REGOLE PER AVERE UNA PROTEZIONE EFFICACE.

La tutela del patrimonio aziendale è uno dei principali obiettivi di ogni imprenditore. Non solo dei beni materiali, i beni cosiddetti immateriali hanno altrettanto, se non maggior valore. Segreti industriali, informazioni commerciali, software hanno rappresentano spesso un valore superiore a quello dei beni fisici.
E’ ovvio perciò che molte aziende cerchino gli strumenti per proteggere questo patrimonio. Il patto di non concorrenza è una delle possibilità a cui l’imprenditore può ricorrere. Oggi peraltro è uno strumento particolarmente popolare, ma d’altronde anche nel campo giuridico, come in ogni altro campo: dal cibo all’abbigliamento, dalle auto ai viaggi, la moda e le tendenze la fanno da padrone.
Ma come per la moda esiste l’hautecouture e le sfilate dei grandi stilisti e, d’altra parte, le borse falsificate, così per il patto di non concorrenza si rischia di avere un prodotto di scarto e inutile, se non ci si attrezza in modo adeguato per avere una clausola limitativa della concorrenza effettivamente efficace. Per questo vanno seguite poche, ma determinanti regole.
Innanzitutto deve essere sottolineato che lo scopo del patto è sostanzialmente quello di impedire che il dipendente si trasferisca da un concorrente, portando con se quel bagaglio di conoscenze e soprattutto informazioni acquisite nel corso del rapporto di lavoro.
Come prima regola bisogna quindi tenere presente che il patto di non concorrenza non è utile ed efficace in se, ma lo è in funzione dell’obiettivo che si vuole proteggere. Si deve perciò effettuare una precisa analisi di “quale pericolo“ rappresenterebbe “quel” dipendente quando se ne dovesse andare, per capire se effettivamente il pericolo c’è e se il patto di non concorrenza è lo strumento giusto, o non esistano alternative altrettanto se non più valide.
Da questa premessa discende l’ovvio corollario che non esiste “il patto di non concorrenza “ma esistono tanti patti, ognuno dei quali deve essere adeguato all’obiettivo perseguito e anche, se non forse soprattutto, alla professionalità e alla personalità del lavoratore . E che non sempre il suo know how o le informazioni che detiene, per quanto importanti, sono esportabili alla concorrenza e rendono per questo necessario limitare la trasferibilità.
Deve essere inoltre sempre rammentato che la clausola è un “patto” e come tale coinvolge almeno due parti con tutto quello che ne consegue, in primis il fatto che ogni modifica deve passare da un accordo di entrambi i contraenti, e che sono soggetti a limitazioni. E non esistono scappatoie
Si tratta poi di un accordo oneroso. Questo vuol dire non solo che non è possibile ottenere una protezione a costo zero, come è ben noto, ma che la protezione che si ottiene è direttamente proporzionale al costo sostenuto. Pertanto, un patto sottopagato è un patto poco efficace.
Inoltre bisogna evitare la sindrome del piccione che attanaglia i cani quando vengono portati in una grande piazza cittadina: iniziano ad inseguire tutti gli uccelli presenti e finiscono la loro passeggiata stremati a leccare la base della fontanella dell’acqua senza averne acchiappato uno. Il patto di non concorrenza deve essere stipulato solo dove e per chi davvero serve, evitando di estenderlo a tutta la platea dei dipendenti.
Quindi provando a riassumere le regole auree per avere una buona protezione contro la concorrenza dell’ex dipendente:

  1. Individuare le aree e le informazioni chiave che effettivamente meritano di essere protette
  2. Individuare i dipendenti che sono portatori di informazioni e know how davvero sensibili ed esportabili.
  3. Verificare se il patto di non concorrenza è effettivamente lo strumento più adatto a proteggere gli interessi aziendali
  4. Non ricorrere a clausole standard (clausole google) ma personalizzare le clausole in funzione dei soggetti e dei beni coinvolti
  5. Non cercare escamotage per risparmiare perché potrebbero compromettere l’efficacia dello strumento.