Alcune considerazioni sul part-time agevolato.
Il part time per il dipendenti vicini alla pensione previsto dal Decreto Poletti non è solo un provvedimento “accessorio” che potrebbe riguardare pochi lavoratori, ma può essere una soluzione generalista che va gradualmente a sostituire l’istituto delle “buonuscite” perché conviene di più sia all’azienda che al lavoratore.
Abbiamo infatti effettuato alcune simulazioni da cui si deduce che, anche in assenza del bonus fiscale previsto dal Decreto Poletti per il part-time agevolato, la soluzione di ricorrere ad una riduzione dell’orario di lavoro come scivolo all’uscita può portare a vantaggi economici per entrambe le parti, al di là di quelli psicologici per il lavoratore, da una parte, e di quelli operativi, per l’azienda, dall’altra.
Bisogna infatti partire dal presupposto che la cessazione del rapporto di lavoro, per chi difficilmente ritroverà una occupazione, costituisce un problema non solo economico, ma anche psicologico.
Sotto il profilo economico peraltro con la risoluzione del rapporto si ha non solo una decurtazione diretta del reddito, ma anche la perdita di una serie di benefit che hanno sia un valore economico superiore a quello nominale, e al costo aziendale, ma contribuiscono anche allo status del dipendente. Si pensi ad esempio all’autovettura aziendale, alla polizza assicurativa o sanitaria, all’accesso allo spaccio aziendale, alla tessera priority di una linea area o di un treno, alla colonia per i figli, allo sky box allo stadio, alle stock option.
In questo senso quindi il ricorso al part-time quale scivolo per l’uscita diventa lo strumento per fare si che questi benefit non vengano persi e attraverso la loro erogazione, spesso a costo zero o quasi, il delta fra una retribuzione part time e quella full time sia sensibilmente inferiore al mero dato numerico rappresentato dallo stipendio.
In questo modo diviene antieconomica l’erogazione di un incentivo all’esodo, che comporta la perdita di questi benefit, e diventa viceversa più interessante trasformare il rapporto in un part time per accompagnare il lavoratore all’uscita in modo morbido, utilizzandone anche le competenze professionali in termini di staffetta generazionale.
Questo è ancor più vero se il piano di uscita è supportato da una terzo pilastro, rappresentato dal welfare aziendale.
Un piano articolato sulla riduzione dell’orario di lavoro, sulla salvaguardia dei benefit, e sull’introduzione di un welfare pensato specificamente quale scivolo verso il pensionamento può far si che il costo di uscita di un dipendente possa essere addirittura inferiore a quello di una normale risoluzione di un rapporto di lavoro.
Si pensi per esempio ad un dirigente con un anno di preavviso che riceva un incentivo all’esodo di un anno. Il costo del preavviso sarebbe di circa il 50% superiore alla erogazione costo ed a un netto del 65% .
Ma quel lavoratore insieme al lavoro perde auto, telefono, p.c., assistenza sanitaria, un pacchetto che vale, dal punto di vista del percepiente, moltissimo.
Ma se quel preavviso di un anno non lavorato, si trasforma di due anni di part-time, durante il quale il lavoratore continua a godere dei benefit legati al suo status e magari accede ad un welfare di 5/10.000,00 euro netti annui, si arriverebbe ad una situazione win-win. L’azienda non eroga una somma che rappresenta un puro costo senza alcun beneficio e viceversa si garantisce le competenza di un lavoratore che può sopportare i nuovi entrati, mentre dall’altra parte il lavoratore rinuncia sì ad un “gruzzoletto” in unica soluzione, però dall’altra parte se lo troverà pagato nell’arco di 2 anni, conservando anche una serie di benefit altrimenti persi, e cosa fondamentale, la contribuzione al 100% per l’intero periodo.