Come noto l’impresa può ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche nell’ipotesi di una gestione più economica, determinata da eventi oggettivamente sfavorevoli, di modo che le decisioni di riassetto appaiano giustificate da quell’esigenza e siano con essa in stretto nesso causale.
Come è, altresì, noto nel nostro ordinamento vige, per effetto della elaborazione giurisprudenziale, il c.d. obbligo di repechage e proprio su questo tema è intervenuta recentemente la Cassazione, sentenza n. 5592/2016, la quale ha cambiato gli equilibri sino a tal momento presenti in tema di oneri probatori.
Secondo il prevalente orientamento della Suprema Corte, sino a tale pronuncia l’onere probatorio si ripartiva tra lavoratore licenziato e datore, nel senso che il primo era onerato dalla indicazione delle posizioni che avrebbe potuto ricoprire in azienda in alternativa al licenziamento e il secondo dall’onere di provarne la copertura con l’organico esistente.
Ora, con la sentenza indicata, l’onere viene a gravare esclusivamente sul datore di lavoro, il quale dovrà provare in giudizio la completezza dell’organico tenuto conto di quanto novellato dall’art. 2103 c.c. per effetto del D.Lgs. n. 81 del giugno 2015.
Tale decisione esaminata con la nuova disciplina sulle mansioni rende ancora più gravoso l’onere datoriale poiché il suo assolvimento non potrà più limitarsi a smentire le allegazioni del lavoratore ma comporterà una comparazione dell’intero organico tra tutte le posizioni libere esistenti comprese quelle adibite a mansioni inferiori.
In una, più difficile assolvere l’onere della prova o più difficile licenziare per g.m.o.?
Direi che non è più difficile ma forse più costoso, atteso che per il mancato assolvimento dell’onere di repechage non vi è la tutela reintegratoria, ma quella risarcitoria prevista all’art. 18 L. 300/70, commi 5 e 7, quindi cessazione del rapporto si, ma con indennizzo sino a 24 mensilità.