Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ed è auspicabile che tutte le aziende organizzino eventi di sensibilizzazione sul tema perché si tratta di un fenomeno che riguarda tutti. La giornata lavorativa assorbe gran parte della vita quotidiana di ognuno e l’azienda può svolgere un ruolo educativo fondamentale, arrivando a cambiare la società.
Gli atti di violenza sessuale e le molestie sul lavoro devono essere tenuti ben distinti dagli episodi di mobbing; inoltre, è necessario distinguere i comportamenti che generano responsabilità penale, civile o sono invece censurabili solo sul piano morale.
Sul piano della responsabilità penale, commette il reato di violenza sessuale chi costringe un’altra persona a compiere o subire atti sessuali con violenza, minaccia, abuso di autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, o ancora, ingannando la persona offesa perché il colpevole si sostituisce ad altri. La pena è la reclusione da cinque a dieci anni.
Integra, invece, il reato di molestia chi reca a un’altra persona molestia o disturbo, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero per telefono, con insistenza o per altro motivo condannabile. La pena è l’arresto fino a sei mesi o l’ammenda fino a 516 euro. Considerata la poca incisività di questa contravvenzione, è compito dei giudici ricondurre i casi concreti all’ipotesi incriminatrice della violenza sessuale o delle molestie.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sezione penale, integra il reato di violenza sessuale e non quello di molestia chi tocca in modo non casuale i glutei della dipendente, ancorché sopra i vestiti. Si configura, invece, il reato delle molestie solo in presenza di espressioni verbali a sfondo sessuale o di atti di corteggiamento invasivo e insistente diversi dall’abuso sessuale.
Sotto il profilo civilistico, il Codice delle Pari Opportunità definisce le molestie e le molestie sessuali comportamenti indesiderati, posti in essere con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Le prime sono compiute per ragioni legate al sesso, mentre le seconde hanno una connotazione sessuale e si esprimono in forma fisica, verbale o non verbale.
In ambito di diritto antidiscriminatorio, al lavoratore o alla lavoratrice che subisce molestie o molestie sessuali è riconosciuta la facoltà di ricorrere al Giudice del lavoro (del luogo dove è avvenuto il fatto denunciato) che, nei due giorni successivi, convocate le parti e raccolte informazioni sommarie, se ritiene sussistente la violazione, ordina all’autore del comportamento denunciato la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale (nei limiti della prova fornita).
Le aziende possono adottare policy antidiscriminatorie e contro le violenze sessuali e le molestie per disincentivare il compimento di atti discriminatori o reati. Inoltre, le stesse possono istituire procedure di denuncia predeterminate, agevolando così le segnalazioni di comportamenti discriminatori, di violenza sessuale e di molestie.
Anche il Legislatore mantiene alta l’attenzione in materia, tanto è vero che ha appena introdotto forme di tutela per coloro che denunciano, anche questa tipologia di condotte illecite, approvando lo scorso 15 novembre la legge “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. Ogni azienda dovrà, dunque, aggiornare i modelli di organizzazione e gestione di cui alla legge n. 231 del 2001.