Il Tribunale di Bergamo nel caso Ryanair conferma che non vi può essere una doppia imposizione previdenziale per aziende con più sedi nell’Unione Europea.

Il Tribunale di Bergamo, sezione lavoro, ha rigettato le pretese dell’INPS di ottenere i versamenti previdenziali relativi ai dipendenti italiani di Ryanair che operano all’aeroporto di Orio al Serio.
Il Tribunale di Bergamo ha confermato la sentenza emessa nell’ottobre scorso dal Tribunale di Bologna, conforme alle posizioni espresse dalla Corte di Cassazione italiana e dalle sezioni Lavoro dei Tribunali di Velletri e di Brescia, oltre che da molti tribunali in Europa, che hanno stabilito come il luogo di lavoro dell’equipaggio di una compagnia aera sia l’aeromobile dove svolgono le loro mansioni.
La contestazione dell’INPS di Bergamo era relativa al personale Ryanair in partenza dall’aeroporto di Orio al Serio. L’INPS aveva chiesto a Ryanair il versamento di 9 milioni di contributi già regolarmente pagati in Irlanda.
La sentenza di Bergamo conferma un principio chiave della normativa europea, ovvero che non vi può essere una doppia imposizione previdenziale per i dipendenti di aziende con sede in un paese comunitario che operino in un altro paese, ove gli obblighi previdenziali siano stati correttamente assolti nel paese dove l’azienda ha sede.
Ryanair in Italia, per quanto riguarda le questioni attinenti al diritto del lavoro, è assistita dallo Studio Lexellent, nelle persone degli avvocati Sofia Bargellini e Sergio Barozzi.
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Ryanair: sentenza favorevole sui contributi versati in Irlanda ai dipendenti italiani.

Nuova vittoria in un tribunale italiano per Ryanair, la compagnia aerea irlandese prima in Italia per numero di rotte coperte e numero di passeggeri trasportati. Dopo la sentenza del tribunale di Bologna dello scorso ottobre, ieri anche il tribunale di Bergamo, sezione lavoro, ha rigettato le pretese dell’Inps di ottenere i versamenti previdenziali relativi ai dipendenti italiani di Ryanair in partenza dall’aeroporto di Orio al Serio. Questo giudizio conferma le posizioni espresse dalla Corte di Cassazione italiana e dalle sezioni lavoro dei tribunali di Velletri e di Brescia, oltre che da molti tribunali in Europa, che hanno stabilito come il luogo di lavoro dell’equipaggio di una compagnia aera sia l’aeromobile dove svolgono le loro mansioni.
Ryanair in Italia, per quanto riguarda le questioni attinenti al diritto del lavoro è assistita da Lexellent, studio giuslavoristico milanese nelle persone degli avvocati Sofia Bargellini e Sergio Barozzi (nella foto). Sergio Barozzi, managing partner di Lexellent, ha dichiarato: «La sentenza de giudice di Bergamo ha confermato quanto ormai dovrebbe apparire chiaro a tutti. Ovvero che nulla è dovuto all’Inps una volta assolti gli obblighi contributivi della compagnia verso i dipendenti italiani nel paese dove la compagnia ha sede. Ci auguriamo che questa logica e corretta interpretazione dei fatti non venga ulteriormente messa in discussione da altre azioni legali contro il nostro cliente sullo stesso argomento».
La contestazione dell’Inps di Bergamo era relativa al personale Ryanair in partenza dal l’aeroporto di Orio al Serio. L’Inps aveva chiesto a Ryanair il versamento di 9 milioni di contributi già regolarmente pagati in Irlanda. La sentenza di Bergamo conferma un principio chiave della normativa europea, ovvero che non vi può essere una doppia imposizione previdenziale per i dipendenti di aziende con sede in un paese comunitario che operino in un altro paese, ove gli obblighi previdenziali siano stati correttamente assolti nel paese dove l’azienda ha sede.

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Lexellent vince con Ryanair contro l’Inps.

Legittimi i contributi versati in Irlanda per i dipendenti italiani.

Lexellent, con Sofia Bargellini e Sergio Barozzi, ha difeso con successo la compagnia aerea irlandese Ryanair.

Dopo la sentenza del Tribunale di Bologna dello scorso ottobre, ieri anche il Tribunale di Bergamo, sezione lavoro, ha rigettato le pretese dell’Inps di ottenere i versamenti previdenziali relativi ai dipendenti italiani di Ryanair in partenza dall’aeroporto di Orio al Serio.
L’ente previdenziale aveva chiesto a Ryanair il versamento di 9 milioni di contributi già regolarmente pagati in Irlanda.
Il nuovo giudizio conferma le posizioni espresse dalla Corte di Cassazione italiana e dalle sezioni lavoro dei Tribunali di Velletri e di Brescia che hanno stabilito come il luogo di lavoro dell’equipaggio di una compagnia aera sia l’aeromobile dove svolgono le loro mansioni.
La sentenza di Bergamo conferma un principio chiave della normativa europea, ovvero che non vi può essere una doppia imposizione previdenziale per i dipendenti di aziende con sede in un paese comunitario che operino in un altro paese, ove gli obblighi previdenziali siano stati correttamente assolti nel paese dove l’azienda ha sede.
 

Sicurezza sul lavoro, attività criminosa di terzi e attentati terroristici: valutazione del rischio e responsabilità datoriale.

A seguito degli attentati di Bruxelles del 22 marzo scorso e di Parigi del 13 novembre 2015 (ma anche, e non solo, di quelli del 2 dicembre 2015 all’Inland Regional Center di San Bernardino, in California, e del 7 gennaio 2015, sempre a Parigi, alla sede del giornale “Charlie Hebdo”), intervenuti in locali commerciali aperti al pubblico o in uffici, luoghi della mquotidianità lavorativa, risulta non solo opportuno ma anche doveroso affrontare il tema di un’eventuale responsabilità datoriale per morte o infortunio del lavoratore in conseguenza di un attacco terroristico sul posto di lavoro o, comunque, in occasione di lavoro.
La domanda che occorre porsi è la seguente: un datore di lavoro che, nel rispetto dell’obbligo, di ampissima portata, di cui all’art. 2087 c.c., abbia apprestato ogni misura di sicurezza concretamente possibile alla luce dell’evoluzione tecnica e scientifica relativa ai rischi creati direttamente dal proprio processo produttivo, ma non anche quelle discendenti dalla pericolosità del teatro sociale politico, economico ed ambientale nel quale la propria attività si esplica, va esente da responsabilità in caso di atti criminosi di terzi – ossia di rapine, sequestri o attentati terroristici – che abbiano causato infortuni e malattie professionali o fin anche la morte dei propri collaboratori?
Ebbene, il fulcro della questione è stabilire se tali eventi siano prevedibili e, come tali, valutabili, eliminabili o contenibili da parte del datore, predisponendo le adeguate misure di sicurezza, o se, invece, lo stesso possa sempre invocare la causa di forza maggiore o il caso fortuito, con l’effetto di escludere un’eventuale propria responsabilità.
La risposta, tutt’altro che banale, è, però, piuttosto semplice: l’obbligo di valutare ogni rischio per la salute e la sicurezza non può riguardare, acriticamente, tutti i possibili fattori di pericolo ai quali astrattamente e genericamente potrebbero essere esposti i lavoratori, bensì solo quelli che, sebbene “esogeni”, vale a dire di matrice esterna rispetto all’attività aziendale in senso proprio, abbiano la ragionevole e concreta possibilità, per frequenza e peculiarità settoriale, di manifestarsi all’interno di una determinata attività lavorativa.
Ciò significa, senza dimenticare che l’ordine e la sicurezza pubblici devono essere disciplinati e garantiti dallo Stato, che la valutazione del rischio attentati e aggressioni criminali, nonché l’attuazione delle relative misure di contrasto (variamente modulabili in relazione alla gravità dell’esposizione), potrà legittimamente pretendersi – sempre in stretto collegamento con le indicazioni e l’attività delle Forze dell’Ordine – solo in quei territori (in particolare all’estero nei Paesi c.d. “Hot Spot”) e in quegli ambiti produttivi per loro natura sensibili a tali minacce: in particolare, in aeroporti e stazioni, nei trasporti urbani ed extra urbani, nelle manifestazioni sportive o negli spettacoli musicali e teatrali, in ospedali, scuole e università, in alberghi e villaggi turistici, ma anche negli stabilimenti di produzione di sostanze, agenti o preparati nocivi per l’uomo e per l’ambiente; o, ancora, nel settore dell’energia, sia che si tratti di strutture di produzione che di centrali di distribuzione nelle aree urbane, nel settore delle forniture idriche, compresi gli impianti di potabilizzazione o distribuzione nella rete idrica urbana, nel settore dei trasporti di merci pericolose e in quello della raffinazione e dei depositi di carburanti con alte capacità di stoccaggio; o, più in generale, in tutti quegli ambienti affidati alla vigilanza delle Guardie Giurate “particolari”, qualora non gestiti direttamente dalle Forze dell’Ordine (e si fa riferimento, ad esempio, al rischio rapina, oramai doverosamente valutato e governato, ma solo nel settore bancario e postale, nel trasporto, custodia o maneggio di valori e nella distribuzione commerciale).
Secondo, quindi, la ricostruzione prospettata – peraltro condivisa da recente giurisprudenza – l’obbligo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori renderebbe necessario per il datore l’apprestamento di adeguati mezzi di tutela anche nei confronti dell’azione criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione sia insita nella tipologia di attività esercitata nonché nelle plurime reiterazioni degli eventi in un determinato arco temporale e in un territorio definito.
Il Tribunale di Ravenna, in particolare, con decisione del 23 ottobre 2014, nel caso di un lavoratore, operante in cantiere sito in un Paese estero, infortunatosi in occasione di un attentato kamikaze ad opera di Al Qaeda, ha rinvenuto la responsabilità del datore di lavoro nell’art. 2087 c.c. quale noma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, osservando che l’infortunio subito dal lavoratore fuori dal cantiere per fatto compiuto da terzi possa ascriversi, dal punto di vista causale, anche a responsabilità del datore di lavoro quando vi sia collegamento eziologico tra il fatto e il lavoro e venga dimostrata la consapevolezza da parte dello stesso del rischio incombente sull’incolumità fisica dei propri lavoratori, avendo egli predisposto, in via precauzionale, solo alcune parziali – e, quindi, non sufficienti/adeguate – misure di salvaguardia per fronteggiare proprio quel tipo di rischio specifico verificatosi.
Nella specie, il giudice di prime cure, nella lunga motivazione, ha evidenziato che: “il rischio di attentati e di danni all’incolumità personale dei lavoratori in Algeria era una delle condizioni di rischio dell’attività di lavoro che l’impresa datrice svolgeva e che avrebbe dovuto fronteggiare con misure protettive adeguate, rispettando i dettami dell’art. 2087 c.c. Proprio in queste condizioni di rischio prevedibile, il lavoro diventa, sul piano obiettivo, una delle condizioni o antecedenti causali dell’evento lesivo (ex art. 42, c. 2 c.p.) ancorché commesso da terzi; per tale motivo, inoltre, non rileva che al momento del fatto il dipendente non stesse lavorando, ma si trovasse fuori dal cantiere”.
Concludendo, pare pertanto prudente ed utile che, in alcuni ambiti territoriali ed in alcuni settori intrinsecamente sensibili, ma non indistintamente in ogni attività di produzione o di scambio di beni e servizi, si proceda ad un aggiornamento della valutazione dei rischi lavorativi in relazione, appunto, all’esposizione da parte dei propri lavoratori al pericolo di attentati terroristici ed aggressioni criminali nel luogo o in occasione dei lavoro.

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Responsabilità professionale. La legge è quasi pronta, ma le assicurazioni forse no.

Per costruire un sistema di responsabilità assicurata, occorre contare su un mercato assicurativo efficiente, efficace ed a condizioni tariffarie e normative accessibili. Ma l’Autorità nazionale di vigilanza sulle assicurazioni, nella sua ultima relazione annuale di giugno 2015, ha denunciato una perdurante problematicità del rischio med-mal. Per il numero ridottissimo di compagnie e la notevole concentrazione del mercato.
Esiste una capacità assicurativa congrua per una responsabilità obbligatoriamente assicurata? In questi giorni il Senato sta esaminando il disegno di legge 2224 “Gelli”, già approvato dalla Camera in gennaio. Sono in corso presso la Commissione Sanità le audizioni e la ricognizione dei vari interessi rappresentati è in fase conclusiva.
Il disegno di legge ha numerosi meriti, cercando in pratica di circoscrivere la responsabilità civile e penale del medico. Meglio di quanto sia riuscito al decreto “Balduzzi”, poi convertito con parecchie, e peggiorative, modifiche nella vigente legge 158/2012. Come già la “Balduzzi”, anche il disegno-legge “Gelli” si fonda su un regime di responsabilità assicurata – polizze obbligatorie per professionisti e strutture – poco curando, però, di accertare preventivamente le condizioni reali del mercato assicurativo. Ossia se l’offerta del mercato assuntivo abbia caratteristiche adeguate ad assorbire la domanda di copertura, generata dall‘obbligo per tutti di assicurarsi, medici ed ospedali.
Ed in effetti il d.pr. – che la “Balduzzi” prevedeva a disciplinare le condizioni minime delle polizze – non ha mai visto la luce, dopo tre anni di trattative tra medici ed assicurazioni. Ognuno comprende, dunque, come il tema sia alla base della riforma e da appianare prima della sua approvazione. Sarebbe stato come se, all’epoca di istituire l’obbligo della r. c. auto, il legislatore non si fosse premurato di verificare con il mondo assicurativo la capacità di accoglimento della generalizzata domanda di garanzia.
Certo si pensa che un mercato, prima insufficiente, si adatti presto alle nuove necessità della domanda. Ma un mercato bloccato non è detto che si sblocchi. Come non si è sbloccato dopo la “Balduzzi”. Peraltro la problematicità dell’offerta assuntiva per la med-mal è nota da anni. Certamente dai tempi, ancora recenti, di quella ristrettezza che aveva permesso alla Faro Assicurazioni di creare la sua posizione dominante nel mercato. E causato il successivo dissesto per centinaia di milioni e la sua messa in liquidazione coatta, lasciando diversi ospedali con sinistri mai pagati.
Oggi fortunatamente non ricorrono questi estremi. Pur tuttavia Ivass (autorità nazionale di vigilanza sulle assicurazioni) nella sua ultima relazione annuale di giugno 2015 ha denunciato una perdurante problematicità del rischio med-mal. Per il numero ridottissimo di compagnie e la notevole concentrazione del mercato.
Ivass tiene ora sotto osservazione il mercato e negli scorsi giorni ha inviato una circolare a tutti gli assicuratori ed agli organismi di rappresentanza degli assicurati per seguire da vicino l’andamento di questo ramo. Data la portata dei rilievi, forse una parola di chiarezza anche dall’Autorità di Garanzia della Concorrenza e del Mercato (antitrust) aiuterebbe l’affidamento del settore. Del resto la situazione bloccata del mercato assicurativo med-mal è ribadita nelle audizioni parlamentari in corso dal principale intermediario del mercato, pertanto non può essere trascurata.
E’ dunque encomiabile predisporre un regime di responsabilità obbligatoriamente assicurata, perché di depotenziano i conflitti medico-paziente e, contemperando gli interessi contrapposti, si restituisce serenità e fluidità alla professione ed alla sanità tutta, di cui costituisce il perno.
Però per costruire un sistema di responsabilità assicurata, occorre contare su un mercato assicurativo efficiente, efficace ed a condizioni tariffarie e normative accessibili. Come bisogna porre attenzione alla sostenibilità di quel settore assicurativo, indebolito da un rapporto sinistri-premi ingestibile, che ha motivato l’esodo delle principali compagnie.
La cura? E’ nota. Tenere più bassi i risarcimenti e snellire il contenzioso risarcitorio, mantenendo al tempo stesso una quota di cointeressenza in capo all’operatore sanitario, per renderlo sempre partecipe e sensibile della necessità di prevenire il rischio. Mentre sullo snellimento del contenzioso, il disegno-legge Gelli si pronuncia, sul contenimento risarcitorio lascia al ddl Guidi sulla concorrenza il compito di tabelle risarcitorie meno gravose, con limitazione del danno extra-patrimoniale.  Ma il provvedimento sulla concorrenza, che si applica in genere al danno alla persona anche originato da altre cause, come l’incidente stradale, trova diverse resistenze.
Dunque, se non si rimuovono gli ostacoli alla sostenibilità dei conti assicurativi, certo da vigilare come prescrive Ivass, è lecito nutrire qualche riserva sul repentino ripopolarsi della fauna di assicuratori med-mal.  Da qui gli interrogativi sulla capacità della riforma Gelli di risolvere la questione della responsabilità professionale medica, mobilitando i risarcimenti assicurativi auspicati.
L’autoassicurazione è la soluzione? O è parte del problema?
Gli incerti contorni del rischio med-mal – a) sinistri elevati per quantità e valori medi; b) statistiche degli eventi avversi poco affidabili; c) regole sulla responsabilità ondivaghe – determinano la scarsa offerta assuntiva.
Le coperture, quando si trovano, sono costose e prevedono notevoli franchigie, per le strutture sanitarie. Solitamente dai 500mila euro in su. Lasciando dunque una significativa porzione del rischio in capo alla struttura, che deve perciò gestire in proprio i sinistri entro quella soglia. Da qui la soluzione di ritenere direttamente tutto, o quasi, il rischio med-mal all’interno delle strutture sanitarie. La così detta auto-assicurazione, per la quale hanno optato le regioni Toscana, Liguria, Emilia (vedi ultimo rapporto Agenas 2015).
Gli assicuratori la chiamano auto-ritenzione del rischio e il legislatore (decreto Madia n.90 del 2014) “misure analoghe” alla assicurazione. Ora, come faccia una “misura analoga” ad essere l’opposto di quella cui dovrebbe corrispondere resta un mistero. Se l’assicurazione è – per definizione – trasferimento del rischio ad un terzo, l’auto-ritenzione non può essere misura analoga. E’ misura opposta e, se l’assicurazione è obbligatoria, contra legem.
Anzi, vigente l’obbligo assicurativo, già una garanzia assicurativa che lasciasse una quota non residuale (per non dire, di fatto, significativa) del rischio in carico all’ente sanitario, dovrebbe configurare già inadempienza dell’obbligo di trasferimento al terzo assicuratore. Figurarsi la totale auto-ritenzione. Dunque essa non è misura analoga alla polizza.
Ma c’è di più. Se dovesse essere considerata misura (ad ogni effetto) analoga, l’auto-ritenzione dovrebbe andare soggetta alle stesse regole dell’assicurazione. Ovvero la capacità di costituire riserve, garantendole nel tempo come imposto dalle norme sulle assicurazioni (codice, più regolazione di stabilità e vigilanza). Così oggi non è.
La capacità di stanziare idonee riserve implica: a) la valutazione statistica del probabilità di dover risarcire il sinistro denunciato; b) l’appostamento della somma prudenzialmente stimata nell’anno di competenza presunto, in cui la spesa diventa ragionevolmente probabile; c) la possibilità di segregare le somme pretese dei sinistrati, rispetto a quelle degli altri creditori a diverso titolo dell’ente sanitario; d) la individuazione di criteri di sostenibilità delle riserve, rispetto alla dotazione patrimoniale dell’ente sanitario, etc. Senza contare l’impatto dei piani di rientro per quegli enti sanitari che ne presentano necessità.
E oggi chi certifica, prima, e vigila, poi, su questi appostamenti di auto-assicurazione delle regioni?
Come previsto nel d.lgs. 118/2011, i bilanci sanitari – da quando la contabilità regionale non va più per cassa, ma per competenza e dunque risponde a criteri di contabilità finanziaria e patrimoniale – devono essere certificati da revisori ufficiali dei conti ed in ogni caso, successivamente, controllati dalle apposite sezioni regionali della Corte dei Conti.
Ma il disegno Gelli prevede che l’osservatorio della sicurezza in sanità sia svolto da Agenas. Bene sarebbe se ci fosse un controllo incrociato con Ivass, attesa l’equivalenza dell’auto-ritenzione alle misure assicurative.  Altri commentatori individuano nella assicuratrice pubblica Consap il soggetto idoneo a controllare la tenuta contabile dell’auto-ritenzione. Tuttavia, data la natura di assicuratrice di questo soggetto, e non di ente vigilante, un tale compito parrebbe estraneo rispetto al mandato istituzionale di Consap. Comunque sia, un controllo sostanziale e non formale si impone nella tenuta della contabilità della auto-ritenzione.
Si auspica che il Senato voglia tenere conto di queste semplici osservazioni, che vengono condivise in svariati ambiti tra i professionisti del ramo.
A. Tita
 

“The Lawyer” premia l’impegno formativo e consulenziale di Lexellent sul tema delle diversità.

L’attenzione e l’impegno dedicati da Lexellent alla formazione e alla consulenza sul fronte delle diversità sono stati tra i fondamentali elementi che hanno portato lo studio legale specializzato in diritto del lavoro a essere il vincitore del premio Law Firm of the Year – Italy indetto da “The Lawyer”, la nota testata legale del Regno Unito.
Unica boutique italiana tra i candidati al premio al pari di altri importanti studi legali internazionali, Lexellent ha ottenuto l’ambito riconoscimento per aver aperto le porte a nuove vedute nel giuslavoro, anche e soprattutto ponendo un’attenzione particolare al tema delle diversità, cui ogni anno dedica, in particolare, uno speciale evento formativo a novembre.
La giuria, composta da professionisti e general counsel di studi legali e multinazionali, ha attribuito il premio perché Lexellent “… non solo si impegna a garantire una consulenza di alto livello, ma si adopera anche a cambiare il diritto del lavoro in Italia”. Ma il punto di forza, a detta dei giudici, è l’impegno verso le diversità: “Lo studio ha dato vita a una practice dedicata alle diversità che consente di offrire consulenza e formazione su questo tema, con particolare attenzione alle questioni LGBT e con l’obiettivo di cambiare l’approccio delle aziende italiane nei confronti delle diversità. Un particolare encomio a Lexellent per la sua ‘coraggiosa’ scelta strategica e per l’attenzione alla cultura e alla responsabilità sociale”.
“Noi promuoviamo la cultura delle diversità per offrire un’opportunità di crescita”, conferma con soddisfazione Sergio Barozzi, managing e founding partner dello studio, “siamo uno ‘studio umano’ che lavora con le ‘risorse uman e’, non solo degli specialisti in diritto del lavoro. Questo è il nostro vero valore aggiunto”.
E Giovanni Battista Benvenuto, founding partner, aggiunge: “Il premio ci gratifica e ci consente di continuare il nostro percorso che ha come obiettivo l’eccellenza, prova ne è l’ultima nostra iniziativa ‘No Excellence No Fee’: sulla base della fiducia che caratterizza i rapporti con i nostri clienti noi non fatturiamo la consulenza qualora non sia stata di totale soddisfazione. Un servizio speciale e unico nel panorama legale italiano. Come è unico anche un dipartimento Pari opportunità all’interno di uno studio legale”.
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Lawyer European Awards 2016, a Lexellent il premio Law Firm of the year – Italy.

Lexellent trionfa ai Lawyer European Awards 2016. In occasione del più importante e ambito premio del settore legale, lo studio milanese si è aggiudicato il premio Law Firm of the Year – Italy.
Lexellent –insieme con altri importanti studi legali internazionali – si tratta di un importante riconoscimento che testimonia lo sforzo costante di tutto il team per aver saputo garantire la crescita mantenendo un alto livello di professionalità e un rapporto preferenziale con i propri interlocutori. Inoltre, Lexellent si è messa in luce per aver aperto le porte a nuove vedute nel giuslavoro. Secondo la giuria, infatti, lo studio legale “non solo si impegna a garantire una consulenza di alto livello, ma si adopera anche a cambiare il diritto del lavoro in Italia”: “Lexellent ha dato vita a una practice dedicata alle diversità che consente di offrire consulenza e formazione su questo tema, con particolare attenzione alle questioni Lgtb e con l’obiettivo di cambiare l’approccio delle aziende italiane nei confronti delle diversità”. Infine, i professionisti e general counsel di studi legali e multinazionali che hanno assegnato il premio hanno messo in luce la “coraggiosa strategica” e “l’attenzione alla cultura e alla responsabilità sociale” dello studio.
“Grande soddisfazione per tutti noi che ci siamo impegnati a far crescere lo studio dando particolare ossigeno alla practice dedicata alle Pari opportunità”, ha commentato Sergio Barozzi, managing e founding partner di Lexellent presente alla premiazione. “Rispondiamo alle aspettative non solo per la professionalità, che diamo quasi per scontata, ma anche per la nostra attenzione al sociale, all’inclusione e alle pari opportunità e in questo modo instauriamo un rapporto empatico e solido”. E sulla menzione per la diversity. Barozzi ha aggiunto: “Promuoviamo la cultura delle diversità per offrire un’opportunità di crescita; siamo uno studio umano che lavora con le risorse umane, non solo degli specialisti in diritto del lavoro; questo è il nostro vero valore aggiunto”.
Soddisfatto anche Giovanni Battista Benvenuto, founding partner di Lexellent: “Il premio ci gratifica e ci consente di continuare il nostro percorso che ha come obiettivo l’eccellenza, prova ne è l’ultima nostra iniziativa No Excellence No Fee: sulla base della fiducia che caratterizza i rapporti con i nostri clienti noi non fatturiamo la consulenza qualora non sia stata di totale soddisfazione. Un servizio speciale e unico nel panorama legale italiano”.

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INTERVISTA SUL LAVORO AGILE.

L’avv. Giangrande, senior associate dello studio, è stato intervistato sul tema del lavoro agile e di come ha partecipato alla giornata del 18 febbraio.
Per seguire l’intervista cliccare qui.
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Quando il controllo del datore di lavoro sul lavoratore assume rilevanza penale.

Si sta parlando molto della riforma dei controlli a distanza che ha riscritto l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, nel tentativo di rendere più attuale la sua applicazione, alla luce della diffusione delle moderne tecnologie, che hanno creato nuovi strumenti di lavoro che possono essere, allo stesso tempo, strumenti di controllo.
Lo scopo dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è quello di contemperare, da un lato, gli interessi dell’impresa, e quindi la libertà di organizzazione del lavoro e della produzione e, dall’altro, il diritto del lavoratore a non essere sottoposto a “controlli a distanza”, durante lo svolgimento delle sue mansioni sul luogo di lavoro.
Tralasciando gli aspetti prettamente giuslavoristici, in questo articolo ci soffermeremo su alcune situazioni riconducibili a diversi casi di controllo del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori, realizzati sia mediante la registrazione di comunicazioni audio sia attraverso video riprese effettuate negli uffici aziendali dei lavoratori.
Il primo di questi casi è quello di un datore di lavoro che, dopo essersi introdotto all’interno dell’ufficio dell’amministratore delegato, chiuso a chiave, vi fa installare a sua insaputa un registratore con annessa telecamera e microfono.
L’altro, riguarda invece il titolare di uno studio dentistico che, al fine di controllare se i propri dipendenti ricevessero i pagamenti direttamente dai clienti, fa installare in segreto, all’interno dei locali in cui veniva svolta la prestazione dentistica da parte dei suoi sottoposti, delle telecamere nascoste con sistema audio integrato e collegate ad un registratore posto nel proprio ufficio privato che, attraverso il personal computer, gli consente l’ascolto e la visione, in diretta e in differita, di immagini e conversazioni dei dipendenti.
Con una pronuncia relativamente recente la Corte di Appello di Milano ha ritenuto che i due casi integrassero i reati di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) e interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p.), piuttosto che la sola violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (Corte App. Milano, Sez. V, 26.02.2014, n. 1630).
La Corte milanese giunge a tale soluzione, ritenendo che l’ufficio privato in cui si svolge attività lavorativa rientra nella nozione di “domicilio”, di cui all’art. 614 c.p., cui rinvia l’art. 615 bis c.p.
In questo senso, la citata sentenza della Corte di Appello di Milano, nell’individuazione del “domicilio”, ha valorizzato, richiamando la giurisprudenza della Sezioni Unite (Cass. S.U., 28.3.2006, n. 26795), non tanto il luogo in sé, ma il rapporto sussistente tra persona e luogo, precisando in particolare che “gli atti della vita privata non vanno confusi con quella della vita intima e familiare”, ma comprendono altre attività “lavorative, ricreative, politiche, culturali, religiose” nelle quali si estrinseca la personalità dell’individuo (Corte App. Milano, Sez. V, 26.02.2014, n. 1630).
In quest’ottica, è opportuno richiamare le ultime decisioni giurisprudenziali, secondo cui a caratterizzare i “luoghi di privata dimora” sarebbero l’ammissibilità dell’interclusione al pubblico, con la possibilità di svolgere attività al riparo da interferenze esterne e la natura privata dell’attività che il luogo è destinato ad accogliere. In tale luogo, infatti, il titolare vanta, oltre allo ius excludendi, anche il diritto alla riservatezza di quanto si svolge al suo interno (Cass. Pen., 04/03/2006, n. 26795).
Il punto focale, nel senso dell’applicabilità delle norme penali, è rappresentato dunque dal luogo in cui sono state effettuate le registrazioni audio e le video riprese, e cioè l’ufficio personale delle vittime, un luogo “assolutamente privato”, per le ragioni evidenziate sopra.
A tal riguardo, ci viene in aiuto l’esempio cui ricorrono i giudici della Corte di Appello di Milano. Una telecamera installata sopra una catena di montaggio, alla quale è addetto un numero imprecisato di lavoratori, ove non autorizzata, integrerà la mera violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori; mentre la medesima telecamera installata nell’ufficio di un impiegato, che possa chiuderne a chiave la porta, integrerà i reati di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) e interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p.).
Alla luce delle considerazioni svolte, si può ritenere senz’altro che non si possa configurare il reato di interferenza illecita nell’altrui vita privata nel caso in cui venga accertato che la telecamera, installata all’ingresso di un luogo di lavoro, non sia in grado di riprendere l’attività lavorativa svolta all’interno dello stabilimento (Cass. Pen., Sez. V, 09/010/2012, n. 1044).
Parimenti, non si configura il reato previsto dall’art. 615 bis c.p., nel caso di notizie o immagini, sotto forma di riprese filmate, acquisite negli ambienti di lavoro di uno stabilimento industriale, non potendo tali locali essere qualificati, a differenza di quanto deve ritenersi con riguardo agli uffici che costituiscono sede dell’impresa, luoghi di privata dimora (Cass. Pen., Sez. V, 04/06/2001, n. 35947).
In definitiva, il reato di interferenze illecite nella vita privata punisce le intrusioni nel domicilio altrui realizzate mediante insidiosi mezzi tecnici, quali ad esempio strumenti di ripresa visiva o sonora, all’insaputa o contro la volontà di chi ha lo ius excludendi. Così, con le illecite interferenze, la lesione della riservatezza può consumarsi anche nei locali ove si svolge il lavoro dei privati, come ad esempio lo studio professionale, il ristorante, il bar, il negozio in genere, ma anche l’ufficio personale di un lavoratore dipendente.
È importante dunque che le aziende siano consapevoli che le condotte poste in essere per il controllo a distanza dei lavoratori possono, in alcuni casi, superare i limiti previsti dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e sfociare in ambito penale.

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La Diversity ai tempi del Jobs Act.

Questo’oggi, la Commissione Formazione Continua dell’AGI ha organizzato un incontro sul tema della Diversity con il seguente programma:
Modera:

  • Avv. Simonetta Candela, Avvocato giuslavorista in Milano

Relatori:

  • Prof. Cristina Alessi, Professore associato di Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Economia e Management
  • Avv. Giulietta Bergamaschi, Avvocato giuslavorista in Milano, studio Lexellent
  • Avv. Alberto Guariso, Docente a contratto presso l’Università di Brescia in diritto antidiscriminatorio
  • Maurizio Zoè, Segretario generale coordinamento Fisac Cgil Intesa San Paolo

A seguito dell’incontro l’avv. Bergamaschi mette a disposizione il testo del proprio intervento dal titolo “Le politiche di diversity in azienda”. Per scaricare il documento cliccare qui.

The Lawyer premia Lexellent.

Ieri sera a Londra, Lexellent, studio legale specializzato in diritto del lavoro, ha vinto l’ambito premio Law Firm of the Year 2016 – Italy indetto dalla nota testata legale del Regno Unito. La boutique milanese porta a casa un riconoscimento importante che testimonia lo sforzo costante di tutto il team per aver saputo garantire la crescita mantenendo un alto livello di professionalità e un rapporto preferenziale con i propri interlocutori e poi, non ultimo, per aver aperto le porte a nuove vedute nel giuslavoro. Da notare soprattutto che Lexellent è l’unica boutique italiana tra i candidati al premio al pari di altri importanti studi legali internazionali.
La giuria, composta da professionisti e general counsel di studi legali e multinazionali, ha attribuito il premio con la seguente motivazione: “… non solo si impegna a garantire una consulenza di alto livello, ma si adopera anche a cambiare il diritto del lavoro in Italia….. I Clienti includono sia nomi noti in Italia e nel mercato globale sia senior executive che cercano un parere legale…. Ma il punto di forza a detta dei giudici è l’impegno verso le Diversità. Lo studio ha dato vita ad una practice dedicata alle Diversità che consente di offrire consulenza e formazione su questo tema, con particolare attenzione alle questioni LGBT e con l’obiettivo di cambiare l’approccio delle aziende italiane nei confronti delle Diversità. Un particolare encomio a Lexellent per la sua “coraggiosa” scelta strategica e per l’attenzione alla cultura e alla responsabilità sociale”.
Al ricevimento del premio, Sergio Barozzi, managing e founding partner dello studio, ha detto: “Grande soddisfazione per tutti noi che ci siamo impegnati a far crescere lo studio dando particolare ossigeno alla practice dedicata alle Pari Opportunità. Noi rispondiamo alle aspettative non solo per la professionalità, che diamo quasi per scontata, ma anche per la nostra attenzione al sociale, all’inclusione e alle pari opportunità e in questo modo instauriamo un rapporto empatico e solido. Promuoviamo la cultura delle Diversità per offrire un’opportunità di crescita. Siamo uno studio umano che lavora con le risorse umane, non solo degli specialisti in diritto del lavoro. Questo è il nostro vero valore aggiunto.”
Un commento anche da parte di Giovanni Battista Benvenuto, founding partner: “Il premio ci gratifica e ci consente di continuare il nostro percorso che ha come obiettivo l’eccellenza, prova ne è l’ultima nostra iniziativa No Excellence No Fee: sulla base della fiducia che caratterizza i rapporti con i nostri clienti noi non fatturiamo la consulenza qualora non sia stata di totale soddisfazione. Un servizio speciale e unico nel panorama legale italiano. Come è
unico anche un dipartimento Pari Opportunità all’interno di uno studio legale.”
In sintesi sono state premiate la qualità e le ampie vedute, e per Lexellent è solo un punto di partenza.

Lexellent: Law Firm of the Year 2016, secondo The Lawyer.

lawyer-european-logoIeri sera a Londra, Lexellent ha vinto l’ambito premio Law Firm of the Year – Italy indetto dalla nota testata legale del Regno Unito. La boutique milanese porta a casa un riconoscimento importante che testimonia lo sforzo costante di tutto il team per aver saputo garantire la crescita mantenendo un alto livello di professionalità e un rapporto preferenziale con i propri interlocutori e poi, non ultimo, per aver aperto le porte a nuove vedute nel giuslavoro. Da notare soprattutto che Lexellent è l’unica boutique italiana tra i candidati al premio al pari di altri importanti studi legali internazionali.
La giuria, composta da professionisti e general counsel di studi legali e multinazionali, ha attribuito il premio con la seguente motivazione: “… non solo si impegna a garantire una consulenza di alto livello, ma si adopera anche a cambiare il diritto del lavoro in Italia….. I Clienti includono sia nomi noti in Italia e nel mercato globale sia senior executive che cercano un parere legale…. Ma il punto di forza a detta dei giudici è l’impegno verso le Diversità. Lo studio ha dato vita ad una practice dedicata alle Diversità che consente di offrire consulenza e formazione su questo tema, con particolare attenzione alle questioni LGBT e con l’obiettivo di cambiare l’approccio delle aziende italiane nei confronti delle Diversità. Un particolare encomio a Lexellent per la sua “coraggiosa” scelta strategica e per l’attenzione alla cultura e alla responsabilità sociale”.
Al ricevimento del premio, Sergio Barozzi, managing e founding partner dello studio, ha detto: “Grande soddisfazione per tutti noi che ci siamo impegnati a far crescere lo studio dando particolare ossigeno alla practice dedicata alle Pari Opportunità. Noi rispondiamo alle aspettative non solo per la professionalità, che diamo quasi per scontata, ma anche per la nostra attenzione al sociale, all’inclusione e alle pari opportunità e in questo modo instauriamo un rapporto empatico e solido. Promuoviamo la cultura delle Diversità per offrire un’opportunità di crescita. Siamo uno studio umano che lavora con le risorse umane, non solo degli specialisti in diritto del lavoro. Questo è il nostro vero valore aggiunto.”
Un commento anche da parte di Giovanni Battista Benvenuto, founding partner: “Il premio ci gratifica e ci consente di continuare il nostro percorso che ha come obiettivo l’eccellenza, prova ne è l’ultima nostra iniziativa No Excellence No Fee: sulla base della fiducia che caratterizza i rapporti con i nostri clienti noi non fatturiamo la consulenza qualora non sia stata di totale soddisfazione. Un servizio speciale e unico nel panorama legale italiano. Come è unico anche un dipartimento Pari Opportunità all’interno di uno studio legale.”
In sintesi sono state premiate la qualità e le ampie visioni, e per Lexellent è solo un punto di partenza.
LEXELLENT-The-Laywer-European-Awards-2016-Sergio-Barozzi
 

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LA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO: NUOVE PROSPETTIVE ALLA LUCE DELLE NOVITÀ DEL JOBS ACT E DELLA LEGGE DI STABILITÀ.

A seguito del seminario, Lexellent mette a disposizione il materiale presentato durante l’incontro:

“La contrattazione di 2° livello. Nuove prospettive alla luce delle novità del Jobs act e della nuova legge di stabilità”.

@Milan – [Via Borghetto 3 – Milan] – [Start: 09:00] – [End: 13:00]
[Members Events]

Wednesday 9 March 2016 9-13
Lexellent – Via Borghetto 3 – Milan (MM1 Porta Venezia)
PANEL:
-Sergio Barozzi, Partner Lexellent
-Francesco Bacchini, Of Counsel – Lexellent, Professor – University of Milan ‘Bicocca’
-Paola Lova,  Bernoni Grant Thornton
-Angelo De Filippo, Director Adelaide Consulting
>>Programme<<
Spaces are limited for this event – which will be held in Italian.
For information or to reserve your place contact: 02 8725171 or lexellent@lexellent.it

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LAVORO AGILE: IL LEGISLATORE È SULLA STRADA GIUSTA?

Lo scorso giovedì 18 febbraio in occasione della Giornata del Lavoro Agile ho incontrato l’Avv. Giulietta Bergamaschi, partner dello studio legale Lexellent ed esperta in materia di sicurezza del lavoro e pari opportunità, da tempo sostenitrice dello Smart Working. Abbiamo piacevolmente scambiato due chiacchiere a Roma e, come spesso capita nelle mie recenti interviste, questa volta l’abbiamo fatto davanti a un piatto di pollo al curry. Di cosa abbiamo parlato? Un estratto qui sotto:
Il disegno di legge per il Lavoro Agile attualmente in discussione nel Parlamento è un grande passo avanti. Tuttavia ci sono ancora dei lati oscuri. Ad esempio in merito alla copertura assicurativa. Lei cosa ne pensa della normativa proposta? Andremo mai verso una copertura 7 giorni su 7 e h 24?
Sono sempre stata una sostenitrice del Lavoro Agile e per questo non posso che accogliere con favore il disegno di legge proposto dal Governo (all’inizio di febbraio 2016 è stato presentato un altro DDL a firma del Sen. Maurizio Sacconi, a mio parere più vincolante e limitativo di quello proposto dal Governo e rispetto al quale nutro qualche perplessità). Il DDL governativo dispone che il lavoratore in modalità di Lavoro Agile abbia diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali per rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. Il DDL non indica come in concreto questo diritto verrà attuato per cui sarà necessario un coordinamento normativo. La copertura assicurativa è altresì garantita per il percorso da casa e viceversa rispetto al luogo prescelto per la prestazione dell’attività lavorativa, tenuto conto del contemperamento fra le esigenze connesse alla prestazione di lavoro, la conciliazione fra le esigenze di vita e lavorative del lavoratore agile e il generale principio della ragionevolezza. Allo stato, la copertura 7 giorni su 7 e h 24 si scontra con l’obbligo di rispettare, ai sensi dell’art. 13 comma 2 lett. a) del DDL, l’orario di lavoro giornaliero e settimanale, come da legge e da CCNL applicabile. Tuttavia, non possiamo escludere futuri adeguamenti legislativi anche in tema di orario di lavoro.
Alcune aziende e (ahimè) i sindacati sono spaventati, perché più che considerare i reali benefici, si soffermano sulle paure di non controllare tale fenomeno. Ma lo Smart Working comporta una revisione dell’organizzazione e l’abbandono del controllo a favore dell’instaurazione di un rapporto fiduciario tra manager e team. Inoltre stanno cambiando i nostri stili di vita e spesso la Legge poco si adatta ai nuovi contesti socioculturali. Come il Legislatore può facilitare questo percorso e la diffusione “sana” dello Smart Working?
Da un po’ di anni a questa parte, il Legislatore del lavoro si trova a rincorrere i cambiamenti socioculturali o alternativamente a recepire consolidati orientamenti giurisprudenziali. I cambiamenti socioculturali più innovativi vengono perseguiti solo da alcune imprese, a prescindere dal contesto normativo; molte altre realtà imprenditoriali hanno bisogno di muoversi nell’ambito di una cornice legislativa che indichi loro il percorso da seguire; in questo senso, la legislazione sul Lavoro Agile potrà indicare la strada a aziende e lavoratori che, disposti a mettersi in gioco, non amano muoversi in autonomia, ma necessitano di una legislazione “smart” per avviare la sperimentazione.
Non capita spesso di confrontarsi sul tema dello Smart Working con professionisti del mondo legale. Qual è il principale limite? Troppa innovazione (spesso limitata da pratiche obsolete) oppure scarsa voglia di cambiare? Crede che lo Smart Working possa attuarsi all’interno delle realtà come le vostre?
L’idea è che il mondo legale sia rigido e restio al cambiamento, ma non è del tutto vero. Effettivamente Lexellent ha aperto le porte a politiche di conciliazione vita-lavoro proprio mediante l’implementazione di un progetto di lavoro agile, disponibile per uomini e donne, per garantire maggiore benessere e quindi un livello di soddisfazione personale superiore per tutti. Per portare a termine questo progetto, avviato in concomitanza con Expo, abbiamo presentato ai nostri collaboratori una serie di soluzioni in co-working per facilitare le opportunità di contatto e ottimizzare i tempi di spostamento in città. È mia opinione che la professione forense possa essere facilitata dal lavoro agile, anche perché tutti i limiti insiti nel rapporto di lavoro subordinato sono nel nostro caso facilmente superabili. Essere innovativi è importante per lavorare meglio, ma anche per essere di esempio: uno studio che consiglia ad un cliente una soluzione che ha sperimentato anche al proprio interno ha un vantaggio in termini di credibilità.

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Tita nuovo “of counsel” dello studio legale Lexellent.

Lexellent, studio legale specializzato in diritto del lavoro, continua con la sua espansione nell’ottica del Villaggio Globale del Diritto del Lavoro grazie all’ingresso di un nuovo of counsel, Alberto Tita (nella foto).
Tita entra in studio portando con sé un’esperienza professionale nel settore contratti per lavoratori autonomi definendone le responsabilità, i vincoli e i doveri.

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Lexellent, da un nuovo “of counsel” al seminario sulla contrattazione.

Lexellent, studio legale specializzato in diritto del lavoro, continua con la sua espansione nell’ottica del Villaggio Globale del Diritto del Lavoro grazie all’ingresso di un nuovo of counsel, Alberto Tita.
Il Alberto Tita entra in studio portando con sé il proprio spirito libero, in tutti i sensi, sia per carattere e formazione, sia, e soprattutto, per esperienza professionale infatti si occupa di contratti per lavoratori autonomi definendone le responsabilità, i vincoli e i doveri. Un nuovo, importante tassello nel geometrico mosaico del Diritto del Lavoro capace di garantire alle aziende una consulenza ancora più specializzata.
Ma la crescita dello studio va oltre i confini interni, Lexellent contribuisce anche alla crescita formativa dei propri clienti. Il 9 marzo alle ore 9, ha luogo il primo corso sulla Contrattazione di II Livello con l’obiettivo sia di sottolineare le potenzialità dei contratti collettivi aziendali sia di contribuire alla gestione strategica dei rapporti di
lavoro e delle politiche retributive interni.
L’incontro, che si rivolge principalmente ai responsabili delle RU, è ad ingresso libero previa iscrizione via mail lexellent@creativeconnection.it

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Tita “of counsel” per Lexellent.

Lexellent ha annunciato l’ingresso di Alberto Tita come of counsel. Tita si occupa di contratti per lavoratori autonomi definendone le responsabilità, i vincoli e i doveri.
Precedentemente è stato of counsel dello studio Candian e, dal 1990 al 2009, chief corporate affairs di Fiera Milano.

Jobs Act e sicurezza sul lavoro: “un’occasione mancata”.

Il Jobs Act si è occupato, sia direttamente che indirettamente, anche della disciplina che tutela la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Escludendo i riflessi indiretti sulla materia discendenti dal D.lgs. n. 23/2015 e dal D.lgs. n. 81/2015 in tema di contratti di lavoro e mansioni, le modifiche e le integrazioni dirette sono state introdotte dal D.lgs. n. 151/2015, in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 5, L. n. 183/2014 avente lo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonché degli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.
In particolare, le disposizioni modificative ed integrative del D.lgs. n. 81/2008 (c.d. T.U. Sicurezza) sono contenute nell’art. 20, oltre che ricomprese nell’art. 22 con riferimento all’apparato sanzionatorio in caso di sospensione dell’attività imprenditoriale interessata da violazioni.
L’intervento normativo, per quanto auspicato da tempo, contiene tuttavia modifiche poco incisive e piuttosto marginali, lasciando pertanto inalterate le principali criticità, concretandosi prevalentemente nell’abrogazione di alcuni adempimenti burocratico-formali e in qualche utile correzione ma di impatto assai limitato, sicché la dottrina e gli esperti della materia sono concordi nel ritenere la novella “un’occasione mancata”.
Se, infatti, alcune misure sono certamente apprezzabili sul piano pratico, come ad esempio l’abolizione dell’obbligo di tenuta del registro degli infortuni oramai da trasmettersi per via telematica (art. 53 T.U.), altri invece hanno riguardato prevalentemente la parte c.d. istituzionale, come la composizione del Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza (art. 5 T.U.) e della Commissione consultiva permanente (art. 6 T.U.), oppure l’aggiornamento delle funzioni di quest’ultima, con particolare riguardo alla rielaborazione delle procedure previste anche con riferimento alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato.
Una modifica condivisibile, anche se non di particolare rilievo, ha avuto ad oggetto il lavoro accessorio (art. 3, co. 8, T.U.) in relazione alla esplicitazione dell’assunto secondo cui le norme speciali vigenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori si applicano (solo) nei casi in cui la prestazione lavorativa sia svolta a favore di un committente imprenditore o professionista e vengono escluse con riferimento ai c.d. piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili, stante la particolare brevità delle prestazioni e la stretta contiguità esistente tra lavoratore e datore di lavoro.
Un’altra variazione da menzionare ha riguardato il volontariato (art. 3, co. 12-bis, T.U.): nella specie, viene precisato che ai volontari si applica la norma che prevede obblighi di sicurezza attenuati, relativi ai componenti dell’impresa familiare ed ai lavoratori autonomi, potendo comunque essere definite modalità di estensione delle tutele mediante appositi accordi tra i soggetti interessati, da un lato, e le associazioni di volontariato o gli enti di servizio civile, dall’altro. Preme rilevarsi tuttavia che, qualora la prestazione del volontario venga effettuata nel contesto aziendale, il datore di lavoro (nella definizione di cui al T.U.) sarà comunque tenuto a fornire al soggetto informazioni specifiche sui rischi e sulle misure di sicurezza adottate, nonché ad eliminare o ridurre al minimo i rischi da interferenze tra attività del volontario ed organizzazione dell’impresa.
In relazione alla valutazione dei rischi (art. 28, co. 3-ter, T.U.) è stato, poi, previsto che l’INAIL renda disponibili al datore di lavoro, anche in collaborazione con le ASL, “strumenti tecnici e specialistici” per la riduzione dei livelli di rischio e che con decreto ministeriale saranno individuati strumenti di supporto per la valutazione dei rischi tra cui quelli informatizzati secondo il prototipo europeo OIRA – Online Interactive Risk Assessment (art. 29, co. 6-quater, T.U.).
Si registra, poi, la novella che consente lo svolgimento diretto da parte datoriale dei compiti di primo soccorso, prevenzione incendi ed evacuazione anche oltre la precedente soglia prevista di 5 dipendenti, ferma restando l’eccezione nei casi in cui, per legge, è obbligatoria la presenza del SPP interno (art. 34 T.U.).
Con riferimento al Titolo III del T.U. relativo alle attrezzature di lavoro, viene individuata una nuova definizione di “operatore”, che si estende sino a comprendere il datore che faccia uso di un’attrezzatura di lavoro, e viene introdotta una specifica abilitazione alla conduzione dei generatori di vapore (correggendosi così anche alcune imperfezioni contenute nel testo di legge ante riforma).
Di un qualche rilievo è, infine, la rivisitazione dell’impianto sanzionatorio del Titolo I del T.U. che si arricchisce di nuove previsioni. Il legislatore delegato individua, in particolare, una serie di precetti relativi alla sorveglianza sanitaria ed alla formazione la cui violazione determina il raddoppio dell’importo della sanzione qualora la violazione si riferisca a più di 5 lavoratori o la triplicazione nel caso di più di 10 lavoratori. A tale ultimo proposito, si rileva che si tratta di un provvedimento certamente utile ma di portata troppo limitata, anche alla luce dell’ampiezza della delega legislativa, e che sarebbe stato opportuno rivisitare interamente la disciplina nel senso di privilegiare la sanzione amministrativa, lasciando quella penale per contravvenzione ai casi più gravi, nei quali l’adempimento è strumento di decisione strategica, di pianificazione degli interventi, di scelta del livello di prevenzione e di tutela della salute.
Quanto sopra elencato – e quel poco altro che per necessità di sintesi si è deciso di non richiamare – rende, purtroppo, chiara l’idea della marginalità delle misure adottate.
Il passo da intraprendere avrebbe dovuto essere, invece, quello di un reale sforzo riformatore sorretto da un’adeguata ricognizione dei ben noti problemi applicativi e interpretativi propri di questa materia così complessa.
Per ora non ci si può che accontentare delle piccole semplificazioni decise dal Jobs Act, ma il soddisfacimento delle esigenze che provengono dalle aziende per avere procedure più snelle e più efficaci con meno oneri formali – senza per questo trascurare la visione sistematica della disciplina – restano largamente disattese. Così, nonostante i decisi passi avanti fatti da datori di lavoro e lavoratori, ancora lunga è la strada, anche dopo questa ennesima (mini) riforma, per poter affermare una piena e consapevole diffusione della “cultura” della salute e della sicurezza in tutti i settori produttivi, i luoghi di lavoro e le organizzazioni aziendali.

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