A seguito degli attentati di Bruxelles del 22 marzo scorso e di Parigi del 13 novembre 2015 (ma anche, e non solo, di quelli del 2 dicembre 2015 all’Inland Regional Center di San Bernardino, in California, e del 7 gennaio 2015, sempre a Parigi, alla sede del giornale “Charlie Hebdo”), intervenuti in locali commerciali aperti al pubblico o in uffici, luoghi della mquotidianità lavorativa, risulta non solo opportuno ma anche doveroso affrontare il tema di un’eventuale responsabilità datoriale per morte o infortunio del lavoratore in conseguenza di un attacco terroristico sul posto di lavoro o, comunque, in occasione di lavoro.
La domanda che occorre porsi è la seguente: un datore di lavoro che, nel rispetto dell’obbligo, di ampissima portata, di cui all’art. 2087 c.c., abbia apprestato ogni misura di sicurezza concretamente possibile alla luce dell’evoluzione tecnica e scientifica relativa ai rischi creati direttamente dal proprio processo produttivo, ma non anche quelle discendenti dalla pericolosità del teatro sociale politico, economico ed ambientale nel quale la propria attività si esplica, va esente da responsabilità in caso di atti criminosi di terzi – ossia di rapine, sequestri o attentati terroristici – che abbiano causato infortuni e malattie professionali o fin anche la morte dei propri collaboratori?
Ebbene, il fulcro della questione è stabilire se tali eventi siano prevedibili e, come tali, valutabili, eliminabili o contenibili da parte del datore, predisponendo le adeguate misure di sicurezza, o se, invece, lo stesso possa sempre invocare la causa di forza maggiore o il caso fortuito, con l’effetto di escludere un’eventuale propria responsabilità.
La risposta, tutt’altro che banale, è, però, piuttosto semplice: l’obbligo di valutare ogni rischio per la salute e la sicurezza non può riguardare, acriticamente, tutti i possibili fattori di pericolo ai quali astrattamente e genericamente potrebbero essere esposti i lavoratori, bensì solo quelli che, sebbene “esogeni”, vale a dire di matrice esterna rispetto all’attività aziendale in senso proprio, abbiano la ragionevole e concreta possibilità, per frequenza e peculiarità settoriale, di manifestarsi all’interno di una determinata attività lavorativa.
Ciò significa, senza dimenticare che l’ordine e la sicurezza pubblici devono essere disciplinati e garantiti dallo Stato, che la valutazione del rischio attentati e aggressioni criminali, nonché l’attuazione delle relative misure di contrasto (variamente modulabili in relazione alla gravità dell’esposizione), potrà legittimamente pretendersi – sempre in stretto collegamento con le indicazioni e l’attività delle Forze dell’Ordine – solo in quei territori (in particolare all’estero nei Paesi c.d. “Hot Spot”) e in quegli ambiti produttivi per loro natura sensibili a tali minacce: in particolare, in aeroporti e stazioni, nei trasporti urbani ed extra urbani, nelle manifestazioni sportive o negli spettacoli musicali e teatrali, in ospedali, scuole e università, in alberghi e villaggi turistici, ma anche negli stabilimenti di produzione di sostanze, agenti o preparati nocivi per l’uomo e per l’ambiente; o, ancora, nel settore dell’energia, sia che si tratti di strutture di produzione che di centrali di distribuzione nelle aree urbane, nel settore delle forniture idriche, compresi gli impianti di potabilizzazione o distribuzione nella rete idrica urbana, nel settore dei trasporti di merci pericolose e in quello della raffinazione e dei depositi di carburanti con alte capacità di stoccaggio; o, più in generale, in tutti quegli ambienti affidati alla vigilanza delle Guardie Giurate “particolari”, qualora non gestiti direttamente dalle Forze dell’Ordine (e si fa riferimento, ad esempio, al rischio rapina, oramai doverosamente valutato e governato, ma solo nel settore bancario e postale, nel trasporto, custodia o maneggio di valori e nella distribuzione commerciale).
Secondo, quindi, la ricostruzione prospettata – peraltro condivisa da recente giurisprudenza – l’obbligo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori renderebbe necessario per il datore l’apprestamento di adeguati mezzi di tutela anche nei confronti dell’azione criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione sia insita nella tipologia di attività esercitata nonché nelle plurime reiterazioni degli eventi in un determinato arco temporale e in un territorio definito.
Il Tribunale di Ravenna, in particolare, con decisione del 23 ottobre 2014, nel caso di un lavoratore, operante in cantiere sito in un Paese estero, infortunatosi in occasione di un attentato kamikaze ad opera di Al Qaeda, ha rinvenuto la responsabilità del datore di lavoro nell’art. 2087 c.c. quale noma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, osservando che l’infortunio subito dal lavoratore fuori dal cantiere per fatto compiuto da terzi possa ascriversi, dal punto di vista causale, anche a responsabilità del datore di lavoro quando vi sia collegamento eziologico tra il fatto e il lavoro e venga dimostrata la consapevolezza da parte dello stesso del rischio incombente sull’incolumità fisica dei propri lavoratori, avendo egli predisposto, in via precauzionale, solo alcune parziali – e, quindi, non sufficienti/adeguate – misure di salvaguardia per fronteggiare proprio quel tipo di rischio specifico verificatosi.
Nella specie, il giudice di prime cure, nella lunga motivazione, ha evidenziato che: “il rischio di attentati e di danni all’incolumità personale dei lavoratori in Algeria era una delle condizioni di rischio dell’attività di lavoro che l’impresa datrice svolgeva e che avrebbe dovuto fronteggiare con misure protettive adeguate, rispettando i dettami dell’art. 2087 c.c. Proprio in queste condizioni di rischio prevedibile, il lavoro diventa, sul piano obiettivo, una delle condizioni o antecedenti causali dell’evento lesivo (ex art. 42, c. 2 c.p.) ancorché commesso da terzi; per tale motivo, inoltre, non rileva che al momento del fatto il dipendente non stesse lavorando, ma si trovasse fuori dal cantiere”.
Concludendo, pare pertanto prudente ed utile che, in alcuni ambiti territoriali ed in alcuni settori intrinsecamente sensibili, ma non indistintamente in ogni attività di produzione o di scambio di beni e servizi, si proceda ad un aggiornamento della valutazione dei rischi lavorativi in relazione, appunto, all’esposizione da parte dei propri lavoratori al pericolo di attentati terroristici ed aggressioni criminali nel luogo o in occasione dei lavoro.