Si è svolto a Milano presso il Palazzo delle Stelline, l’evento organizzato da Lexellent in collaborazione con Parks – Liberi e Uguali, dal titolo “L’inclusione dei lavoratori e delle lavoratrici LGBT in Italia, Francia e Germania”
Pubblichiamo qui di seguito una serie di foto scattate durante il convegno e che vedono coinvolti i protagonisti della giornata
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Month: May 2019
La laurea in legge è utile? Ecco quando funziona
Luisa Adani, per il Corriere della Sera Lavoro, ha svolto un’indagine sui possibili sbocchi professionali che un giovane laureato in giurisprudenza può trovare oggi in Italia.
Per farlo ha intervistato anche Giulietta Bergamaschi, Managing Partner dello Studio, che ha raccontato quali caratteristiche un giovane deve assolutamente avere per avvicinarsi alla libera professione.
Clicca qui per leggere l’articolo in formato PDF
Francesco Bacchini docente al seminario “Sicurezza nei trasporti e in itinere”
Francesco Bacchini, parteciperà oggi, 21 maggio al seminario “SICUREZZA NEI TRASPORTI E IN ITINERE“, organizzato all’interno del Forum Sicurezza di Torino presso la Sala Stella.
Quando l’ambiente di lavoro è “la strada”, ci sono numerosi utenti e interferenze che vanno considerati. Nella consulenza in tema di sicurezza per attività che effettuano trasporti (logistica, produzione e consegna di prodotti) con mezzi tradizionali o smart, occorre soffermarsi anche sulle fasi preparatorie al trasporto oltre che sulle competenze degli operatori che vanno oltre quelle già delineate dalla normativa di settore.
Un focus si concentrerà sulla relazione tra e-commerce e consegne a domicilio, sui nuovi rischi legati alla sharing economy e ai tempi di consegna serrati che si riversano a cascata sulla’ indotto, senza trascurare le attività di autotrasporto pesante e la necessità di monitorare e rendere consapevoli gli addetti sui rischi specifici del settore.
INTERVENGONO:
– Francesco Bacchini, professore di Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Milano Bicocca
– Stefano Farina, geometra RSPP e CSE
– Marcello Favalli, CEO SiWeGO srl
MODERA:
Lara Calanni Pileri, architetto
Sono previsti crediti formativi:
- 2 CFP (architetti, ingegneri)
- 1 CFP (geometri)
- 2 RSPP/ASPP
Francesco Bacchini docente al corso di ECM organizzato da OMCEO Milano
Il Prof. Francesco Bacchini ha tenuto sabato 18 maggio a Milano, presso il CDI – Centro Diagnostico Italiano di Via Saint Bon, una lezione in materia di “Giudizio di idoneità alla mansione, limitazioni e prescrizioni, disabilità, accomodamenti ragionevoli e licenziamento discriminatorio”, nell’ambito del corso di fomazione continua per i medici dal titolo “Limitazioni: è sempre “colpa” del Medico Competente?” .
Scarica qui la locandina del corso
Tre anni di legge Cirinnà ma l’omogenitorialità è ferma. E (alcune) aziende si organizzano
17 maggio 2019 – giornata internazionale contro l’omofobia. Pubblichiamo di seguito un articolo pubblicato da Open sul tema della omogenitorialità e in particolare sullo stato dell’arte delle famiglie arcobaleno a tre anni dall’entrata in vigore della Legge Cirinnà. Come si sono organizzate e/o si stanno organizzando le aziende per tutelare i propri dipendenti in fatto di omogenitorialità alla luce del vuoto normativo?
Tra le varie voci, anche un commento della Managing Partner Giulietta Bergamaschi, in qualità di membro dell’associazione Parks – Liberi e Uguali.
Il 17 maggio è la giornata internazionale contro l’omofobia. Nonostante i passi avanti sulle unioni civili, in Italia non esiste una legislazione che tuteli il genitore sociale, e la decisione sul riconoscimento o meno del figlio spetta unicamente alla giurisprudenza. Alla luce del vuoto normativo, le aziende si stanno organizzando autonomamente per fornire i necessari benefit alle famiglie arcobaleno.
Dall’approvazione della Legge Cirinnà in Italia sono state celebrate più di 7mila unioni civili tra persone delle stesso sesso. A oggi però, la genitorialità di entrambi i partner è raramente riconosciuta, nel caso in cui la coppia abbia un figlio. Per le coppie omosessuali unite civilmente, il riconoscimento della genitorialità del secondo partner rimane insabbiata in un vuoto normativo.
Questo vuoto è in parte colmato dalla giurisprudenza: le «stepchild adoption», le adozioni del figlio del partner, sono infatti gestite caso per caso dai tribunali. La decisione è rimessa all’arbitrarietà del magistrato e le coppie devono avere la fortuna di trovarsi di fronte ai giudici giusti.
Cosa dice la legge Cirinnà
Era il 20 maggio 2016 quando, dopo vari compromessi tra le parti, l’iter parlamentare della legge Cirinnà si è concluso. Con l’entrata in vigore della 76/2016, le unioni civili hanno fatto ufficialmente il loro ingresso nel diritto di famiglia. Nonostante la conquista, il matrimonio rimane un’istituzione ben distinta dalle unioni civili: a differenza di altri paesi dell’Europa occidentale, in Italia la differenza tra le due permane sia a livello costituzionale (si fondano su articoli diversi della Costituzione) sia di legge ordinaria.
Per non contravvenire al terzo articolo della Costituzione («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale»), la legge ha permesso il riconoscimento dei congedi matrimoniali, dei permessi mensili previsti dalla ex 104, dei congedi straordinari per assistere partner e familiari in difficoltà etc. Tutto, ma non i congedi parentali.
«Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», si legge al comma 20 dell’articolo 1. La questione dell’adozione per le coppie omogenitoriali era, e resta, un tabù parlamentare. E il genitore sociale (cioè il partner che non contribuisce biologicamente alla gravidanza) viene tagliato fuori da qualsiasi riflessione sulla genitorialità.
Se Maometto non va alla montagna.. quando le aziende superano le mancanze dello Stato
«Un genitore sociale che non è riconosciuto non può prendersi i permessi per malattia dei figli», ha spiegato a Open l’avvocatessa Giulietta Bergamaschi, membro di Parks, associazione che si occupa di diversità in ambito aziendale. «Nessun permesso previsto dalla 104, nessuno sgravio fiscale, nessun congedo».
Ma la distanza tra i tabù del Parlamento e la realtà dei fatti – nonché le esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici – ha creato un bug su cui alcune aziende hanno scelto di intervenire in maniera autonoma.
«Dopo l’approvazione della versione finale della legge Cirinnà abbiamo capito che la questione della genitorialità era ancora tutt’altro che risolta», ha spiegato a Open Sarah Bonte, CSR Manager presso CNPVita, «Abbiamo capito che per tenere fede ai valori dell’azienda, avremmo dovuto farci carico di provvedimenti non previsti dallo Stato».
In altre parole, CNPVita – come tante altre aziende italiane – equipara a proprie spese le tutele e i benefit dei genitori sociali a quelle dei genitori biologici, a patto che questi siano uniti civilmente. Questo prevede permessi particolari per eventuali malattie dei figli, assistenza sanitaria per gli stessi, contributi per l’iscrizione al nido e possibilità di telelavoro se il bambino ha meno di 10 anni. Il genitore non biologico, sia nelle coppie gay sia in quelle lesbiche, fa riferimento ai congedi previsti tradizionalmente per il padre. Può usufruire, cioè, di massimo 5 giorni di permesso obbligatorio.
«Nonostante la legge Cirinnà abbia colmato una lacuna importante in merito ai rapporti omosessuali, siamo tutti consapevoli che ancora manca un pezzo molto importante. Non possiamo fare finta che non esistano certe situazioni: ormai i tempi ci impongono di intervenire», conclude Bonte.
Quando l’azienda è pronta ma la burocrazia no
La questione, comunque, presenta difficoltà su più livelli. Perché anche quando il genitore sociale viene riconosciuto dal Tribunale, non è detto che l’esercizio del diritto sia immediatamente garantito. Come fa notare Ferdinando Poscio, avvocato di Famiglie Arcobaleno, uno dei problemi principali è costituito dalla burocrazia.
È il caso del portale online dell’Inps, al quale bisogna necessariamente far riferimento per scaricare i moduli per riconoscimento, deleghe o congedi: anche nel caso in cui entrambi i partner siano legalmente riconosciuti come genitori, le procedure sono bloccate se i genitori vengono riconosciuti dello stesso sesso.
«L’Inps ha un sistema informatico che nel momento in cui si inserisce il codice fiscale di due genitori dello stesso sesso blocca qualsiasi operazione» riferisce Poscio. L’assenza di una legge che riconosca automaticamente il figlio di una coppia concepito, per esempio, tramite fecondazione assistita, fa si che per i primi mesi se non anni della vita del bambino, uno dei due genitori possa non venire riconosciuto come tale. E proprio «nei primi mesi di vita del bambino, quelli in cui ce ne sarebbe più bisogno», aggiunge Poscio.
Tra l’altro, la step-child adoption, almeno per come è stata riconosciuta finora, non equivale a un’adozione «piena». Anche se viene stabilito un legame di filiazione, il figlio non ha nessun legame giuridico con i membri della famiglia del genitore adottivo. Un bambino adottato tramite step-child adoption non è per esempio nipote dei fratelli o dei genitori della madre o del padre adottivo. Ancora più paradossalmente, se i due partner adottano reciprocamente il figlio biologico dell’altro, i bambini diventano figli di entrambi, ma non fratelli tra loro.
Lo stato delle cose, visto da chi ha scritto la legge
Dove stiamo andando? «Con questo governo non andremo mai e poi mai avanti sull’omogenitorialità» è il commento di Monica Cirinnà, intervistata da Open, «Un governo fatto da un partito che ha tradito i bambini arcobaleno rifiutandosi di approvare il primo emendamento il 16 febbraio».
La parlamentare si riferisce a quello che è stato ribattezzato il #dietrofront5stelle, episodio in cui il M5S, bocciando un aspetto procedurale del dibattito in Senato, ha finito per compromettere la diretta approvazione della legge 76, sacrificando di fatto l’emendamento sulla Step Child Adoption. «Non li vedo ai pride, non li vedo a fianco dei ragazzini gay bullizzati. Non li trovo mai da nessuna parte. O danno un segno o sono esattamente come la Lega, finora non ho visto nemmeno una proposta sui diritti da parte di questo governo», conclude Cirrinà.
Condotte extralavorative e lesione del rapporto fiduciario con il datore di lavoro – Diritto 24
Pubblichiamo di seguito l’articolo a firma dell’avv. Chiara D’Angelo per Diritto24, sul tema delle condotte extralavorative che possono causare il venir meno, da parte del datore di lavoro, della fiducia nel dipendente e la conseguente interruzione del rapporto di collaborazione
Con due recenti decisioni (ordinanza n. 4804/2019, pubblicata il 19 febbraio e sentenza n. 8027/2019, pubblicata il 21 marzo) la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi (favorevolmente) sulla legittimità del licenziamento intimato a fronte di condotte assunte dal dipendente in sede extralavorativa.
Il tema in oggetto, piuttosto ricorrente e diversamente risolto nella casistica giurisprudenziale, può essere analizzato muovendo da alcune brevi osservazioni in ordine alla natura del rapporto di lavoro.
Secondo un’opinione generalmente condivisa, quest’ultimo trae origine dall’ intuitus personae, inteso come il complesso delle qualità personali ravvisate in capo ad entrambe le parti contraenti.
Tale circostanza, letta insieme al generale obbligo di buona fede imposto dall’art. 1375 c.c., evidenzia la necessità di delimitare l’esatto oggetto della prestazione lavorativa, nonché, conseguentemente, i precisi limiti entro cui l’imprenditore può riporre legittimo affidamento circa l’operato della controparte; interrogativi, questi, da riferirsi all’intero corso dell’esecuzione contrattuale, posto che il rapporto di lavoro, trovando fonte in un contratto c.d. “di durata”, si dipana lungo un consistente lasso temporale, non esaurendosi in un solo atto.
In altri termini, occorre comprendere non soltanto “cosa”, ma anche “fin quando” l’imprenditore possa pretendere dal proprio dipendente, soprattutto nell’eventuale ottica di recesso dal rapporto lavorativo.
Le questioni appena sollevate trovano possibile riscontro in una pronuncia dei Giudici di legittimità, con cui è stato affermato che poiché il rapporto di lavoro, per l’oggetto della prestazione (attività di collaborazione) e per la sua protrazione nel tempo, è fondato sulla fiducia, questa essendo fattore che nella protrazione deve pur tacitamente permanere, come condiziona, con la propria esistenza, l’affermazione del rapporto, in egual modo ne condiziona, con la propria cessazione, la negazione (Cass., sez. lav., 21 novembre 2000, n. 15004).
Dal principio così espresso si desume che, ai fini del mantenimento del rapporto, il prestatore è tenuto, durante l’intera esecuzione del contratto, a fornire costante “conferma” della fiducia in lui riposta all’atto della contrazione del vincolo; con l’inevitabile conseguenza che lo svanire dell’intuitus personae può determinare, nei casi di estrema gravità, il legittimo licenziamento da parte del datore.
In tale prospettiva, diventa quindi necessario individuare quei comportamenti che possono comportare la cessazione del rapporto per lesione dell’affidamento datoriale.
Ebbene, ai fini appena esposti, nessun dubbio pare possa avanzarsi rispetto al fatto integrante, in senso tecnico, inadempimento imputabile al lavoratore; con ogni certezza, infatti, la violazione degli obblighi contrattuali nell’espletamento della mansione può legittimamente sollecitare il potere sanzionatorio del datore di lavoro.
Perplessità si pongono, invece, in ordine alla rilevanza delle condotte extralavorative ai fini disciplinari; questione risolta positivamente nelle due decisioni qui segnalate.
La prima di queste (ordinanza n. 4804/2019), trae origine dal licenziamento intimato dalla società ad un dipendente sottoposto a procedimento penale per acquisto ed illecita detenzione di un’ingente quantità di stupefacenti; condotta sussumibile nella nozione di “giusta causa” perché, oltre ad avere rilievo penale, è contraria alle norme dell’etica e del vivere civile comuni e, dunque, ha un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro (cfr. pag. 3).
A conclusioni analoghe perviene la seconda pronuncia (sentenza n. 8027/2019), vertente sul caso di un lavoratore licenziato perché autore di una condotta (apertura delle bombole del gas nella sua abitazione, chiamata delle forze dell’ordine, minaccia di far esplodere la palazzina, aggressione degli agenti di polizia intervenuti) che il giudice d’appello ha reputato, anche in rapporto alle mansioni del dipendente (addetto alla sicurezza delle infrastrutture), talmente grave da implicare una giusta causa del licenziamento per aver definitivamente incrinato il vincolo fiduciario (cfr. pag. 1).
Nello specifico, si ritiene che le condotte accertate (denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza) giustifichino il licenziamento perché sintomatiche dell’inattitudine del lavoratore ad eseguire responsabilmente le mansioni assegnategli, con conseguenti rischi per l’intero gruppo di lavoro (in ipotesi, costretto a gestire le probabili instabilità future del collega) e, più in generale, per l’efficienza complessiva dell’azienda.
Le due statuizioni segnalate, in ultima analisi, si pongono in linea con quel filon giurisprudenziale (v. per tutte sent. Cass. n. 24023/2016) secondo cui il lavoratore è tenuto non soltanto, in via principale, ad eseguire la prestazione dedotta in contratto, ma anche all’obbligo secondario di tenere, al di là del luogo e dell’orario di lavoro, comportamenti non lesivi della fiducia del datore o delle potenzialità produttive dell’impresa.
Conseguentemente, alla stregua dell’orientamento richiamato, è ben possibile che l’imprenditore licenzi un dipendente in ragione del contegno moralmente riprovevole da questi assunto nella propria sfera privata.
Ciò posto in via teorica, è tuttavia necessario, ai fini della legittimità della massima sanzione disciplinare per giusta causa, che il provvedimento sia concretamente proporzionale all’entità dei fatti accertati, alla luce sia della loro gravità oggettiva (desumibile anche da eventuali elementi circostanziali, ma non scaturente in via automatica dalla rilevanza penale della condotta), sia dell’intensità del coefficiente volitivo in capo al soggetto agente.
L’inserimento lavorativo delle persone con disabilità – Diritto 24
Pubblichiamo di seguito il contributo a firma della Managing Partner Giulietta Bergamaschi e dell’avvocato Chiara D’Angelo per Diritto24, sul tema dell’occupazione dei soggetti disabili e del loro inserimento nella compagine aziendale in senso ampio: ovvero dalla fase di assunzione a quella di esecuzione delle mansioni.
L’inserimento lavorativo delle persone con disabilità rappresenta senz’altro uno dei principali temi su cui intervengono le attuali politiche occupazionali, sia normative che imprenditoriali.
Al fine di tracciare i confini del tema in esame, sembra opportuno intendere il termine “inserimento” in senso ampio: riferendolo, cioè, non soltanto all’ingresso del soggetto debole nella realtà produttiva, ma anche al suo effettivo mantenimento alle mansioni durante l’esecuzione del rapporto di lavoro.
La locuzione impiegata, quindi, può abbracciare sia il momento dell’assunzione del lavoratore disabile, sia il percorso successivamente svolto ai fini della piena ed effettiva integrazione della persona nella realtà aziendale.
Quest’ultimo obiettivo, seppur concretamente perseguibile con diverse modalità (tra cui, come si dirà in seguito, la contrattazione integrativa di secondo livello, le policy aziendali e le buone prassi), è unanimemente condiviso dalle fonti sovranazionali vigenti in materia.
In tale ottica, infatti, vanno intese le disposizioni contenute nella Carta di Nizza, nella Direttiva UE 2000/78 e nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, tutte concordi nell’intendere il tema dell’inclusione dei disabili sotto la lente della tutela dei diritti umani.
In particolare, la considerazione dei soggetti svantaggiati quali titolari di interessi meritevoli di tutela ordinamentale comporta, anzitutto, la necessità di quei comportamenti diretti, se non proprio a rimuovere, quanto meno a contenere gli effetti che conseguono allo stato di disabilità, sia in un’ottica di non discriminazione, sia nei termini di vera e propria inclusione.
Tali ultime istanze trovano riscontro, sul piano del diritto interno, sia nella Carta Costituzionale (v. artt. 1, 3, 4, 32, 38), sia in numerose leggi ordinarie, tra cui, in primo luogo, lo Statuto dei Lavoratori (v. art. 15) e l’intera Legge 68/99.
Da ultimo, inoltre, con il D.P.R. del 12 ottobre 2017 è stato adottato il secondo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, ai sensi della legge 18/2009 di ratifica della Convenzione ONU precedentemente citata.
Ciò posto, sembra inoltre pertinente intendere l’inserimento lavorativo dei soggetti disabili alla luce della responsabilità sociale di impresa, tema che costituisce uno dei pilastri della Strategia 2020 elaborata dall’Unione Europea in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia.
Secondo la definizione generalmente accolta, infatti, un’impresa è socialmente responsabile in quanto “sostenibile” in ottica sia ambientale che sociale: ne deriva che il rispetto della persona (oltre che del territorio) diventa, pertanto, principale indice dell’attuazione dei princìpi di “etica produttiva”.
Nella stessa direzione, inoltre, va anche letta la L. 208/2015 (v. art. 1, commi 376 -384) sulle c.d. “società benefit”, la cui attività coincide, per espressa previsione normativa, con il conseguimento di un beneficio comune, consistente nel perseguimento di effetti positivi (ovvero di riduzione di effetti negativi) nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali, enti e associazioni.
Come anticipato, le aziende possono raggiungere gli obiettivi della effettiva inclusione lavorativa e del mantenimento al lavoro delle persone con disabilità attraverso percorsi differenti.
In tale prospettiva non può prescindersi dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati da un’azienda al proprio personale dipendente: accordi, questi ultimi, dai contenuti senz’altro variegati, poiché alcuni disciplinano il tema in esame in modo organico, mentre altri, invece, si limitano a trattarlo dedicandovi singole disposizioni.
Muovendo dai contratti collettivi nazionali, le singole imprese disciplinano la materia dell’inclusione dei lavoratori disabili attraverso una delle seguenti modalità: ricorrendo alla contrattazione integrativa di secondo livello, scrivendo policy unilaterali poi divulgate ai lavoratori, ovvero adottando buone prassi senza tuttavia recepirle in un documento scritto.
La prima tecnica, propria delle aziende più grandi e con consolidate relazioni industriali pregresse, si traduce in un approccio mirato ad una disciplina organica di valenza generale, non finalizzata a fronteggiare esigenze “puntuali” emerse in via d’emergenza.
Tale tendenza regolativa consente di adottare un approccio più condiviso al tema, con contestuale creazione, durante la fase di negoziazione, di una cultura aziendale più inclusiva ed incline ad attuare le misure contrattuali.
La policy, invece, viene generalmente adottata all’interno di aziende di medie dimensioni, prive di una solida tradizione di relazioni sindacali, che preferiscono risolvere “in proprio” questioni per cui non vige l’obbligo di contrattare con le altre parti sociali. Muovendo da quest’ultima strategia, poi, l’azienda tende a sensibilizzare il personale alla nuova cultura aziendale attraversattraverso specifici corsi di formazione.
In ultimo luogo, nelle aziende più piccole o dotate di una struttura organizzativa meno articolata, dove l’approccio è fortemente orientato all’ascolto dei bisogni del personale, la difficoltà sta nell’intercettare tali istanze prima che i dipendenti le manifestino.
In tale evenienza, idea ricorrente è quella di predisporre, volta per volta, buone prassi dirette a risolvere una difficoltà singola, e dunque non recepite in un documento scritto.
La disciplina attraverso best practices, se per un verso permette di affrontare i temi trattati con strategie più efficaci perché formulate ad hoc, sotto altro profilo non consente di attuare un’azione regolatrice uniforme ed omogenea, così esponendo l’impresa al rischio di promuovere misure difficilmente riconducibili a logiche equitative.
Lexellent partecipa alla settimana del Lavoro Agile – Milano, 20/24 maggio 2019
Lexellent, partecipa alla settimana del Lavoro Agile, evento organizzato dal Comune di Milano dal 20 al 24 maggio 2019 e giunto alla sua terza edizione.
Lo Studio mette a disposizione la sua esperienza in ambito di smart working adottando per una settimana un’azienda interessata ad avviare o a conoscere il lavoro agile che consente, a chi lo utilizza, di equilibrare i tempi di vita e di lavoro, migliorando la qualità della vita, incrementando la competitività aziendale e salvaguardando l’ambiente.
Per ogni informazione, visitate il sito del Comune di Milano
Marco Giangrande docente al Corso di Sociologia dei processi organizzativi e culturali
L’avvocato Marco Giangrande, terrà giovedì 16 maggio dalle ore 15:30 alle ore 17:00 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, una lezione sul diritto sindacale nell’ambito del corso di Sociologia dei processi organizzativi e culturali presso la facoltà di “Psicologia per le organizzazioni: risorse umane, marketing e comunicazione”.
Sicurezza sul lavoro: nuove regole per i dispositivi di protezione individuale
Pubblichiamo di seguito l’ultimo approfondimento a firma del Prof. Francesco Bacchini relativo all’entrata in vigore delle nuove prescrizioni in materia di DPI, pubblicato da Diritto & Pratica del Lavoro, n° 17/2019.
Con il D.Lgs. n. 17 del 19 febbraio 2019 (G.U. n. 59 dell’11 marzo 2019), entrano pienamente in vigore le nuove prescrizioni di armonizzazione del diritto nazionale riguardanti i requisiti essenziali di sicurezza per la progettazione, la fabbricazione e la messa a disposizione sul mercato dei dispositivi di protezione individuale (DPI) diretti a tutelare la salute dei lavoratori.
La disciplina appena adottata, nell’attuare il Regolamento Ue 2016/425 (pienamente in vigore dal 21 aprile 2018 ma con qualche eccezione) (1) che ha abrogato la Direttiva 89/686/Cee, da un lato modifica interamente il testo del D.Lgs. n. 475/1992 (che la citata direttiva aveva recepito), riscrivendone e, in gran parte, abrogandone tutto il precedente articolato, e, dall’altro lato, novellando l’art. 76, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, relativo ai requisiti dei DPI, ne elimina il pregresso richiamo sostituendolo direttamente con quello del Regolamento europeo, visto che la normativa interna disciplina ormai soltanto gli aspetti autorizzativi e di controllo del mercato dei DPI, nonché le sanzioni e le disposizioni penali.
Ama chi vuoi, i diritti sul lavoro – La 27esima Ora
Gay e lesbiche vanno a lavorare ogni giorno ma le aziende sembrano farci poca attenzione e solo in casi isolati l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono considerati da chi sviluppa le politiche di gestione del personale. Diritti e benefici vengono così amputati. La rivoluzione nella tutela di gay e lesbiche anche nel mondo del lavoro si fonda sulla Legge 76/2016 che ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e disciplina le convivenze di fatto di persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Sono infatti numerose sono le disposizioni di legge e di contratto collettivo che riconoscono diritti e tutele ai lavoratori in relazione al loro stato civile o a certe esigenze connesse alla situazione familiare.
«Il diritto del lavoro e il diritto di famiglia sono vicini e contigui -commenta l’avvocata Giulietta Bergamaschi, managing partner dello studio legale Lexellent- Quando si parla di famiglia non si può fare a meno di tenere in debito conto le istanze che derivano dai mutamenti del tessuto sociale e che portano con sé nuovi modelli di famiglia accanto a quello definito “tradizionale”. Di queste istanze provenienti dalla società si è fatta carico nel 2016 la cosidetta Legge Cirinnà
In tale contesto è stata introdotta nell’ordinamento una generale estensione alle parti dell’unione civile delle disposizioni che si riferiscono al matrimonio e al coniuge/coniugi.
Dal fatto di contrarre un’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, il che ha importanti implicazioni e ricadute nel campo del diritto del lavoro»
Le parti di un’unione civile -precisa Bergamaschi- possono ad esempio beneficiare di un congedo equiparabile a quello concesso in occasione del matrimonio, dei permessi mensili per l’assistenza del partner con handicap in condizione di gravità, di congedi straordinari per assistere familiari in situazioni di accertata gravità, delle tutele previste dai contratti collettivi in caso di trasferimento di un lavoratore coniugato o con familiari a carico, delle prestazioni assistenziali sanitarie previste, delle detrazioni fiscali per familiari a carico, delle indennità in caso di decesso del prestatore di lavoro unito civilmente, delle provvidenze in materia previdenziale erogate dall’INPS e dalla previdenza complementare introdotta dalla contrattazione collettiva».
Una guida all’impatto della Legge 76/2016 nel mondo del lavoro, per le aziende e per le persone. Per conoscere i diversi aspetti di questa rivoluzione nella gestione del personale si può scaricare liberamenteLa legge Cirinnà e i datori di lavoro. Guida all’utilizzo della Legge 76/2016. Un testo promosso da Parks – Liberi e Uguali (l’associazione senza scopo di lucro di datori di lavoro per aiutare le aziende a realizzare pratiche rispettose della diversità) e scritto oltre che da Giulietta Bergamaschi anche da Francesca Lauro e Renato Scorcelli e i colleghi di Studio.
Fra i temi affrontati: l’estensione del welfare aziendale generalmente riservata fino ora ai coniugi; i congedi e permessi da garantire anche al lavoratore unito civilmente; il congedo equiparabile a quello previsto per il classico matrimonio; il permesso mensile retribuito per assistere il partner dell’unione civile con handicap in situazione di gravità accertata; il permesso retribuito in caso di morte o grave infermità del partner dell’unione civile; le tutele in caso di rapporto di lavoro part-time; le detrazioni fiscali per familiari a carico; gli effetti in materia previdenziale; i diritti della parte dell’unione civile sul trattamento di fine rapporto in caso di scioglimento dell’unione.
Marco Chiesara docente al corso “Management scolastico e direzione delle scuole paritarie”
Venerdì 10 e sabato 11 maggio dalle ore 10:00 alle ore 17:00 presso la Sede dell’Università Cattolica di Milano, l’avvocato Marco Chiesara interverrà come docente di diritto del lavoro nell’ambito del corso “Management scolastico e direzione delle scuole paritarie”, organizzato da ALTIS – Alta Scuola Impresa e Società, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
L’avvocato Chiesarà terrà una lezione in cui parlerà di Diritto del lavoro: contratti AGIDAE – FISM, normativa ed esempi di contratti.
Per ulteriori informazioni:https://altis.unicatt.it/altis-corsi-di-alta-formazione-direzione-e-gestione-delle-scuole-paritarie-degli-istituti-religiosi
Introduzione di Giulietta Bergamaschi al convegno: L’inclusione dei lavoratori e delle lavoratrici LGBT in Italia, Francia e Germania
È doveroso chiedersi se sia sempre necessario e attuale parlare di pari opportunità in Italia.
Così come dobbiamo domandarci se il discorso vada impostato solo in termini etici o se sia meglio affrontarlo in chiave economica.
Partiamo da un dato certo, il tema della pari opportunità è al centro del dibattito nell’ambito della comunità internazionale e dell’Unione Europea.
La parità è infatti uno degli obiettivi che i paesi firmatari dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile devono realizzare entro il 2030.
In tale contesto si discute anche di lavoro, di capitale umano e diseguaglianze.
Questo obiettivo si accompagna con quello della buona occupazione e della crescita economica, che deve essere duratura, inclusiva e sostenibile.
Tra gli obiettivi nazionali strategici che il nostro Paese si è dato per raggiungere quelli dell’Agenda 2030 vi sono:
- la promozione di una società inclusiva;
- l’eliminazione di ogni forma di discriminazione, che si declina nel contrasto alla discriminazione di genere e di ogni altra forma di discriminazione basata su età, etnia, orientamento sessuale, confessione religiosa;
- la promozione del rispetto delle diversità.
Quindi la risposta alla domanda iniziale è certamente sì, il tema delle pari opportunità è di estrema attualità ed è cruciale per lo sviluppo del nostro paese.
In tale contesto, è doveroso continuare a tenere alta l’attenzione sul tema dell’inclusione LGBT: parafrasando un detto manzoniano, facciamo in modo che il buon senso emerga e non se ne stia nascosto per paura del senso comune.
Che cosa è stato fatto, in pratica, in Italia negli ultimi anni per realizzare l’obiettivo dell’inclusione LGBT?
L’espressione orientamento sessuale fa la sua prima comparsa nell’ordinamento giuridico italiano a livello di legislazione ordinaria, con l’entrata in vigore del D. lgs. n. 216 del 2003 attuativo della Direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale direttiva, appartenente alla cosiddetta seconda generazione del diritto antidiscriminatorio, è definita anche quadro perché estende il contrasto alle discriminazioni basate su caratteristiche personali (cd. “fattori” di rischio) diversi dal genere che, invece, ha permeato il diritto antidiscriminatorio di prima generazione.
Pertanto, con riferimento al settore lavorativo e dal 2003, l’ampia protezione dell’individuo dalle discriminazioni legate all’orientamento sessuale offerta dalla normativa europea è stata garantita sul piano normativo anche nel nostro paese.
È mancata invece per lungo tempo la protezione nell’ambito dei rapporti familiari.
Quando si parla di persone non si può fare a meno di tenere in debito conto le istanze che derivano dai mutamenti del tessuto sociale e che portano con sé nuovi modelli di famiglia accanto a quello definito “tradizionale”.
Tre anni fa la L. 20 maggio 2016 n. 76 cd. Legge Cirinnà si è fatta carico delle istanze provenienti dalla realtà sociale: ha introdotto nell’ambito del diritto di famiglia le unioni civili tra persone dello stesso sesso e attribuito rilevanza giuridica alle convivenze, sia tra persone di sesso diverso sia tra persone dello stesso sesso.
Il nostro ordinamento, nel solco tracciato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, ha affiancato le unioni civili al matrimonio, ma mentre il riconoscimento della rilevanza giuridica delle prime si fonda sugli artt. 2 e 3 Cost., in quanto “specifica formazione sociale”, il secondo trova, invece, il suo fondamento costituzionale nell’art. 29 Cost.: se da un lato il legislatore ha attribuito alle unioni fra persone dello stesso sesso dignità giuridica e rilevanza costituzionale pari a quelle del matrimonio, dall’altro ha rimarcato che si tratta di due istituti civilistici tra loro diversi.
Se da un lato l’espresso richiamo all’art. 3 Cost. è tale da indurre a ritenere salvo il principio di non discriminazione fra le persone in ragione dell’orientamento sessuale, dall’altro la mancata introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del matrimonio egualitario ha avuto ed ha ricadute applicative importanti nell’ambito del diritto del lavoro.
Tuttavia, da giurista, non posso fare a meno di sottolineare che il matrimonio è un istituto riservato alle coppie eterosessuali, mentre le coppie omosessuali possono dare luogo a un vincolo familiare giuridicamente rilevante solo attraverso l’istituto dell’unione civile.
Per capire la portata della norma e le risultanze applicative che la stessa ha avuto e può avere nella realtà sociale, possiamo fare riferimento ai dati di rilevazione ISTAT del gennaio 2018 che attestano che le unioni civili costituite in Italia e le trascrizioni di unioni costituite all’estero fra persone residenti sono circa 13,3 mila (pari al 0,02% della popolazione), di sesso maschile nel 68,3% dei casi.
Gli uniti civilmente hanno un’età media di 49,5 anni se maschi e di 45,9 anni se femmine e risiedono prevalentemente nel Nord (56,8%) e al Centro (31,5%).
In Italia, a partire da luglio 2016 e fino al 31 dicembre 2017, sono state costituite nel complesso 6.712 unioni civili (2.336 nel 2° semestre 2016 e 4.376 nel corso del 2017) che hanno riguardato prevalentemente coppie di uomini (4.682 unioni, il 69,8% del totale).
Le unioni civili sono più frequenti nelle grandi città: il 35,4% è stato costituito nelle 14 città metropolitane, e quasi una su quattro a Milano, Roma o Torino.
I dati potrebbero portare a pensare che il trend di costituzione delle unioni civili sia in aumento ma al momento non sono disponibili dati per il 2018.
I dati di cui sopra, che descrivono una realtà familiare, hanno di fatto delle ricadute dirette nell’ambito delle relazioni fra impresa e lavoratore.
Esistono vicinanza e contiguità fra il diritto del lavoro ed il diritto di famiglia in ragione del fatto che i lavoratori sono prima di tutto persone e in questo senso è corretto affermare che molteplici diritti, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato e nell’ambito previdenziale, sono costruiti sul presupposto di un legame di tipo familiare che il lavoratore ha con partner e figli.
Dal fatto di contrarre un’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, il che ha importanti implicazioni e ricadute nel campo del diritto del lavoro.
La l. n. 76 del 2016, al co. 20, ha introdotto una clausola c.d. “di salvaguardia” prevedendo una generale equivalenza tra matrimonio e unione civile, nel rispetto dell’art. 3 Cost., con evidente funzione antidiscriminatoria. La norma dispone, in particolare, che al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applichino anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Grazie alla l. n. 76 del 2016, le parti di un’unione civile possono quindi beneficiare di un congedo equiparabile a quello concesso in occasione del matrimonio, dei permessi mensili ex L. 104/1992 per l’assistenza del partner con handicap in condizione di gravità, di congedi straordinari per assistere familiari in situazioni di accertata gravità, delle tutele previste dai CCNL in caso di trasferimento di un lavoratore coniugato o con familiari a carico, delle prestazioni assistenziali sanitarie previste dai CCNL, di tutte le tutele previste dai CCNL in presenza di un coniuge, delle detrazioni fiscali per familiari a carico, delle indennità in caso di decesso del prestatore di lavoro unito civilmente, delle provvidenze in materia previdenziale erogate dall’INPS e dalla previdenza complementare introdotta dalla contrattazione collettiva.
Ed ancora, la presunzione di nullità del licenziamento intimato in concomitanza con il matrimonio si estende anche al licenziamento intimato in concomitanza di un’unione civile ovvero dal giorno in cui le parti avanzano all’ufficiale di stato civile la richiesta di costituire un’unione civile e sino ad un anno dopo la costituzione dell’unione civile stessa. Nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro che non voglia incorrere in un licenziamento discriminatorio dovrà tenere conto, nell’ambito dei carichi di famiglia, dell’eventuale unione civile del lavoratore.
La clausola non si applica alle norme del codice civile non espressamente richiamate nella legge e alle disposizioni in materia di adozione.
Lo stesso co. 20 recita “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”; in questo senso il legislatore non è intervento con una regolamentazione delle adozioni omo parentali e ha delegato la questione alle decisioni dei giudici, abdicando in parte alla sua funzione.
Sappiamo che questo “compromesso” si è reso necessario per portare a termine l’iter parlamentare della legge, ma questo risultato ha lasciato sul campo numerose questioni di estrema rilevanza giuridica che non hanno trovato soluzione univoca e che hanno ricadute nell’ambito giuslavoristico, soprattutto in materia di congedi parentali.
Se da un lato non vi è dubbio che il lavoratore genitore biologico di un minore nell’ambito di un’unione civile possa godere di permessi e congedi, quali diritti ha il genitore sociale?
Da un punto di vista puramente giuridico, il legame è rilevante solo a seguito del riconoscimento, in via giudiziaria o amministrativa, del rapporto di filiazione fra il genitore sociale e il figlio biologico del suo partner nell’ambito di un’unione civile.
La fotografia ad oggi è quindi quella di un contesto in cui gli uniti civilmente godono di diritti reciproci ma sono limitati nel godimento dei diritti rispetto ai figli non biologici in assenza del riconoscimento del rapporto di filiazione.
Detto ciò, tenuto fermo quanto riconosciuto, il punto cruciale è capire come ci si possa muovere nell’ambito del vuoto normativo che richiede sin d’ora tutela a fronte del fatto che la realtà è più avanti di quella descritta dal legislatore.
Una soluzione importante ai temi prima evidenziati è rappresentata dagli interventi che, nel contesto della contrattazione collettiva, sono stati proposti per definire criteri di accesso che non si fermano al puro dato normativo e consentono di raggiungere livelli di protezione più equi, al di là dell’equiparazione frutto della norma di legge.
Quando si menziona la contrattazione collettiva, si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria, ciò ai sensi dell’art. 51 del D. Lgs. 81/2015.
Vero è che la contrattazione collettiva nazionale ha recepito la nuova legge dando esplicitamente atto dell’intervenuta equiparazione dei diritti degli uniti civilmente a quelli propri dei coniugi, in alcuni casi in maniera espressa per i singoli istituti (CCNL Energia e Petrolio; CCNL Commercio Terziario Distribuzione e Servizi PMI) in altri casi con una clausola di carattere generale che consentisse l’equiparazione in tutte le parti del contratto (CCNL Federculture).
Mentre rimane ancora appannaggio delle singole imprese giocare d’anticipo rispetto all’ordinamento giuridico vigente e proporre soluzioni innovative ai propri dipendenti o predisponendo policy di elargizioni unilaterali oppure definendo con le rappresentanze sindacali “diritti sociali contrattati”.
Nel corso della prima parte del convegno analizzeremo gli effetti, diretti e indiretti, espliciti e impliciti, di queste politiche aziendali attraverso gli esempi pratici illustrati da chi, sul tema, ha deciso di tracciare un solco importante.
Vi ringrazio per l’attenzione e lascio la parola a Igor Suran, direttore esecutivo di Parks, che ha accettato con entusiasmo di collaborare alla realizzazione di questo convegno e senza l’aiuto del quale oggi non saremmo qui.
A Igor spetta il compito di coordinare la tavola rotonda.
Sarà molto interessante condividere le esperienze di queste aziende che sono un punto di riferimento per i datori di lavoro che stanno intraprendendo un percorso di inclusione globale.
Sono certa che riusciremo a trasmettere il messaggio positivo nel quale crediamo e cioè che l’inclusione fa bene alle persone, ma fa molto bene anche alle aziende che la mettono in pratica.
Marco Chiesara docente al Master per dirigenti del Terzo Settore
L’avvocato Marco Chiesara, terrà oggi, giovedì 9 maggio dalle ore 17:30 alle ore 20:30, una lezione nell’ambito del “Master per Dirigenti del Terzo Settore” dal titolo: “Le responsabilità nella gestione del personale retribuito e volontario” in cui parlerà del rapporto di lavoro subordinato e di lavoro autonomo e del loro corretto inquadramento.
La lezione si svolgerà presso la sede di Ciessevi – Piazza Castello, 3 – Milano.
In allegato il PDF con il programma completo del master
Gig economy: l’Europa disattende l’esigenza di tutele minime per tutti i lavoratori
L’ultimo editoriale del Prof. Francesco Bacchini, per il Quotidiano di IPSOA, affronta il tema delle tutele per i lavoratori della Gig economy alla luce della Direttiva UE sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili.
Allo scopo di garantire più tutele per tutti i lavoratori, è stata approvata la delibera del Parlamento europeo del 16 aprile 2019 in vista dell’adozione della direttiva relativa alle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea. Ma garantire le tutele per tutti i lavoratori è un’affermazione, purtroppo, vera solo in minima parte. Infatti, alla luce delle considerazioni preliminari, risulta chiaro che la direttiva, pur richiamando la Carta dei diritti fondamentali (che sancisce che ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, la sicurezza e la dignità, a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a un congedo retribuito), si occuperà solo dei lavoratori subordinati e non si applicherà ai lavoratori autonomi della gig economy, organizzati o meno dal committente.
Il lavoro che cambia
Lexellent cresce con l’ingresso del nuovo Equity Marco Chiesara
Milano, 6 maggio 2019 – Lexellent è lieta di ufficializzare l’ingresso di Marco Chiesara, che entra in qualità di nuovo Equity Partner dello Studio.
Giuslavorista di fama, proveniente da Crea Avvocati Associati che ha contribuito a fondare e nell’ambito del quale è stato responsabile del dipartimento di diritto del lavoro, Chiesara entra in Lexellent insieme all’avvocato Valentina Messana.
Con l’ingresso di Chiesara e Messana, Lexellent amplia i propri servizi dando vita a un dipartimento dedicato al Terzo Settore, ambito nel quale i due professionisti operano al fianco di numerose organizzazioni.
Chiesara infatti, ha sviluppato anche una solida competenza gestionale nell’ambito del Terzo Settore, essendo dal 2007 Presidente di WeWorld Onlus, un’organizzazione non governativa attiva, tra l’altro, nel contrasto alla violenza di genere e nella promozione della parità di genere.
“Lexellent guarda al futuro in ottica di sviluppo e l’ingresso dell’avvocato Chiesara è indicativo della direzione intrapresa dallo Studio” – ha commentato la Managing partner Giulietta Bergamaschi – “La nomina di Marco Chiesara rappresenta un ulteriore rafforzamento della compagine di Studio e introduce all’interno dei nostri servizi una nuova e specifica competenza in ambito giuslavoristico per il Terzo Settore”.
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