Questa mattina, 28 febbraio 2017, a Palazzo Marino, Sala Alessi, nell’ambito del 6° Forum delle Politiche Sociali organizzato dal Comune di Milano, è stato presentato da Andrea Orlandini il Progetto “Abilitiamo la Disabilità. Per una cultura dell’inclusione nel mondo del lavoro”, promosso da AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) in collaborazione con altre associazioni e aziende. Tale iniziativa si prefigge il fine di “trasformare l’integrazione dei disabili da problema a opportunità”, non solo per i singoli ma anche per le aziende, favorendo una politica tesa all’occupazione delle persone con disabilità attraverso percorsi di inserimento mirato e di integrazione. Quel che è emerso nel corso dell’incontro, al quale hanno partecipato diversi esponenti della realtà milanese, è che la “diversità”, riconosciuta e rispettata, stimola sempre il confronto e costituisce una importante occasione di miglioramento.
Month: February 2017
Dalla legge al cambiamento organizzativo. Gli impatti del Ddl Cirinnà sul lavoro.
L’ultimo numero della rivista Persone e Conoscenze parla delle unioni civili all’interno dell’ordinamento giuridico italiano con un’intervista all’avv. Giulietta Bergamaschi.
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Patente Green Jobs, aggiungere sostenibilità al bagaglio professionale.
Fatevi un bel bagaglio professionale in tema di sostenibilità e il lavoro non vi mancherà. Una sorta di patente che dimostri che siete preparati sulle varie sfaccettature del green. Il consiglio emerge con forza dai relatori del Convegno Opportunità Green Jobs che Edizioni Green Planner ha organizzato in occasione della terza edizione della fiera internazionale MyPlant & Garden (Fiera Milano Rho, 22-24 febbraio 2017). Formazione trasversale, capacità di dialogare e lavorare in team fra diversi settori, resilienza ovvero capacità di adattamento e capacità di sviluppare nuove idee, propensione alla progettazione di percorsi e timoli a essere creativi con i presupposti della sostenibilità ambientale. Attitudini che possono servire sia ai Millennial sulla strada di una nuova professione, ma anche ai baby boomer per incrementare i propri skill. Dati, tendenze e andamento del mercato dei green jobs Lo scopo dei Green Jobs è comunque quello di produrre beni e servizi nel rispetto di ambiente e natura: ingegneri ambientali, risk manager, eco-designer, agronomi, chimici ambientali, bioarchitetti, manager del turismo ambientale sono fra le figure professionali della green economy più richieste del momento. Vero è che le crescite più significative (in termini di richiesta di assunzione) si registrano in particolare nell’industria dell’energia rinnovabile, nei servizi ambientali e nel comparto agroalimentare.
Federico Filippa, Pr & Csr Manager di InfoJobs ha presentato i dati sull’andamento dell’occupazione legata alle tematiche della sostenibilità rilevate dall’osservatorio di InfoJobs (anche il recruiment digitale è uno strumento legato alla sostenibilità ricerche di lavoro a portata di clic). Da qui emerge che l’andamento del lavoro in Italia ha avuto un boom nel 2015 per effetto del Jobs Act ma ha subito un rallentamento nel 2016 (+11%). Le figure professionali più richieste dalle aziende che si occupano di sostenibilità sono: amministrazione, contabilità e segreteria, vendite, marketing e comunicazione, manifatturiero, produzione e qualità, risorse umane. Le regioni più attive sono Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Toscana e Marche. Ma chi sono i candidati green? Hanno fra i 26 e i 45 anni ed elevata scolarizzazione (il 63,1% ha una laurea specialistica).
Un settore da monitorare, in quanto sta sviluppando nuove figure professionali, è senz’altro quello del turismo come spiega, Ada Rosa Balzan (Università Cattolica di Brescia, IED e consulente di Federturisimo) che allo IED, Istituto Europeo di Design di Cagliari inaugura a marzo un Master in Design dei Servizi Turistici Sostenibili. Chi sono dunque i professionisti preposti allo sviluppo di questo settore? Manager con competenze trasversali e una visione a 360 gradi delle soluzioni sostenibili per le strutture turistiche e il territorio e professionisti che possano portare progetti di sostenibilità ad esempio anche nelle strutture museali.
Nicoletta Ravasio (CNR) ha spiegato come i ricercatori del CNR stiano studiando diversi processi per trasformare gli scarti dell’agro-industria, elementi vegetali, peraltro spesso molto inquinanti, come semi d’uva, arance, riso fondi di caffè, in oli vegetali per l’industria o il lattosio in zuccheri semplici per la produzione di dolcificanti. Si stanno attuando anche studi per l’utilizzo della fibra di canapa anche abbinata agli scarti della lana per la realizzazione di materiali edili altamente resistenti, isolanti e traspiranti, oppure utilizzata in cosmesi, nutraceutica e farmacologia. Queste ricerche e applicazioni necessitano di agronomi, esperti di biologia molecolare e genomica vegetale, chimica, farmaceutica, biotecnologie.
Patrizia Menegoni (ENEA) ha dimostrato con il progetto urban green Anthosart (ex Florintesa), finanziato dal MIUR in collaborazione con la Società Botanica Italiana e il Forum Plinianum che il paesaggio urbano può ottenere grandi benefici con le semplici piante autoctone perché – dati alla mano – possono altamente contribuire alla sostenibilità sia economica sia ambientale. Molte le professioni che potrebbero essere coinvolte su questa strada: non solo gli ortoflorovivaisti e gli agronomi, ma anche i biologi e gli architetti o chi informa e chi forma. Perché l’invito è tornare a scoprire la natura e da questa partire per inventare un proprio mondo.
Andrea Trisoglio, referente del progetto Green Jobs di Fondazione Cariplo, ha sintetizzato le opportunità che in concreto la Fondazione ha offerto ai giovani in termini di alternanza scuola lavoro e stage green. Nuovissimo anche il bando ReStartAlp che propone summer school per i ragazzi sugli Appennini per sviluppare un’idea imprenditoriale legata al territorio.
I Green Jobs hanno richiesto anche adattamenti di aspetti giuridici e fiscali analizzati dall’avvocato Sergio Barozzi – partner e managing director Lexellent – che si è soffermato in particolare sulle nuove riflessioni etiche che il web impone nell’ambito del diritto del lavoro. Ma il tema dei Green Jobs non si esaurisce qui: nelle prossime settimane vi daremo approfondimenti di tutte le relazioni presentate al convegno; seguiteci per saperne di più.
Nei secoli infedele.
È di oggi la notizia di un contenzioso sorto tra la Waymo (società della galassia Google destinata a sviluppare autovetture senza pilota) ed un suo ex ingegnere, che prima di salutare tutti in azienda avrebbe scaricato 14mila file sul proprio portatile per poi dar vita ad una società attiva (guarda caso…) nello sviluppo di sensori che permettono la navigazione automatica e la sicurezza stradale! Con l’aggravante che la start-up creata dal transfugo è poi stata acquisita da Uber, nota azienda di trasporto ultimamente impegnata per allestire una flotta di veicoli senza conducente.
La vicenda è avvenuta oltreoceano, ma ancora una volta dovrebbe far drizzare le antenne agli addetti ai lavori del Belpaese, notoriamente votato all’innovazione di alta gamma in svariati settori produttivi (meccanica, informatica, fashion, ecc…).
Diciamola tutta: il precetto di fedeltà sancito dall’articolo 2105 c.c. è codificazione del secolo scorso, epoca in cui lo sfruttamento indebito del patrimonio conoscitivo dell’azienda da parte del dipendente era fenomeno assolutamente marginale, non foss’altro che per i modestissimi mezzi a cui il lavoratore infedele poteva ricorrere per “asportare” una parte del patrimonio aziendale.
Diversa è la situazione nell’epoca degli smartphone (che immortalano e trasmettono di tutto e di più), delle chiavette USB (su cui in un battibaleno si copiano milioni di dati), dell’email con cui è agevole inviare dall’altra parte del mondo quanto appena sfilato.. dal cassetto del capufficio. Ebbene, in questa nostra epoca il mero precetto di cui all’art.2105 c.c. è argine ben modesto rispetto alle mille occasioni che possono indurre il dipendente a divenire infedele.
Nè va dimenticato il fenomeno che gli stessi giudici italiani qualificano “cherry picking”, cioè lo storno “chirurgico” di dipendenti finalizzato a sottrarre gruppi selezionati di cervelli altrui; non solo per acquisirne le particolari capacità ed esperienze professionali (magari integrate da un affiatamento di gruppo che ne aumenta il valore aggiunto), ma anche perché depositari di nozioni tecniche segrete che il nuovo datore di lavoro potrà subito mettere a frutto in altra sede.
Insomma è bene tenere a mente che ogni dipendente può agevolmente divenire veicolo di pericolose fughe di patrimonio immateriale dell’azienda. E per quanto non sappiamo come finirà la vicenda americana tra Waymo ed Uber, possiamo già esser certi che quando le mucche sono fuggite dalla stalla il rimedio è poi sempre poca cosa rispetto al danno subito.
Agli equipaggi si applica la legge del Paese dell’aeromobile.
Il 7 febbraio, il tribunale del Lavoro di Roma ha pubblicato un’interessante pronuncia in materia di giurisdizione competente e legge applicabile al rapporto di lavoro di un’assistente di volo, assunta da una compagnia aerea straniera, che lavorava a bordo di un aereo battente bandiera irlandese, ma basata su un aeroporto italiano.
La dipendente è stata licenziata dalla compagnia aerea perché si è rifiutata di riprendere la propria attività lavorativa, dopo che era stata adibita a mansioni di livello più basso di quelle alle quali era stata assegnata per circa un anno.
La dipendente aveva, infatti, ricoperto temporaneamente le mansioni di capo cabina e poi, dopo 12 mesi, è stata riassegnata alle normali mansioni di assistente di volo. Ritenendo tale decisione illegittima, la lavoratrice ha contestato l’inadempimento di parte datoriale e non ha ripreso la propria attività, fino a che la società ha comminato il recesso.
La prima importante parte della pronuncia è quella in tema di giurisdizione competente: il giudice capitolino ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, sebbene la società convenuta abbia la propria sede legale in Irlanda e non abbia alcuna sede operativa o secondaria in Italia.
L’articolo 21 del nuovo regolamento europeo in materia (1215/2012), infatti, prevede che il datore di lavoro possa essere convenuto non solo davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui il lavoratore presta o prestava la propria attività lavorativa, ma anche in quelle “da cui” presta attività. Nel caso specifico, l’assistente di volo – sebbene svolgesse la sua attività lavorativa in territorio irlandese – partiva dall’aeroporto di Ciampino, quindi dall’Italia.
Tale nuovo criterio, assente nella dicitura del precedente regolamento in materia di competenza giurisdizionale, il regolamento Ce 44/2001, ha innovato la materia, prevedendo che tra i fori alternativi che il lavoratore può adire, vi sia anche quello dello Stato membro «a partire dal quale» il dipendente inizia la prestazione lavorativa. Il nuovo regolamento, in vigore da gennaio 2015, sta fortemente impattando il settore dei trasporti internazionali, stabilendo la possibilità che il datore di lavoro venga convenuto in tanti stati quanti sono quelli di partenza dell’attività di trasporto.
Il giudice del lavoro di Roma, una volta dichiarata la propria competenza giurisdizionale, ha sancito l’applicabilità della legge irlandese, sulla base di quanto previsto dalla Convenzione di Roma del 1980. Non solo le parti del rapporto avevano scelto la legge irlandese come quella che disciplina il contratto di lavoro, ma anche in mancanza di scelta, la legge applicabile sarebbe stata quella irlandese, posto che l’attività lavorativa era svolta a bordo di aerei irlandesi che, in applicazione della Convenzione di Chicago del 1944, sono considerati territorio irlandese.
È quindi stato riaffermato un principio cardine in materia di trasporto aereo, ovvero che l’aeromobile deve essere considerato territorio dello Stato in cui è registrato, così che la prestazione lavorativa di piloti e assistenti di volo non può che considerarsi svolta sul territorio dello Stato di cui l’aeromobile batte bandiera.
Ma vi è di più: il tribunale ha altresì chiarito come nel lavoro aereo la parte essenziale della prestazione viene svolta a bordo, mentre le eventuali e ulteriori attività svolte a terra, come la richiesta ferie, la ricezione delle informazioni sul volo e altre attività ancillari, non possono che essere considerate solamente «strumentali al nucleo essenziale che costituisce l’oggetto del contratto di lavoro, cioè lo scambio tra energie lavorative e denaro».
Sulla base della legge irlandese, infine, il giudice ha affermato la legittimità del licenziamento, non potendosi ravvisare alcuna norma di ordine pubblico infranta dalla condotta della compagnia aera irlandese. Ha, infatti, precisato che il criterio della promozione automatica previsto dall’articolo 2103 del codice civile non costituisce cardine fondamentale dell’ordinamento lavoristico italiano, essendo essenziale la sola garanzia di rilievo costituzionale del diritto di percepire la retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato.
Una volta fugato il dubbio che l’articolo 2103 del codice civile potesse costituire cardine del nostro ordinamento giuridico ne è discesa la logica conseguenza della correttezza dell’operato della compagnia aerea con conseguente rigetto del ricorso della lavoratrice.
Contratti di stage e apprendistato possono costare cari alle aziende. Come evitare che il risparmio diventi spreco.
Negli ultimi tempi si è registrato un vero e proprio boom dei contratti di stage, tirocinio e di apprendistato. Tale fenomeno è stato di sicuro alimentato dalle agevolazioni riconosciute negli ultimi anni dal nostro Governo in favore delle aziende. In tal senso, anche per il 2017 è stato confermato, tra gli altri (bonus assunzione donne e bonus Sud), il bonus assunzioni per i datori di lavoro che confermeranno i tirocinanti che hanno collaborato in azienda attraverso il programma nazionale Garanzia Giovani.
Pertanto, per tutto il 2017 i datori di lavoro privati che assumeranno giovani iscritti a tale programma avranno diritto ad una compensazione dei contributi previdenziali dovuti. Agevolazioni contributive seguono anche ai contratti di apprendistato, mentre gli stage sono comunemente ritenuti delle tipologie di lavoro a costo zero.
Non c’è dubbio che attraverso tali strumenti le aziende riescano a contenere i costi e gli oneri amministrativi, ma essi possono rivelarsi un’arma a doppio taglio, se indebitamente utilizzati. La legge, infatti, disciplina scrupolosamente i loro ambiti e sfere di applicazione, pena il riconoscimento di un rapporto di lavoro di natura subordinata.
Scopo comune di entrambe le tipologie contrattuali è formare professionalmente lo stagista/apprendista. A tal fine è previsto che questi segua un apposito progetto formativo, che deve essere redatto per iscritto, e che sia affiancato da un tutor. Entrambe le cose non sono così scontate nella realtà dei fatti.
Chi intende ricorrere a tali istituti deve far bene attenzione alle effettive modalità svolgimento del rapporto poiché laddove lo stagista/apprendista riesca a dimostrare in giudizio di essere stato assoggettato al potere di organizzazione e controllo da parte dell´impresa ospitante/datore di lavoro, il Giudice riconoscerà facilmente l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, con conseguente diritto del dipendente ad ottenere le differenze retributive arretrate e la perdita da parte del datore di lavoro degli eventuali incentivi economici e nomativi applicati all’apprendistato.
Per tale ragione, laddove si decidesse di ricorrere a tali istituti è necessario seguire alcune regole di prudenza.
Il tutor deve essere ben individuato essere “credibile ” e deve effettivamente essere presente in azienda dove il lavoratore opera. Meglio ancora prevedere un percorso con più tutor che si avvicendano in ragione del processo di apprendimento.
Poi è consigliabile tenere un registro delle attività formative e possibilmente garantire corsi formativi interni o meglio esterni, e controllare i livelli di apprendimento periodicamente, magari anche attraverso veri e propri test periodici.
Le “law firm” puntano al benessere.
Parlando di Innovazione sul Corriere della Sera, si parla della formula No Excellence, No Fee. Una garanzia unica che lo studio attua per i propri clienti.
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Chiacchiere di Carnevale e segreti di Pulcinella.
Mai prima d’ora la storia dell’umanità aveva attraversato un’epoca come l’attuale, in cui miliardi di comunicazioni personali, nozioni, fotografie, documenti, ecc… (“dati” in senso lato) vengono quotidianamente immagazzinati e messi virtualmente sotto chiave in uno scrigno informatico.
Col risultato che si moltiplicano i furbetti del telefonino che tentano di fare man bassa di cotanta ricchezza di informazioni. E la cronaca insegna che a nulla vale cercare un po’ di privacy appartandosi sui tetti delle case…
Si tratta in definitiva di segreti di Pulcinella, cioè quello che Wikipedia spiega essere “un idiotismo della lingua italiana usato per indicare un segreto che non è più tale, qualcosa che ormai è diventato di pubblico dominio nonostante i tentativi di tenerlo nascosto da parte di chi lo detiene”.
E sia chiaro che le cose non vanno granché meglio nemmeno per i cari vecchi segreti di fabbrica , oggi normati dall’art. 98 del Codice della Proprietà Intellettuale alla voce “informazioni aziendali segrete”.
Dove sta il problema? La risposta è semplice.
L’art. 98 CPI stabilisce che le informazioni aziendali sono proteggibili, ma solo se assoggettate a “misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.
E qui generalmente casca l’asino (imprenditore).
La stragrande maggioranza delle aziende italiane, incluse quelle votate ad innovazione spinta, non ha infatti mai implementato una efficace policy interna volta a proteggere i segreti aziendali.
Col risultato che al momento opportuno (tipico esempio: passaggio di un collaboratore strategico alle dipendenze di un competitor) le informazioni riservate dell’azienda vengono trattate alla stregua di un… segreto di Pulcinella!
Che cosa fare, dunque? La soluzione è una sola.
Digerite le chiacchiere di Carnevale occorre passare all’azione: vale a dire, studiare i percorsi delle informazioni strategiche dell’azienda, individuare i possibili varchi da cui esse possono prendere direzioni indesiderate, adottare accorgimenti (informatici e negoziali) che possano seriamente qualificarsi come “misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.
Ce ne ricorderemo?
La professione che cambia in 10 innovazioni.
Cresce l’impegno di avvocati e studi legali per l’individuazione di modi nuovi di vivere ed esercitare le professioni legali. Dal software per la gestione 4.0 dello studio alla cybersecurity.
Organizzazione interna, sicurezza, ma anche attenzione al benessere dei professionisti e valorizzazione dei giovani assieme a una maggiore cura del rapporto con i clienti, della comunicazione e della responsabilità sociale. In base ai risultati della seconda analisi dedicata da MAG al fenomeno, cresce l’impegno degli studi legali attivi in Italia sul fronte dell’innovazione. Inoltre, rispetto a quanto emerso nella prima edizione di questo lavoro (si veda il numero 49 di MAG), il numero di studi che ritiene di aver fatto innovazione nel corso dell’ultimo anno è quasi raddoppiato. Sulle cento le realtà interpellate in merito all’attuazione di progetti con cui stanno cambiando il modo di vivere ed esercitare le professioni legali, quasi il 20% ha risposto indicando più di una iniziativa….
Le innovazioni che cambiano la professione:
1 PERCORSI DI CARRIERA TRASPARENTI Dla Piper elabora un nuovo schema che prevede l’autocandidatura alla partnership e la creazione di un sistema che abolisce il “lockstep” degli associate.
2 GESTIONE 4.0 Toffoletto De Luca Tamajo e Nctm creano il software iLex che gira su un browser internet, integra il knowledge management, permette la contabilità industriale…
3 CYBERSECURITY BonelliErede implementa il progetto Machine Learning che ha dato vita a un sistema in grado di scoprire un attacco alla rete e garantire la massima sicurezza alle informazioni gestite dallo studio…
4.WORK/LIFE BALANCE Lo studio La Scala ha adottato un sistema di welfare aziendale a beneficio di tutti coloro i quali lavorano nello studio e che prevede un bonus bebè, un bonus welfare e un bonus scuola…
5 FIDUCIA DEL CLIENTE Lo studio Lexellent ha introdotto nei rapporti con i propri clienti la “clausola” no excellence no fee: se uno non è soddisfatto del lavoro degli avvocati può decidere di non pagarli…
GESTIONE E CURA DEL CLIENTE Molte delle innovazioni tecnologiche descritte tengono in considerazione il cliente e le sue esigenze. Ma sul fronte del cosiddetto client care si registrano anche numerose best practice operative. Tra queste, uno degli esperimenti più dirompenti è quello dell’introduzione della clausola no excellence no fee da parte dello studio giuslavoristico Lexellent fondato da Sergio Barozzi, Giovanni Benvenuto, Giorgio Scherini e Giulietta Bergamaschi. Questo servizio consente a un cliente che non sia rimasto soddisfatto dalla prestazione ricevuta di non pagare. La questione delle formule di pagamento ha grande rilevanza quando si parla di gestione del cliente. Decisamente inedita è la politica di work for equity adottata dallo studio Lca, guidato da Giovanni Lega, nei confronti di quei clienti, in particolari modo start-up, che potrebbero ottenere nel futuro importanti successi aziendali. L’obiettivo di questa soluzione è quello di non far sentire lo studio come un semplice fornitore di servizi, ma come un vero partner del cliente. Trasparenza e chiarezza dei rapporti sono invece alla base del sistema di gestione della clientela messo a punto da CastaldiPartners. …
6 ALTERNATIVE BILLING Lo studio Lca ha adottato la formula work for equity per la remunerazione dei servizi concessi alle start up e per costruire con esse un rapporto di reale partnership…
7 YES LOGO Nctm e Chiomenti hanno lavorato al rebanding del nome dello studio ma soprattutto hanno sperimentato l’utilizzo di un logo che ne esprima valori e identità…
8 BENESSERE AL LAVORO Il progetto Magna Carta di Linklaters ha portato all’integrazione nello studio di una psicologa delle organizzazioni per aumentare i livelli di motivazione e benessere…
9 TASK FORCE INNOVAZIONE Lo studio Toffoletto De Luca Tamajo ha creato un dipartimento di R&D che ospita tutte le funzioni relative al knowledge management e allo sviluppo dei nuovi prodotti dello studio…
10 COMUNICAZIONE INTEGRATA L’attività di comunicazione del progetto Africa dello studio BonelliErede ha rappresentato un esempio di best practice per il modo in cui ha coinvolto tutti gli stake holder dell’organizzazione.
Per leggere l’intero articolo (pag. 44) in .pdf
Di muri non si vive.
Gli effetti della Trumpeconomics sugli investimenti e il commercio mondiale.
Non siamo alla fine della globalizzazione, ma siamo di fronte ad una profonda domanda di cambiamento. Il reshoring, però, non risolve il problema del lavoro come il protezionismo non potrà frenare l’internazionalizzazione e l’accelerazione che internet ha dato a tutti i settori.
Per leggere l’intero articolo Di muri non si vive (pag. 44 della versione “L’Impresa in edicola”).
Obiettivo riduzione dell’assenteismo aziendale. Meglio investire su maggiori visite fiscali o sul welfare aziendale?
Il Decreto Madia sulla riforma del Testo Unico della P.A, che verrà presentato al Governo nei prossimi giorni, sta destando non poche polemiche.
Per contrastare il fenomeno dell’assenteismo strategico durante il week end, il Ministro Madia ha annunciato di voler intervenire, modificando le fasce di reperibilità e prevedendo dei controlli a sorpresa che verranno compiuti dai medici dell´INPS (fino ad ora competenti solo per le visite fiscali del settore privato).
Al momento, le fasce di reperibilità del settore privato sono di 4 ore giornaliere (10-12 e 17-19), mentre quelle del settore pubblico sono 7 (9-13 e 15-18). Il Direttore dell´INPS, secondo una notizia apparsa nei giornali odierni, ha chiesto di uniformare le fasce di reperibilità per entrambi i settori. Tale affermazione ha scatenato una serie di repliche infuriate da parte dei lavoratori (così come si legge in commento alla notizia sui giornali on line e sui social) che denunciano scarse condizioni lavorative, sistemi retributivi non premianti ed aziende poco attente alle esigenze dei dipendenti.
Viene, quindi, da chiedersi se la soluzione a tale problematica sia da rintracciare in un controllo più serrato delle assenze o se sia auspicabile osservare la problematica anche da un diverso punto di vista.
A tal proposito, desta riflessione, la circostanza che lo stesso Boeri, da un lato auspica un allineamento delle fasce di reperibilità, al fine di garantire una gestione più efficiente e meno costosa dei medici dell’INPS, dall’altro però richiede maggiori risorse economiche (solito problema del Paese a crescita zero incapace di far fronte a tutte le spese di cui necessita la popolazione, sempre più anziana).
Dall’esame di insieme emerge che probabilmente bisognerebbe cambiare il punto di vista: più che punire e controllare gli assenteisti, bisognerebbe creare un sistema virtuoso, premiando e incentivando chi si reca a lavoro. Bisognerebbe, quindi, investire in politiche di welfare aziendale che facciano ripartire l’economia e la crescita del paese e delle aziende.
Ferie e Sanremo.
E’ curioso che venga presentato a Sanremo, come un esempio positivo, un impiegato che ha accumulato ben 239 giorni di ferie non godute.
Va infatti ricordato che il diritto al godimento delle ferie ed il conseguente divieto alla loro monetizzazione, sancito sia dalla costituzione sia dalla normativa comunitaria, va nell’interesse non solo dei lavoratori, ma dell’intero sistema-paese. Le ferie infatti hanno la funzione, consentendo di fruire di una pausa adeguata, di salvaguardare la salute del lavoratore con vantaggi non solo per costui ma anche per il sistema sanitario e per l’intera collettività.
La normativa vigente quindi impone che le ferie vengano obbligatoriamente godute entro 18 mesi dalla maturazione e che non siano monetizzabili in corso di rapporto.
Discorso diverso per quanto riguarda i riposi per ex festività e Rol che possono invece essere rinunciati e quindi monetizzati (diversa infatti è la loro natura e funzione).
Potrebbe a prima vista sembrare che la questione sia di lana caprina, ma così non è in caso, per esempio, di una visita dell’ispettorato del lavoro o ancor peggio in caso di rivendicazioni da parte del dipendente al termine del rapporto. Il mancato godimento delle ferie infatti oltre a essere sanzionato amministrativamente può dar luogo al diritto al risarcimento del danno alla salute a favore del lavoratore.
Da un punto di vista amministrativo è quindi sempre consigliabile addebitare le assenze brevi come ferie invece che come Rol (se esistenti) o ex festività in modo da ridurne lo stock e poter eventualmente monetizzare a fine anno i permessi non goduti.
In ogni caso il mancato godimento delle ferie, cui segue, val la pena ricordarlo, non la cancellazione per mancata fruizione ma la loro monetizzazione al termine del rapporto, non rappresenta quindi un modello culturale da promuovere in quanto lo scambio fra salute e moneta (perché di questo sostanzialmente si parla e come tale è trattato dalla giurisprudenza ) non è né accettabile né economicamente conveniente.
LAVORO E GENITORIALITA’.
Il calo delle nascite in Italia è in rapporto diretto con le condizioni lavorative e con la mancanza di strumenti adeguati per facilitare la gestione familiare dei lavoratori. La ricerca condotta da IPSOS e promossa da Lexellent, lo studio legale di diritto del lavoro, non lasciano dubbi.
A rispondere alle domande del sondaggio mille persone, fra lavoratori e lavoratrici italiane delle piccole e medie imprese; i risultati sono stati presentati lo scorso 4 novembre nel corso del convegno “Lavoro e genitorialità: indagini, proposte e prospettive per un’azienda inclusiva” a Milano. Il 63% degli interpellati senza figli ha infatti dichiarato che la mancanza di prole è dovuta proprio a motivi lavorativi. Percentuale che cambia drasticamente se l’azienda per cui lavorano attuasse politiche specifiche per la conciliazione vita-lavoro: in tal caso il 76% ha risposto positivamente, avrebbe di sicuro avuto dei figli. Inoltre, tra chi ha già bambini, il 66% ha dichiarato che con migliori condizioni lavorative ed economiche ne avrebbe avuti di più. E alla domanda se i figli ostacolano la carriera, quasi un terzo degli intervistati, con o senza figli, ha risposto positivamente.
Il Jobs Act prevede che le aziende offrano servizi per la genitorialità, ma sono ancora poche le PMI che attuano tali soluzioni, non sono ampiamente sviluppate è ancora sono pochissimi i lavoratori che conoscono tali opportunità. Così risponde, ad esempio, il 47% di intervistati senza figli, ossia che non è stata informata su diritti e opportunità per i lavoratori genitori, e la trasparenza nelle comunicazioni è invocata dal 90% dei lavoratori. Proseguendo nella ricerca emergono altri dati interessanti: tutti i lavoratori chiederebbero una maggiore flessibilità degli orari, il 52%; mentre per il 54% dei genitori sarebbe comodo il telelavoro.
(Fonte IPSOS)Risultati ricerca Art. 3-Lavoro e genitorialità
LEXELLENT: MANAGING EMPLOYMENT LITIGATION.
LEXELLENT is holding its first seminar of 2017 ‘Managing Employment Litigation’ on Thursday 9th Februay.
For more information and the event programme.
The event is free of charge and will take place in Italian.
To reserve your place contact lexellent@lexellent.it
Viareggio, la condanna dell’Ad dimostra che il sistema di gestione dei rischi aziendali non funzionava.
La condanna dell’ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e di Rete Ferroviaria Italia (la società di Fs che gestisce le infrastrutture), Mauro Moretti, a sette anni e sei mesi di reclusione per la strage di Viareggio (36 morti la sera del 29 giugno 2009) ha indubbiamente destato stupore fra i non addetti ai lavori.
Com’è possibile, si domandano in molti, che il numero uno di una grande azienda strutturata e complessa come le ferrovie possa essere considerato responsabile di un incidente, per quanto grave, avvenuto a centinaia di chilometri di distanza? Incidente, peraltro, frutto di una serie di concause che non si può pensare potessero essere tenute direttamente sotto controllo da parte dell’amministratore delegato di un’azienda con migliaia di dipendenti, che certamente non poteva essere a conoscenza della pericolosità di un treno o dell’esistenza di un paletto, messo dove non doveva stare.
In realtà la domanda ha una risposta molto più semplice di quanto sembri, ma che a sua volta fa sorgere una perplessità ancora più importante e pertinente. Proviamo a spiegarci.
Se fra le concause della strage di Viareggio vi è una responsabilità della struttura Rfi, unitamente a quella della società che gestiva il trasporto, è del tutto logico che si arrivi fino all’amministratore delegato, cioè a colui che rappresenta l’azienda. Il legale rappresentante, infatti, risponde legalmente dell’operato dei propri sottoposti. Sotto questo profilo, dunque, la condanna di Moretti (insieme a quella di Michele Mario Elia, anche lui ai tempi amministratore delegato di Rfi, di Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia e di altri 21 fra dirigenti del gruppo e delle società fornitrici a cui sono state inflitte pene varie) non può stupire.
Quello che stupisce è che un’impresa importante e strutturata come Rfi non avesse messo in atto un efficace sistema di deleghe che consentisse di limitare la responsabilità di Moretti e degli altri vertici aziendali. O, per meglio dire, di ricondurre la responsabilità per eventuali errori e omissioni su chi effettivamente aveva il compito di gestire e di vigilare sulla sicurezza dell’azienda, fossero questi semplici preposti o direttori di dipartimento o di funzione, cioè coloro che avevano l’incarico di implementare le misure di sicurezza, verificarne l’efficienza e controllarne l’attuazione da parte degli operatori finali.
La normativa nazionale, d’altra parte, consente di mettere in atto un sistema di deleghe tali per cui la catena delle responsabilità si ferma al delegato e non risale al delegante, com’è logico e come avviene anche altrove, visto che il legislatore non è ignaro di come funziona un’impresa. In altre parole l’amministratore delegato, non potendo seguire tutte le fasi dell’attività aziendale, può delegare alcuni dei propri obblighi specifici a dirigenti dotati di specifiche competenze tecniche e operative, sgravandosi dalla responsabilità diretta (anche se non da quella di controllo).
Ma ciò può avvenire solo e soltanto se quel sistema di deleghe (che deve essere inserito nel documento di valutazione dei rischi) risponde effettivamente agli incarichi affidati in azienda, non se è una mera sovrastruttura burocratica fittizia creata con il solo intento di limitare la responsabilità dei top manager senza prevedere un’effettiva e coerente ripartizione dei poteri decisionali e di spesa.
È presto oggi per dire quali sono i motivi per i quali il tribunale di Lucca (che non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza) ha ritenuto che la responsabilità della strage di Viareggio debba risalire fino all’amministratore delegato di Rfi, ma certamente il fatto che si sia arrivati fino a Moretti dimostra che il sistema era carente. È probabile che il difetto consistesse principalmente nel fatto che i delegati non avevano effettivi poteri per esercitare le funzioni a loro affidate o che vi fosse una scissione fra la reale organizzazione aziendale e la mappa delle responsabilità e delle deleghe prevista dal documento di valutazione dei rischi. Ed è proprio questo uno degli aspetti più sottovalutati dalle aziende che, molto più frequentemente di quanto si creda, porta a far condannare gli amministratori della società anche quando si consideravano al sicuro dietro lo schermo delle deleghe.
Non sappiamo se la sentenza di primo grado del tribunale di Lucca reggerà al vaglio dell’appello, ma certo è che le conseguenze di un sistema di deleghe che non funziona (perché in caso contrario probabilmente neppure si sarebbe arrivati al rinvio a giudizio dell’amministratore delegato della società) avranno ripercussioni per la persona coinvolta non solo come singolo, ma anche come parte del sistema industriale nazionale.
Ulteriori riflessioni sull’uso degli strumenti per il controllo a distanza.
La riforma dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, che regolamenta il controllo a distanza dei lavoratori per mezzo di strumenti informatici ed è stata introdotta con il Jobs Act, ha suscitato grande fermento e interesse, avendo per la prima volta autorizzato il monitoraggio a distanza dei dipendenti e della loro attività.
In particolare il secondo comma dell’articolo, che prevede che gli strumenti informatici forniti al lavoratore per lo svolgimento della propria attività possano diventare strumenti di controllo dello stesso, è stata oggetto di molteplici commenti.
Per inquadrare correttamente la norma è importante però ricordare che il legislatore con la riforma dell’articolo 4 non ha inteso consentire ai datori di lavoro un controllo totale e indiscriminato dei propri dipendenti, anzi è vero il contrario. Nelle parole della relazione accompagnatoria al decreto legislativo l’obiettivo indicato dal governo era esattamente l’opposto. Si voleva si evitare che la materia sfuggisse alle forche caudine del veto sindacale, ma al contempo si voleva anche consentire i controlli solo nell’ambito di quei principi di pertinenza, ragionevolezza, necessità che sono richiamati anche dalla normativa sulla privacy.
Per questo vale la pena richiamare l’attenzione sul fatto che per effetto della riforma l’ambiente di lavoro non può essere sottoposto al controllo di un Grande Fratello informatico.
Andando allo specifico del problema questo significa che non tutti gli strumenti di lavoro possono essere utilizzati per controllare in modo generalizzato l’attività lavorativa, ma che gli strumenti consegnati al singolo lavoratore possono essere utilizzati per il suo controllo, ma non per quello di altri. In altre parole il telefonino che serve per garantire la reperibilità potrà consentire di controllare se l’assegnatario si trova in servizio in un determinato momento della giornata, ma non può essere trasformato in una telecamera per controllare e filmare i colleghi di lavoro.
Il principio naturalmente si applica a tutti gli strumenti di lavoro. Stupirebbe pertanto se qualcuno pensasse di utilizzare un drone per controllare i propri dipendenti. Il drone potrà al massimo essere utilizzato per verificare se il suo pilota si trova al lavoro o meno, ma le registrazioni effettuate non potranno essere rivolte contro altri dipendenti che nello svolgimento della propria attività lavorativa non utilizzano quello strumento.
Si deve poi ricordare infine che i controlli saranno leciti solo in presenza di una dettagliata e specifica policy che informi i lavoratori delle modalità, dei fini e della tipologia degli strumenti di controllo utilizzati dal datore di lavoro, e se questa policy non è ancora stata introdotta vale certamente la pena colmare la lacuna in tempi rapidi.
opportunità green jobs.
La rivista Green Planner, in collaborazione con Myplant & Garden, ha organizzato un incontro per il 22 febbraio a cui parteciperà anche l’avv. Barozzi per parlare di Diritto & Doveri per chi si occupa di Green.
Ecco il programma del convegno:
ore 9,30 apertura reception
ore 10 inizio lavori
- Dati e tendenze: come si muovono le richieste di lavoro
Federico Filippa, Pr & CSR Manager InfoJobs - Finanziamenti e bandi
a cura della redazione
A tu x tu con la ricerca che porta Green Experience
- Il turismo sostenibile
Ada Rosa Balzan, Università Cattolica di Brescia e IED - Tessili green
Aurora Magni, LIUC – Università Cattaneo - Verde urbano di qualità: salute e risparmio
Patrizia Menegoni, ENEA - Gli scarti diventano materia prima
Nicoletta Ravasio, CNR
- Diritti e doveri di chi si occupa di green
a cura dell’ Avv. Sergio Barozzi, partner e managing director studio legale Lexellent - Il progetto Green Jobs mette in relazione scuole e aziende
a cura di Andrea Trisoglio, referente progetto Green Jobs di Fondazione Cariplo
ore 13 chiusura lavori
22 febbraio 2017
MyPlant & Garden
FieraMilano Rho-Pero – Sala Convegni – Pad. 20 corsia M
Info e iscrizioni: redazione@greenplanner.it
All’atto dell’iscrizione effettuata via mail, sarà emesso un biglietto gratuito per accedere alla fiera.