Comunicato dei partner

Giovanni Battista Benvenuto, Giulietta Bergamaschi e Giorgio Scherini, desiderano ringraziare pubblicamente Sergio Barozzi, partner e co-fondatore insieme a loro di Lexellent, per l’eccellente lavoro svolto negli anni e augurargli ogni successo professionale e personale per la nuova avventura che lo attende.
Sergio ha cominciato a collaborare con me oltre quarant’anni fa. Da ultimo abbiamo lavorato fianco a fianco contribuendo insieme agli altri soci alla nascita e crescita di un ideale: Lexellent. Un progetto che rispecchiava, e rispecchia ancora, il nostro comune desiderio di libertà. Siamo consapevoli che questa aspirazione ha oggi preso forma nella sua legittima decisione di misurarsi in un nuovo percorso e per questo motivo, io Giulietta e Giorgio, gli auguriamo solo il meglio” ha dichiarato il Senior Partner Giovanni Battista Benvenuto.
 

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Più donne non significa più parità; il caso delle avvocate e la sfida di AslaWomen.

Per quanto un avvocato su due sia donna, la disparità permane in termini di guadagno, ruoli apicali e decision making. Per spianare queste diversità e favorire la valorizzazione delle donne e delle diversità in genere, nel 2014 è nata ASLAWomen, la sezione di ASLA, Associazione Studi Legali Associati, che presenta un nuovo e importante incontro dal titolo “Diritto al futuro” previsto per il prossimo 18 maggio 2018 a Milano. L’evento, durante un’intera giornata di lavori, toccherà tutti i contenuti della professione forense del futuro e darà risalto ai temi della diversity nelle sue sfumature all’interno degli studi legali.
Alley Oop, il blog  multifirma del Sole24Ore, ha voluto approfondire il tema della diversity negli studi legali associati e gli obiettivi del prossimo convegno con un’intervista di Silvia Pasqualotto alle avvocate Barbara de Muro, componente del Comitato Esecutivo ASLA e responsabile della sezione ASLAWomen, e Giulietta Bergamaschi, componente del Comitato Esecutivo ASLA e componente di ASLAWomen.
Ecco il testo dell’intervista:
In Italia un avvocato su due è donna. E il loro numero sembra destinato a crescere visto che, come attesta la Cassa forense, dal 1981 a oggi il numero delle professioniste è aumentato in modo costante. Nel 1981 le donne che esercitavano la professione in Italia erano solamente il 7%, ma a partire dagli anni ’90 il loro numero è passato al 15%, per poi crescere nuovamente fino ad arrivare al 21% nel 1995, al 30% nel 2001, al 36% nel 2005 e raggiungere il picco del 48% nel 2016.  Non solo. Attualmente in alcune regioni del centro Nord nelle fasce più giovani (26 – 34 anni), il numero di avvocate è persino superiore rispetto al numero di colleghi uomini.
Eppure, a dispetto del loro peso numerico crescente, le giuriste continuano a stare ai margini della professione. In Italia, infatti, il reddito medio delle avvocate è pari al 43% dei colleghi uomini. Secondo una rilevazione della Cassa forense che risalgono al 2015, il reddito medio dichiarato dagli uomini è di 52.763 euro contro i 22.772 euro dalle donne. Oltre a guadagnare di meno, le avvocate fanno anche più fatica a scalare i ruoli all’interno degli studi legali. I dati raccontano infatti che solo il 13,64% dei managing partner (i soci dirigenti) degli studi legali è donna.
Contro queste disparità è nata nel 2014 AslaWomen: il 
gruppo di lavoro costituito all’interno dell’Associazione degli studi legali associati (Asla) che si occupa di sostenere e valorizzare le donne nel loro percorso professionale all’interno degli studi legali associati. “Le professioniste, sebbene rappresentino oggi una componente numericamente importante negli studi legali associati, continuano a essere poco presenti nelle posizioni di vertice”, rivela l’avvocata Barbara de Muro, responsabile della sezione AslaWomen. “Negli ultimi anni – continua la giurista – il numero di avvocate socie negli studi membri è passato dal 16,9% del 2013 al 24,7% del 2016 e il discrimine più netto si avverte nel passaggio a equity partner con solo il 20,40% di avvocate nel 2016”.
A fronte questi numeri tutt’altro che lusinghieri, spiega De Muro, “AslaWomen ha emanato delle linee guida: una sorta di disciplina etica per la gestione degli studi volta a valorizzazione ogni forma di diversity e illustrate politiche di sostegno della famiglia e della persona”.
Un impegno che sembra confermato anche dai numeri. Secondo i dati Asla, nel 2016 il 53,06% degli studi membri ha adottato concrete iniziative di valorizzazione delle differenze e ben due studi su tre (75,51%) ha predisposto una politica di sostegno dei professionisti nella conciliazione tra vita professionale e vita privata, tesa al miglioramento della qualità della vita. Nello specifico, il 56,76% delle law firm realizza l’intento mediante l’organizzazione di momenti conviviali con le famiglie dei professionisti; il 62,16% con la creazione di spazi interni come la mensa, il ristorante, la cucina e la sala relax; il 70,27% fissa le riunioni interne in orari idonei a conciliare eventuali esigenze familiari; l’81,08% attraverso la possibilità di lavorare da casa; il 29,73% stipula polizze assicurative sanitarie.
Bisogna precisare però che questi numeri riguardano un numero ristretto di studi legali. “La realtà milanese – spiega l’avvocata Giulietta Bergamaschi, membro del comitato esecutivo Asla, sezione AslaWomen – rappresenta un unicum che non trova riflesso in quasi nessun altra zona d’Italia. E tuttavia è pur vero che, come dimostrano i dati sul numero di donne alla guida degli studi legali, quello che si fa oggi – anche a Milano – non è ancora abbastanza per le colleghe che lavorano all’interno delle law firm. Bisogna perciò continuare a mantenere alta l’attenzione su questi temi, sensibilizzando non solo le donne ma anche gli uomini”.
A questo scopo, il prossimo 18 maggio a Milano, Asla organizzerà un convegno dal titolo “Diritto al Futuro” dove si parlerà, tra gli altri argomenti, anche di diversity in tutte le sue sfumature. Oltre a discutere di disparità di genere, l’Associazione si interrogherà anche, come spiega Bergamaschi, “sulle differenze a livello di orientamento e di identità sessuale all’interno degli studi legali. Inoltre discuteremo di disabilità visto che ci siamo resi conto che il modo in cui è strutturata oggi la prova di abilitazione professionale può rappresentare un ostacolo per i colleghi e le colleghe i soffrono di disturbi dell’apprendimento. Infine dedicheremo uno spazio alle avvocate nel cinema, analizzando come è cambiata la rappresentazione e la percezione di chi pratica la nostra professione”.
 
Per leggere l’intervista direttamente sul blog Alley Oop.

Privacy by design. Una rivoluzione annunciata.

Nel suo ultimo numero  l’Impresa affronta il tema delle nuove regole UE sulla protezione dei dati che potrebbero cambiare la vita alle imprese.
Dal 25 maggio entra in vigore il regolamento europeo sull’utilizzo dei dati in internet. Per le aziende non si tratta solo di adempimenti, ma soprattutto di una nuova filosofia che costringe a ragionare su come si usa la tecnologia e a mettere ordine nel data base …  poche però l’hanno compreso.
La redazione, tra l’altro, ha chiesto il parere a tre esperti, un economista – Riccardo Puglisi, docente di Economia Politica all”Università di Pavia e redattore di lavoce.info – , Carlo Mauceli, National Digital Officer di Microsoft Italia e all’avv. Sergio Barozzi, partner dello studio legale Lexellent che lo scorso 15 febbraio ha organizzato proprio un incontro sul tema GDPR.
Per leggere l’intero articolo, cliccare qui.
 
 
 
 

STUDIO LEGALE LEXELLENT – I CONVEGNI ORGANIZZATI DA LEXELLENT.

In occasione del convegno dal titolo GDPR 2016/679, dello scorso 15 febbraio, l’avvocato Barozzi è stato intervistato dalla redazione di LawTalks.
Qui di seguito riportiamo il video e anche la sinossi dell’intervista:

“Noi, come Lexellent, facciamo spesso iniziative informative destinate ai nostri Clienti, – Spiega l’avv. Sergio
Barozzi, Managing Partner di Lexellent –  ai potenziali clienti ed alle persone con cui siamo in contatto.
Abbiamo un vero e proprio programma formativo che chiamiamo Academy, in particolare poi ci
concentriamo su quelle che sono le novità legislative più importanti e più significative e, soprattutto, ci
focalizziamo sulle novità legislative che possono dare luogo a iniziative pratiche e concrete perché in
azienda le si deve mettere in atto.”
“Quindi lo scopo di questi nostri incontri è quello di fornire una veloce panoramica su quelle che sono le
novità ma soprattutto cosa fare per essere in ordine quando la legge entra in vigore. Da questo punto di
vista, quindi, il Convegno di oggi sul DPO e Regolamento n.679/2016 è strutturato proprio in questo modo:
abbiamo affrontato le varie problematiche connesse con il nuovo Regolamento Europeo sulla Privacy e sul
cosa cominciare a fare, per essere in ordine fra 99 giorni. Quando il nuovo Regolamento entrerà in vigore.”

La sfida della Privacy per imprese e professionisti. Adeguarsi al nuovo Regolamento Europeo evitando rischi e sanzioni.

E’ il titolo dell’incontro, organizzato in collaborazione con Andaf, Prometeo MC, Amrop, Union Internationale des Avocats e The British Chamber of Commerce for Italy, a cui prenderà parte come relatore l’avv. Renato D’Andrea, of counsel dello studio.

Programma della giornata:
Moderatore

  • Marco Cerù, Presidente ANDAF Sezione Centro Sud

Introduzione

  • Paolo Lenzi, Partner UHY Italy
    Alessandro Fantini, Partner Studio Legale SLVB Firenze

Interventi

  • Francesco Pizzetti, Professore Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Torino, già Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali
  • Gianvincenzo Fedele, Senior Manager Prometeo Management Consulting, Privacy Consultant UHY Italy
  • Angela Tavaglione, Avvocato Studio Legale SLVB Firenze
  • Renato D’Andrea, Avvocato, of counsel Lexellent
  • Vito Gioia, Managing Director Amrop

Appuntamento:
Roma, mercoledì 21 marzo 2018
hr. 14,30 -18,00
Segue rinfresco
Sala Multimediale Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.
Via Marco Minghetti 30/A, angolo Via del Corso, Roma
Ingresso libero previa registrazione.

Internazionalizzazione e tecnologie: strumenti per favorire le pari opportunità.

A seguito del convegno dal titolo “Quando le tecnologie e l’internazionalizzazione favoriscono le pari opportunità”, l’avv. Giulietta Bergamaschi è stata intervistata da RAI Cultura – Economia.
Si è parlato dei risultati del survey condotto in 28 paesi sul tema della discriminazione sul lavoro, di quanto le Pari Opportunità siano al centro del dibattito europeo e anche tra gli obiettivi dell’agenda per lo sviluppo sostenibile, ma anche di quanto la digitalizzazione possa aprire nuovi orizzonti nell’organizzazione aziendale.
Per vedere l’intervista o leggere la sinossi dell’intervento, ecco il link.

 

Discriminazione e lavoro: stesse leggi ma interpretazioni diverse. Così si violano i diritti.

Dal sito www.alleyoop.ilsole24ore.com, un approfondimento sulle tematiche del V convegno, organizzato dallo studio, dal titolo Quando le tecnologie e l’internazionalizzazione favoriscono le pari opportunità, tenutosi il 1° marzo a Milano.
Facciamo un esperimento. Proviamo a chiedere a un avvocato che lavora nell’Unione europea se nel suo Stato esiste una legislazione contro le discriminazioni sulla base del genere, dell’età e dell’etnia nei luoghi di lavoro. La risposta sarà, nella quasi totalità dei casi, affermativa. Significa quindi che la discriminazione sul lavoro è stata azzerata grazie alle leggi? Non proprio. Se infatti chiediamo, agli stessi avvocati, se, per esempio, è accettabile richiedere un curriculum vitae con una foto del candidato, ci renderemo conto che le risposte iniziano a non essere così uniformi. Una parte dei legali risponderà che nel suo Paese questa richiesta viene considerata una potenziale discriminazione sulla base di canoni estetici e quindi non accettabile. Mentre un’altra parte risponderà che nel suo Stato, una richiesta di questo tipo è ritenuta più che lecita.
L’esperimento in questione è stato fatto davvero e dai suoi risultati è nata la survey “Discrimination at work”, realizzata dall’avvocato Sergio Barozzi e dall’avvocata Alessandra Rovescalli dello studio legale Lexellent. La ricerca – presentata oggi a Milano, nel corso del convegno annuale organizzato dalla law firm sulle Pari opportunità – ha messo in luce come, nonostante la presenza di leggi anti discriminatorie in quasi tutti i Paesi del mondo, quando si arriva ai casi concreti le risposte sono molto diverse e non sempre così attente alla tutela delle diversità.
“La ragione sta nel fatto che, la normativa anti discriminazione risente enormemente della sensibilità e della cultura che vige in un determinato Paese. Non bastano cioè le leggi a garantire che i lavoratori e le lavoratrici non vengano discriminati sulla base del loro aspetto, del loro genere, della loro età o del loro orientamento sessuale. Serve infatti qualcosa di più che risiede nella cultura di quello Stato e che non tutti i Paesi – compresi quelli con una legislazione apparentemente molto simile – hanno dimostrato di avere”, spiega l’avvocato Barozzi.
La ricerca di Lexellent ha coinvolto 28 Paesi del mondo che sono stati analizzati sulla base delle risposte date da avvocati giuslavoristi (che si occupano cioè di diritto del lavoro) ad alcuni quesiti in merito alla presenza di leggi che prevengano o impediscano le discriminazioni nei luoghi di lavoro sulla base del genere, dell’età, dell’orientamento sessuale, della religione o dell’aspetto fisico. “Siamo partiti dal generale per poi scendere nel particolare e ci siamo accorti che Nazioni con la stessa legislazione in tema di discriminazione, hanno però casi concreti molto diversi”. Una situazione che si verifica anche nel caso dei Paesi membri dell’Unione europea che su questi temi dovrebbero avere tutti leggi di derivazione comunitaria.
Nello specifico, dalla survey di Lexellent è emerso che il tema su cui c’è più sensibilità è quello dell’orientamento sessuale. “È emerso, infatti, che in quasi tutti i Paesi – eccetto tre – c’è una sensibilità molto avanzata, almeno dal punto di vista legislativo”. Non va altrettanto bene invece sul fronte delle discriminazioni legate al genere dei lavoratori. La ricerca mette, infatti in luce, che quasi tutti i Paesi sono sensibili all’argomento solo formalmente. “Quasi tutti i 28 Paesi analizzati – racconta Barozzi – hanno una legislazione che la impedisce. In realtà però sappiamo per esperienza che le cose non stanno così e che si tratta spesso di leggi che rimangono inapplicate o che vengono rispolverate in maniera estemporanea quando c’è la necessità di migliorare l’immagine di un’organizzazione.
A dimostrarlo sono le risposte alla domande “È accettabile, in una società di moda, pubblicare un annuncio di lavoro per assumerne uno giovane donna per svolgere attività di pubbliche relazioni?” e “È accettabile richiedere un curriculum vitae con una foto del candidato?”. “Alla prima domanda quasi tutti i Paesi hanno risposto “non è accettabile” e tuttavia alla seconda più della metà delle Nazioni oggetto della survey si sono espresse a favore della possibilità di avere curricula con foto, ammettendo considerare accettabili le valutazioni dei candidati sulla base delle qualità estetiche. “È come dire che formalmente siamo a posto, ma se andiamo a scavare più in profondità ci rendiamo conto che le cose non stanno davvero così”, commenta l’avvocato.
Se si sposta lo sguardo all’Italia, la survey mostra, come evidenzia Barozzi, “una dicotomia tra magistratura e società civile”. “In Italia – continua l’avvocato – la magistratura è molto disponibile su queste temi e tuttavia esiste un grande ritardo che ha origini culturali. Inoltre nel nostro Paese manca un contenzioso importante. Le cause che hanno come oggetto la discriminazione sul lavoro sono cioè molte meno rispetto a quelli che registriamo in Usa o in Gran Bretagna”.
Un altro tema indagato dalla ricerca è quello della discriminazione indiretta. “La discriminazione indiretta – spiega Barozzi – riguarda quei comportamenti o quelle azioni apparentemente neutri ma il cui risultato in realtà porta alla discriminazione di una o più categorie di lavoratori. Penso per esempio a un’organizzazione che decide di organizzare una convention aziendale in Svizzera, discriminando così i lavoratori non comunitari che in quel Paese non possono entrare. Su questo tema c’è ancora molta strada da fare in tutti i Paesi”.