Disabilità e lavoro. Storie di aziende che investono sull’inclusione

Lexellent vi invita a partecipare al workshop organizzato da ABILITIAMO LA DISABILITA’ dal titolo “DISABILITÀ E LAVORO. STORIE DI AZIENDE CHE INVESTONO SULL’INCLUSIONE”, per un confronto sui temi dell’inclusione e della disabilità.

L’evento si svolgerà il giorno 3 dicembre 2019 dalle ore 14:00 alle ore 19:00 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – Via Nirone 15 MILANO.

Agenda:
ore 14.00 Accredito – Registrazione
ore 14.30 Saluti istituzionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
ore 14.45 Presentazione del tavolo «Abilitiamo la disabilità», Andrea Orlandini – AIDP
ore 15.15 Tavola rotonda – Esperienze a confronto:
                 Accenture, Alstom, IBM, Intesa Sanpaolo, Nestlé, UniCredit,
                 modera Giulietta Bergamaschi – Lexellent
ore 16.45 Question time
ore 17.15 Intervento: «Lavoro e malattie croniche oggi», Prof.ssa Matilde Leonardi – Fondazione IRCCS Istituto Neurologico C. Besta
ore 17.45 Conclusioni a cura di Camillo Caputo – ASST Fatebenefratelli Sacco
ore 18.00 Aperitivo di Networking a cura del team di #Rob de Matt
In allegato la locandina completa
Per iscrizioni cliccare qui

Giulietta Bergamaschi partecipa a Global Inclusion – Bologna 11 Settembre 2019

L’avvocato Giulietta Bergamaschi, nell’ambito di Global Inclusion, l’iniziativa senza fini di lucro e senza fede politica costituita con l’intenzione di valorizzare il contributo delle politiche di inclusione all’interno delle aziende come leva competitiva per lo sviluppo delle organizzazioni e del Paese, interverrà al panel dal titolo: “L’educazione inclusiva nelle aziende” che si terrà il giorno 11 settembre dalle ore 14:40 alle ore 15:40
Conduce: Alberto Fedel
Interverranno:
Claudia Tondelli – Senior Manager HR & Stewardship – Kohler
Igor Šuran – Direttore Esecutivo – Parks
Giovanna Zacchi – Referente attività di Responsabilità Sociale – Bper Banca
Vincenza Belfiore – Director – Azimut Wealth Management
Marco Bressan – Head of People & Culture Italia e Slovenia – Primark
Carla Maria Tiburtini – HR Business Partner for Commercial, Program & Project Management and Communications and Diversity Leader – Avio Aero a GE Aviation Business
Giulietta Bergamaschi – Managing Partner – Lexellent
Per iscrizioni e ulteriori informazioni: https://www.global-inclusion.org/focus-industry.php

Lexellent partecipa a Global Inclusion

SAVE THE DATE! Bologna, 11 settembre 2019 – Lexellent parteciperà a @Global Inclusion in qualità di sponsor.

L’evento, di cui Lexellent condivide principi e valori, è uno spazio di responsabilità sociale per imprese, associazioni non profit, istituzioni, scuole e università che scelgono la strada dell’inclusione.

A breve riceverete nuove informazioni! www.global-inclusion.org

 

Giudizio medico alla mansione, limitazioni e prescrizioni, disabilità, accomodamenti ragionevoli e licenziamento discriminatorio

Pubblichiamo di seguito l’articolo del Prof. Francesco Bacchini su Diritto24. Il contributo torna sul tema del diritto al lavoro dei disabili focalizzando sulla nuova disciplina antidiscriminatoria europea.
Come si è già avuto modo di osservare in questa sede (cfr. “L’inserimento lavorativo delle persone con disabilità“, pubblicato il 14.5.19), il tema dell’inclusione lavorativa dei portatori di disabilità condiziona il rapporto di lavoro nella sua interezza, informando la disciplina di tutte le sue fasi: instaurazione (tramite le previsioni della L. n. 68/1999 in materia di collocamento obbligatorio); esecuzione (mediante le garanzie, di cui infra, dirette all’effettivo mantenimento del soggetto disabile – anche per patologie sopravvenute – in azienda); scioglimento (per le tutele avverso il licenziamento discriminatorio intimato in ragione della sola disabilità).
La necessità di assicurare il pieno inserimento del lavoratore disabile nella comunità aziendale sta, anzitutto, alla base del nuovo Diritto antidiscriminatorio europeo in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
La Direttiva 2000/78 CE, infatti, ha imposto ai datori di lavoro l’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sempre che tali misure non implichino un onere finanziario sproporzionato.
Tale vincolo, dapprima ignorato dal legislatore italiano, è stato in seguito recepito (anche sulla scorta della condanna inflitta dalla Corte di giustizia nella C-312/11) tramite l’introduzione, nel corpo dell’art. 3 del D. Lgs. n. 216/2003, del c. 3-bis, che così recita: “al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori”.
Conseguentemente, alla luce della novella legislativa, il datore di lavoro è tenuto a fronteggiare la condizione di disabilità del dipendente adottando ogni accorgimento ragionevole di tipo organizzativo (ad es., la modificazione delle mansioni, la riduzione dell’orario o dei ritmi di lavoro, la trasformazione del contratto di lavoro da full-time in part-time) o di tipo tecnico (ad es., la dotazione di peculiari strumenti o attrezzature di lavoro, la sistemazione delle postazioni lavorative e l’abbattimento delle barriere architettoniche) che consentano, se non di superare, almeno di mitigare i limiti scaturenti dalla patologia inabilitante del lavoratore (si veda sull’argomento il punto 10 dell’Accordo Interconfederale Confindustria, CGIL, CISL, UIL del 12/12/2018 “Salute e sicurezza. Attuazione del patto per la fabbrica”).
Paradossalmente tale obbligo risulta maggiormente rilevante e impegnativo proprio a fronte della c.d. “disabilità sopravvenuta”, ossia nel caso in cui la “duratura” menomazione fisica, mentale, intellettuale o sensoriale del lavoratore sia intervenuta in costanza di rapporto ma non sia scaturita dall’inadempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi posti a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (in questo caso, ex art. 1, c. 7, L. n. 98/1999, il datore è tenuto a garantire la conservazione del posto di lavoro a chi sia divenuto disabile in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale).
La giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, infatti, in ossequio alla nozione europea di disabilità ricavabile dalla Direttiva 2000/78 CE e alla consolidata interpretazione della Corte di Giustizia Europea, ritiene che la malattia di lunga durata, non breve e transitoria (fra le tante, CGUE, 1 dicembre 2015, C-395/15) con attitudine ad incidere e ostacolare la vita professionale per un lungo periodo, integri, indipendentemente dal giudizio e dal grado di invalidità (per la computabilità nella quota di riserva ex l. n. 68/1999), la nozione di handicap ovvero di disabilità (Trib. Milano, sent. 11/02/2013 e Trib. Bologna ord. 18/06/2013) con ciò imponendo l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, circa la possibilità di adattamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del rerecesso (Cass. Civ. Sez. Lav., 19/3/2018, n. 6798), conseguendone che laddove il datore di lavoro non provi di averli adottati (o non dimostri l’impossibilità di metterli in atto perché economicamente non proporzionati alle dimensione e alle caratteristiche dell’impresa o non rispettosi delle condizioni di lavoro dei colleghi dell’invalido, Cass. Civ. Sez. Lav., 26/10/2018, n. 27243), il licenziamento irrogato a un lavoratore disabile per sopravvenuta inidoneità psico-fisica allo svolgimento delle mansioni, deve ritenersi ingiustificato per violazione del principio di non discriminazione (Trib. Pisa, 16/04/2015).
La questione della sopravvenuta malattia di lunga durata che, compromettendo in modo persistente lo stato psico-fisico, integra la condizione di disabilità, necessariamente intercetta la disciplina dell’obbligo di sorveglianza sanitaria (ovvero, ex art. 2, lett. m), l’insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa), di cui al T.U.S.L. e, segnatamente, quella del giudizio medico relativo alla mansione specifica di lavoro.
Trattasi di questione assai rilevante se solo si riflette sui, preoccupanti, dati 2018 dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane secondo i quali circa il 40% della popolazione, ossia 24 milioni di italiani, sono affetti da malattie croniche o multi-croniche (poco più della metà); secondo stime di proiezione nel 2028 nella classe di età 45-74 anni, quelli affetti: da ipertensione saranno 7 milioni, da artrosi/artrite 6 milioni, da osteoporosi più di 2 milioni e mezzo, da diabete 2 milioni, da cardiopatie 1 milione abbondante. Secondo altri dati meno recenti (PH Work – Promoting health work for people whit chronic illness, 2011-2013) quasi il 25% della popolazione in età lavorativa è affetta da almeno una malattia cronica, con proiezioni in deciso aumento rispetto agli over 55, ossia la fascia di popolazione economicamente attiva maggiormente soggetta al rischio di idoneità solo parziale o discontinua al lavoro.
Al cospetto di tale situazione, pertanto, il giudizio di inidoneità o di idoneità parziale con limitazioni e/o prescrizioni, permanente (e non temporaneo) alla mansione lavorativa (ricorribile, sia dal lavoratore che dal datore, entro 30 giorni dalla comunicazione, nei confronti della commissione medica dell’ASL) espresso ex art. 41, c. 5, T.U.S.L., dal medico competente in relazione a patologie croniche durature, finisce fatalmente per sancire lo stato di disabilità del prestatore e con esso l’insorgenza da parte del datore di lavoro, vincolato ex art. 42 ad attuare le misure sanitarie, dell’obbligo di adottare gli accomodamenti ragionevoli di cui all’art. 3, c. 3-bis, del D. Lgs. n. 216/2003.
L’adempimento di tale obbligo condiziona, infatti, il potere di recesso del datore di lavoro, il quale potrà legittimamente licenziare il lavoratore (per giustificato motivo oggettivo) a fronte della sopravvenuta inidoneità alla mansione per motivi di salute, solo dopo aver adottato tutti gli accomodamenti ragionevoli, oppure dopo aver dimostrato l’inesistenza o l’irragionevolezza, se esistenti, dei possibili adattamenti per comprovata sproporzione degli oneri finanziari necessari per realizzarli: pena la reintegrazione (e il risarcimento del danno) del lavoratore per licenziamento discriminatorio.
Se il giudizio, permanente, di idoneità parziale alla mansione con limitazioni (misure di restrizione, come ad es. l’indicazione di un orario lavorativo ridotto o del divieto di spostare oggetti superiori ad un determinato peso o, ancora, di compiere determinati movimenti) e prescrizioni (terapie e profilassi come ad es. l’indicazione di determinati strumenti o attrezzature di ausilio e supporto o particolari modalità di comportamento lavorativo, tipo pause o interruzioni), frequentemente utilizzata dai medici competenti, finisce sostanzialmente per individuare i ragionevoli accorgimenti, organizzativi e/o tecnici, che permettono alla persona disabile di conservare il posto di lavoro e non essere discriminata, quello di inidoneità impone, invece, di adibire, ove possibile, il lavoratore a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori (disponendone, se necessario vista l’obbligatorietà della misura, il trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra per evidenti ragioni organizzative), garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
Siffatta ultima previsione, contenuta all’art. 42 T.U.S.L., costituiva, come noto, una delle principali deroghe al divieto, imposto dall’art. 2103 c.c. nella sua previgente formulazione, di trasferimento del lavoratore a mansioni inferiori, senonché, la riscrittura del dato codicistico disposta dal c.d. “Jobs act” (D. Lgs. 81/2015) ha determinato il venir meno della preclusione in parola.
Il “nuovo” art. 2103 c.c., infatti, contempla oggi sia il trasferimento unilaterale a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore (purché rientranti nella stessa categoria legale), sia (al c. 6) il c.d. “patto di dequalificazione”: accordo, quest’ultimo, da raggiungersi “in sede protetta”, finalizzato a sancire il mutamento peggiorativo delle mansioni e/o della categoria di lavoro, nonché del relativo trattamento retributivo, “nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”.
Alla luce di quanto sopra, occorre, quindi, delineare i rapporti intercorrenti tra la previsione di cui all’art. 42 T.U.S.L. e l’art. 2103 c.c., per comprendere quale norma, tra le due, sia destinata a prevalere qualora il caso concreto sia sussumibile in entrambe le fattispecie astratte.
In altri termini, occorre chiedersi se, una volta formulato il giudizio, permanente, di inidoneità o di idoneità parziale con accomodamenti “irragionevoli” alla specifica mansione da parte del medico competente, debba necessariamente applicarsi la disciplina dell’art. 42 (sicché al lavoratore spetterebbe il trattamento economico previsto per le mansioni di provenienza), ovvero possa procedersi ad un accordo di dequalificazione ex art. 2103, c. 6, c.c. (con conseguente riduzione della retribuzione).
Ebbene, ai fini della questione appena esposta, sembrerebbe invocabile il principio di specialità (per cui lex specialis derogat generali), quale criterio utile alla soluzione delle antinomie normative; principio che condurrebbe all’applicazione della norma speciale (in concreto, quella prevista dal T.U.S.L.) a scapito di quella generale (codicistica), anche se, in un ottica di rinunzia (con transazione) ex art. 2113 c.c., conciliata in sede protetta, pare, nel caso concreto, del tutto ammissibile anche il “patto di dequalificazione” ex art. 2103, c. 6, c.c.
L’articolo completo disponibile anche qui.

L’inserimento nel mondo del lavoro delle persone affette da disabilità – La L. 23 marzo 1999, N. 68 a 20 anni dalla sua emanazione

Pubblichiamo di seguito l’articolo a cura di Giulietta Bergamaschi e Alberto Buson su Diritto24. Il contributo analizza lo stato dell’arte a 20 anni dall’emanazione della Legge 23 marzo 1999 n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.
Con la Legge 23 marzo 1999, n. 68 recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili“, si è cercato di superare un sistema normativo, fino a quel momento, a vocazione puramente assistenziale, ponendo le basi per la costruzione di un modello di piena (?) inclusione sociale.
Finalità della legge è, infatti, quella di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, attraverso mirati servizi di sostegno e di collocamento (come, ad esempio, il c.d. “Collocamento mirato” di cui all’art. 2).
Lo scopo che si prefigge il legislatore è, dunque, quello di favorire, anche attraverso la previsione di assunzioni obbligatorie, l’inserimento all’interno delle aziende di persone con disabilità, le quali altrimenti rischierebbero di essere escluse dal mondo del lavoro e di rimanere emarginate dalla nostra stessa società.
Passando ad analizzare i contenuti della norma, si può osservare come all’art. 1, comma 1, vengono individuate le diverse categorie di soggetti interessati all’applicazione delle disposizioni normative in essa contenute.
Per tali persone, così come identificate dall’art. 1, il legislatore prevede, all’art. 2, il c.d. “Collocamento mirato”, intendendo per tale “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”.
Il Collocamento mirato si concretizza poi attraverso l’istituto delle assunzioni obbligatorie, di cui al successivo art. 3 della legge in esame.
Con tale disposizione normativa, la Legge 68/99 ha previsto per i datori di lavoro, sia privati che pubblici, l’obbligo di assumere i lavoratori appartenenti alle categorie di cui all’art. 1, nella misura che segue:
a) 7% dei lavoratori occupati, se la società occupa più di 50 dipendenti;
b) 2 lavoratori, se la società occupa da 36 a 50 dipendenti;
c) 1 lavoratore soltanto, se la società occupa da 15 a 35 dipendenti.
Al riguardo, si deve precisare che la determinazione del numero di persone affette da disabilità da assumere obbligatoriamente è dato dal computo, tra gli stessi dipendenti, di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato (art. 4, L. 68/99). Tra l’altro dal 1° gennaio 2018 è scattato l’ulteriore obbligo per le imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti di assumere un lavoratore disabile anche se non vi sono state nuove assunzioni.
Il legislatore, oltre ad istituire servizi mirati di collocamento (art. 6) e disciplinare le modalità delle assunzioni obbligatorie (art. 7), ha poi previsto, nel rispetto dell’art. 33 del Regolamento UE n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, specifici incentivi a favore di quei datori di lavoro che assumono persone affette da disabilità con contratti a tempo indeterminato.
Allo scopo, dunque, di agevolare ulteriormente l’inserimento nel mondo del lavoro di tali persone, l’art. 13 ha concesso una serie di incentivi economici, da calcolarsi sulla retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, che variano in funzione del grado di riduzione della capacità lavorativa.
Dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 151/2015, gli incentivi di cui possono beneficiare i datori di lavoro che assumono lavoratori disabili sono i seguenti:
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% –› 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 36 mesi;
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disabili con riduzione della capacità lavorativa tra il 67% e il 79% –› 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 36 mesi;
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori con disabilità psichica ed intellettiva con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% –› 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 60 mesi;
Viene, inoltre, riconosciuta un’agevolazione anche per le assunzioni a tempo determinato di durata non inferiore a 12 mesi di persone affette da disabilità psichica ed intellettiva con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%. In tal caso l’incentivo spetta per tutta la durata del contratto.
Con la Legge di Bilancio 2019, sono state inoltre previste nuove risorse finanziarie destinate a tali incentivi (la L. 30 dicembre 2018, n. 145 con l’art. 1, comma 520, ha disposto infatti che “La dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili di cui all’art. 13, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68, è incrementata di 10 milioni di euro per l’anno 2019”).
Dopo una rapida panoramica degli istituti più importanti disciplinati dalla legge in commento, appare doveroso domandarsi se a distanza di 20 anni dalla sua entrata in vigore l’obiettivo di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone affette da disabilità nel mondo del lavoro sia stato effettivamente raggiunto dal legislatore italiano.
In tale quadro, occorre anche considerare che il D.Lgs. n. 151/2015 aveva previsto l’emanazione di uno o più decreti legislativi (da adottarsi entro 180 giorni) con i quali definire specifiche linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità al fine di favorirne l’inserimento lavorativo sulla base di determinati principi quali: i) la promozione di una rete integrata con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio e con l’INAIL; ii) la promozione di accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari e con le altre organizzazioni del terzo settore; iii) l’individuazione di modalità di valutazione bio-psico-sociale della disabilità e la definizione dei criteri di predisposizione dei progetti di inserimento lavorativo che tengano conto delle barriere e dei facilitatori ambientali rilevati; iv) l’analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro da assegnare, anche con riferimento agli accomodamenti ragionevoli che il datore di lavoro è tenuto ad adottare; v) la promozione dell’istituzione di un responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro, con compiti di predisposizione di progetti personalizzati e di risoluzione dei problemi legati alle condizioni di lavoro (c.d. figura del “Disability manager”); vi) l’individuazione di buone pratiche di inclusione lavorativa.
Ebbene, nonostante la volontà di procedere ad una riforma del collocamento mirato, ad oggi, non sono stati ancora emanati i decreti legislativi attuativi.
Sebbene dai dati dell’Ottava Relazione al Parlamento sul diritto al lavoro delle persone disabili relativa al biennio 2014-2015, presentata dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali il 28 febbraio 2018, emerga rispetto al passato un aumento del numero degli avviamenti effettivi al lavoro con una crescita,fra i contratti stipulati, della quota di quelli a tempo indeterminato, il tasso di occupazione delle persone affette da disabilità continua a rimanere di gran lunga inferiore rispetto a quello dei lavoratori senza disabilità.
Ad oggi, quindi, nonostante la legge preveda a favore delle imprese anche degli importanti incentivi per le assunzioni, la mancata attuazione della riforma del collocamento mirato fa pensare che l’obiettivo prefissato dalla Legge n. 68/99, a distanza di 20 anni, non sia stato affatto raggiunto.
La piena realizzazione degli scopi prefigurati dal legislatore del 1999, dunque, non potrà che passare da un sistema normativo efficacemente e concretamente volto a garantire un utile inserimento del disabile nell’organizzazione aziendale attraverso la scelta del posto di lavoro più adatto alle caratteristiche specifiche del soggetto protetto. Soltanto in tale modo si potrà neutralizzare il più possibile l’handicap e valorizzare completamente la professionalità di tali persone, al pari di ogni altro lavoratore presente in azienda.
L’articolo è disponibile anche qui.

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Più donne non significa più parità; il caso delle avvocate e la sfida di AslaWomen.

Per quanto un avvocato su due sia donna, la disparità permane in termini di guadagno, ruoli apicali e decision making. Per spianare queste diversità e favorire la valorizzazione delle donne e delle diversità in genere, nel 2014 è nata ASLAWomen, la sezione di ASLA, Associazione Studi Legali Associati, che presenta un nuovo e importante incontro dal titolo “Diritto al futuro” previsto per il prossimo 18 maggio 2018 a Milano. L’evento, durante un’intera giornata di lavori, toccherà tutti i contenuti della professione forense del futuro e darà risalto ai temi della diversity nelle sue sfumature all’interno degli studi legali.
Alley Oop, il blog  multifirma del Sole24Ore, ha voluto approfondire il tema della diversity negli studi legali associati e gli obiettivi del prossimo convegno con un’intervista di Silvia Pasqualotto alle avvocate Barbara de Muro, componente del Comitato Esecutivo ASLA e responsabile della sezione ASLAWomen, e Giulietta Bergamaschi, componente del Comitato Esecutivo ASLA e componente di ASLAWomen.
Ecco il testo dell’intervista:
In Italia un avvocato su due è donna. E il loro numero sembra destinato a crescere visto che, come attesta la Cassa forense, dal 1981 a oggi il numero delle professioniste è aumentato in modo costante. Nel 1981 le donne che esercitavano la professione in Italia erano solamente il 7%, ma a partire dagli anni ’90 il loro numero è passato al 15%, per poi crescere nuovamente fino ad arrivare al 21% nel 1995, al 30% nel 2001, al 36% nel 2005 e raggiungere il picco del 48% nel 2016.  Non solo. Attualmente in alcune regioni del centro Nord nelle fasce più giovani (26 – 34 anni), il numero di avvocate è persino superiore rispetto al numero di colleghi uomini.
Eppure, a dispetto del loro peso numerico crescente, le giuriste continuano a stare ai margini della professione. In Italia, infatti, il reddito medio delle avvocate è pari al 43% dei colleghi uomini. Secondo una rilevazione della Cassa forense che risalgono al 2015, il reddito medio dichiarato dagli uomini è di 52.763 euro contro i 22.772 euro dalle donne. Oltre a guadagnare di meno, le avvocate fanno anche più fatica a scalare i ruoli all’interno degli studi legali. I dati raccontano infatti che solo il 13,64% dei managing partner (i soci dirigenti) degli studi legali è donna.
Contro queste disparità è nata nel 2014 AslaWomen: il 
gruppo di lavoro costituito all’interno dell’Associazione degli studi legali associati (Asla) che si occupa di sostenere e valorizzare le donne nel loro percorso professionale all’interno degli studi legali associati. “Le professioniste, sebbene rappresentino oggi una componente numericamente importante negli studi legali associati, continuano a essere poco presenti nelle posizioni di vertice”, rivela l’avvocata Barbara de Muro, responsabile della sezione AslaWomen. “Negli ultimi anni – continua la giurista – il numero di avvocate socie negli studi membri è passato dal 16,9% del 2013 al 24,7% del 2016 e il discrimine più netto si avverte nel passaggio a equity partner con solo il 20,40% di avvocate nel 2016”.
A fronte questi numeri tutt’altro che lusinghieri, spiega De Muro, “AslaWomen ha emanato delle linee guida: una sorta di disciplina etica per la gestione degli studi volta a valorizzazione ogni forma di diversity e illustrate politiche di sostegno della famiglia e della persona”.
Un impegno che sembra confermato anche dai numeri. Secondo i dati Asla, nel 2016 il 53,06% degli studi membri ha adottato concrete iniziative di valorizzazione delle differenze e ben due studi su tre (75,51%) ha predisposto una politica di sostegno dei professionisti nella conciliazione tra vita professionale e vita privata, tesa al miglioramento della qualità della vita. Nello specifico, il 56,76% delle law firm realizza l’intento mediante l’organizzazione di momenti conviviali con le famiglie dei professionisti; il 62,16% con la creazione di spazi interni come la mensa, il ristorante, la cucina e la sala relax; il 70,27% fissa le riunioni interne in orari idonei a conciliare eventuali esigenze familiari; l’81,08% attraverso la possibilità di lavorare da casa; il 29,73% stipula polizze assicurative sanitarie.
Bisogna precisare però che questi numeri riguardano un numero ristretto di studi legali. “La realtà milanese – spiega l’avvocata Giulietta Bergamaschi, membro del comitato esecutivo Asla, sezione AslaWomen – rappresenta un unicum che non trova riflesso in quasi nessun altra zona d’Italia. E tuttavia è pur vero che, come dimostrano i dati sul numero di donne alla guida degli studi legali, quello che si fa oggi – anche a Milano – non è ancora abbastanza per le colleghe che lavorano all’interno delle law firm. Bisogna perciò continuare a mantenere alta l’attenzione su questi temi, sensibilizzando non solo le donne ma anche gli uomini”.
A questo scopo, il prossimo 18 maggio a Milano, Asla organizzerà un convegno dal titolo “Diritto al Futuro” dove si parlerà, tra gli altri argomenti, anche di diversity in tutte le sue sfumature. Oltre a discutere di disparità di genere, l’Associazione si interrogherà anche, come spiega Bergamaschi, “sulle differenze a livello di orientamento e di identità sessuale all’interno degli studi legali. Inoltre discuteremo di disabilità visto che ci siamo resi conto che il modo in cui è strutturata oggi la prova di abilitazione professionale può rappresentare un ostacolo per i colleghi e le colleghe i soffrono di disturbi dell’apprendimento. Infine dedicheremo uno spazio alle avvocate nel cinema, analizzando come è cambiata la rappresentazione e la percezione di chi pratica la nostra professione”.
 
Per leggere l’intervista direttamente sul blog Alley Oop.

Discriminazione e lavoro: stesse leggi ma interpretazioni diverse. Così si violano i diritti.

Dal sito www.alleyoop.ilsole24ore.com, un approfondimento sulle tematiche del V convegno, organizzato dallo studio, dal titolo Quando le tecnologie e l’internazionalizzazione favoriscono le pari opportunità, tenutosi il 1° marzo a Milano.
Facciamo un esperimento. Proviamo a chiedere a un avvocato che lavora nell’Unione europea se nel suo Stato esiste una legislazione contro le discriminazioni sulla base del genere, dell’età e dell’etnia nei luoghi di lavoro. La risposta sarà, nella quasi totalità dei casi, affermativa. Significa quindi che la discriminazione sul lavoro è stata azzerata grazie alle leggi? Non proprio. Se infatti chiediamo, agli stessi avvocati, se, per esempio, è accettabile richiedere un curriculum vitae con una foto del candidato, ci renderemo conto che le risposte iniziano a non essere così uniformi. Una parte dei legali risponderà che nel suo Paese questa richiesta viene considerata una potenziale discriminazione sulla base di canoni estetici e quindi non accettabile. Mentre un’altra parte risponderà che nel suo Stato, una richiesta di questo tipo è ritenuta più che lecita.
L’esperimento in questione è stato fatto davvero e dai suoi risultati è nata la survey “Discrimination at work”, realizzata dall’avvocato Sergio Barozzi e dall’avvocata Alessandra Rovescalli dello studio legale Lexellent. La ricerca – presentata oggi a Milano, nel corso del convegno annuale organizzato dalla law firm sulle Pari opportunità – ha messo in luce come, nonostante la presenza di leggi anti discriminatorie in quasi tutti i Paesi del mondo, quando si arriva ai casi concreti le risposte sono molto diverse e non sempre così attente alla tutela delle diversità.
“La ragione sta nel fatto che, la normativa anti discriminazione risente enormemente della sensibilità e della cultura che vige in un determinato Paese. Non bastano cioè le leggi a garantire che i lavoratori e le lavoratrici non vengano discriminati sulla base del loro aspetto, del loro genere, della loro età o del loro orientamento sessuale. Serve infatti qualcosa di più che risiede nella cultura di quello Stato e che non tutti i Paesi – compresi quelli con una legislazione apparentemente molto simile – hanno dimostrato di avere”, spiega l’avvocato Barozzi.
La ricerca di Lexellent ha coinvolto 28 Paesi del mondo che sono stati analizzati sulla base delle risposte date da avvocati giuslavoristi (che si occupano cioè di diritto del lavoro) ad alcuni quesiti in merito alla presenza di leggi che prevengano o impediscano le discriminazioni nei luoghi di lavoro sulla base del genere, dell’età, dell’orientamento sessuale, della religione o dell’aspetto fisico. “Siamo partiti dal generale per poi scendere nel particolare e ci siamo accorti che Nazioni con la stessa legislazione in tema di discriminazione, hanno però casi concreti molto diversi”. Una situazione che si verifica anche nel caso dei Paesi membri dell’Unione europea che su questi temi dovrebbero avere tutti leggi di derivazione comunitaria.
Nello specifico, dalla survey di Lexellent è emerso che il tema su cui c’è più sensibilità è quello dell’orientamento sessuale. “È emerso, infatti, che in quasi tutti i Paesi – eccetto tre – c’è una sensibilità molto avanzata, almeno dal punto di vista legislativo”. Non va altrettanto bene invece sul fronte delle discriminazioni legate al genere dei lavoratori. La ricerca mette, infatti in luce, che quasi tutti i Paesi sono sensibili all’argomento solo formalmente. “Quasi tutti i 28 Paesi analizzati – racconta Barozzi – hanno una legislazione che la impedisce. In realtà però sappiamo per esperienza che le cose non stanno così e che si tratta spesso di leggi che rimangono inapplicate o che vengono rispolverate in maniera estemporanea quando c’è la necessità di migliorare l’immagine di un’organizzazione.
A dimostrarlo sono le risposte alla domande “È accettabile, in una società di moda, pubblicare un annuncio di lavoro per assumerne uno giovane donna per svolgere attività di pubbliche relazioni?” e “È accettabile richiedere un curriculum vitae con una foto del candidato?”. “Alla prima domanda quasi tutti i Paesi hanno risposto “non è accettabile” e tuttavia alla seconda più della metà delle Nazioni oggetto della survey si sono espresse a favore della possibilità di avere curricula con foto, ammettendo considerare accettabili le valutazioni dei candidati sulla base delle qualità estetiche. “È come dire che formalmente siamo a posto, ma se andiamo a scavare più in profondità ci rendiamo conto che le cose non stanno davvero così”, commenta l’avvocato.
Se si sposta lo sguardo all’Italia, la survey mostra, come evidenzia Barozzi, “una dicotomia tra magistratura e società civile”. “In Italia – continua l’avvocato – la magistratura è molto disponibile su queste temi e tuttavia esiste un grande ritardo che ha origini culturali. Inoltre nel nostro Paese manca un contenzioso importante. Le cause che hanno come oggetto la discriminazione sul lavoro sono cioè molte meno rispetto a quelli che registriamo in Usa o in Gran Bretagna”.
Un altro tema indagato dalla ricerca è quello della discriminazione indiretta. “La discriminazione indiretta – spiega Barozzi – riguarda quei comportamenti o quelle azioni apparentemente neutri ma il cui risultato in realtà porta alla discriminazione di una o più categorie di lavoratori. Penso per esempio a un’organizzazione che decide di organizzare una convention aziendale in Svizzera, discriminando così i lavoratori non comunitari che in quel Paese non possono entrare. Su questo tema c’è ancora molta strada da fare in tutti i Paesi”.

Quinto convegno annuale sulle Pari Opportunità: 1 marzo 2018.

Anche Milano Etno TV condivide l’interesse e gli obiettivi del prossimo incontro sull’interazione tra tecnologia, internazionalizzazione e pari opportunità.
Ecco l’articolo:
Giovedì 1° marzo 2018, in occasione di #zerodiscriminationday, si terrà dalle 9 del mattino presso la Sala Solari della Fondazione Stelline, in corso Magenta 61, Milano, il convegno Quando l’internazionalizzazione e le tecnologie favoriscono le pari opportunità, quinto appuntamento annuale sulle pari opportunità organizzato dallo studio di diritto del lavoro Lexellent.
I lavori si apriranno con un’introduzione di Giulietta Bergamaschi, avvocato del lavoro e partner di Lexellent, che ha curato e promosso l’iniziativa. Seguirà la lectio magistralis Perché le tecnologie convergenti possono accelerare il processo verso le effettive pari opportunità, tenuta da Stefano Zamagni, docente di economia politica dell’Università di Bologna e presidente di Quinto ampliamento (http://ilquintoampliamento.it), movimento per il rinnovamento dei modelli di impresa ponendo al centro la crescita delle persone e la difesa dell’ambiente nel solco della tradizione iniziata da Adriano Olivetti.
Seguirà A proposito di internazionalizzazione e discriminazione, presentazione dei risultati di un’indagine sulla discriminazione nel mercato del lavoro svolta nel 2017 in più di 25  paesi del mondo che verrà effettuata da Sergio Barozzi, managing partner di Lexellent, e da Alessandra Rovescalli, avvocato del lavoro e associate di Lexellent.
Dei risultati presentati si discuterà in una tavola rotonda condotta da Maria Cristina Origlia, caporedattore responsabile dell’Impresa, mensile di management del Sole 24 Ore a cui parteciperanno Jada Bai, coordinatrice didattica Scuola di Formazione Permanente Fondazione Italia-Cina; Gabriele Galatioto, imprenditore, Maglificio Galassia – Pashmere; Andrea Notarnicola, Partner Newton Management Innovation e Sandra Mori, General Counsel Europe Coca-Cola.
La seconda sessione di discussione della mattinata avrà come tema La digitalizzazione può esser un rimedio alle discriminazioni sul lavoro? Introduce i lavori Marco Giangrande, avvocato del lavoro e associate Lexellent. Ne discutono Gaia Berruto, vicecaposervizio Wired, Edizioni Condé Nast, che modererà la discussione; Mattia Macellari, Presidente Gruppo Giovani Imprenditori – Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza; Pier Maria Minuzzo, Responsabile Risorse Umane e Relazioni Esterne -Cogne Acciai Speciali S.p.A.; Pino Mercuri, HR Director Italy Microsoft; Francesca Parviero, Digital Innovation HR Strategist – Official LinkedIn EMEA Talent Solutions Partner.
A proposito della manifestazione Giulietta Bergamaschi ha dichiarato: «Siamo particolarmente soddisfatti dei temi trattati nel convegno di quest’anno e del panel dei relatori, di altissima qualità. Sono infatti convinta che non si debba solo continuare a parlare di pari opportunità con un’impostazione tradizionale, ma che anche in questo ambito si debba provare ad innovare. Se infatti è vero che le donne continuano ad essere pagate meno degli uomini e che nei posti di lavoro permangono comportamenti sessisti, non credo che ripeterlo costituisca né una novità né qualcosa che da solo può aiutare a superare questi fatti. Occorre cercare una nuova chiave di lettura che aiuti il cambiamento, questo perché c’è un altro dato enorme che viene spesso sottovalutato: il lavoro è cambiato e sta cambiando sotto la spinta di due macrofattori epocali. Internazionalizzazione e impatto delle tecnologie. Come si relazionano con le pari opportunità? Sono un’occasione per superare vecchi pregiudizi o corriamo il rischio di traghettare verso un nuovo mondo del lavoro che, in un contesto completamente cambiato, si trascina dietro vecchi atteggiamenti come una palla al piede? E c’è il rischio che i pregiudizi cambino, ma ai vecchi se ne sostituiscano dei nuovi? Essere riuscita a portare a parlare di questi temi rappresentanti italiani ma anche internazionali, piccole e medie imprese ma anche un gigante come Coca Cola, aziende tradizionali ma anche innovatori tecnologici come Microsoft e Linkedin è per me motivo di grande orgoglio».
 

Convegno pari opportunità: giovedì 1 marzo 2018.

Quando l’internazionalizzazione e le tecnologie favoriscono le pari opportunità.


E’ il titolo del V Convegno sulle Pari Opportunità organizzato per il 1 marzo 2018, in occasione di Zero Discrimination Day.


 
Sono disponibili due diversi testi (Comunicato Stampa e Considerazioni) che riprendono i punti salienti emersi dall’incontro. A seguire, invece, all’interno del programma della giornata, sono disponibili sia il testo relativo alla lectio magistralis sia le slide relative al survey sulla discriminazione nel mercato del lavoro.




 
Ecco il programma della giornata e le slide, scaricabili, relative al survey sulla discriminazione nel mercato del lavoro:
8.45 – 9.00 Registrazione
9.00 – 9.15 Apertura dei lavori – avv. Giulietta Bergamaschi, partner Lexellent
9.15 – 10.00 Lectio Magistralis
Perché le tecnologie convergenti possono accelerare il processo verso le effettive pari opportunità – prof. Stefano Zamagni, Università di Bologna e Presidente di Quinto Ampliamento


I Panel
10.00 – 10.20
A proposito di internazionalizzazione e discriminazione: come diversi paesi del mondo hanno risposto ad un questionario sulla discriminazione nel mercato del lavoro

  • avv. Sergio Barozzi, partner Lexellent – avv. Alessandra Rovescalli, associate Lexellent

10.20 – 11.15 Tavola rotonda

Modera:

  • d.ssa Maria Cristina Origlia, caporedattrice L’Impresa Gruppo Sole24Ore

Partecipano:

  • d.ssa Jada Bai, coordinatrice didattica Scuola di Formazione Permanente Fondazione Italia-Cina
  • dr. Gabriele Galatioto, Imprenditore Maglificio Galassia – Pashmere
  • dr. Andrea Notarnicola, Partner Newton Management Innovation
  • avv. Sandra Mori, General Counsel Europe Coca-Cola

11.15 – 11.30 Coffee break


II Panel
11.30 – 12.30
La digitalizzazione può esser un rimedio alle discriminazioni sul lavoro?

Tavola rotonda 

Introduce avv. Marco Giangrande, associate Lexellent

Modera:

  • dssa Gaia Berruto, vicecaposervizio Wired, Edizioni Condé Nast

Partecipano:

  • dr. Mattia Macellari, Presidente Gruppo Giovani Imprenditori – Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza
  • dr. Pier Maria Minuzzo, Responsabile Risorse Umane e Relazioni Esterne -Cogne Acciai Speciali S.p.A.
  • dr. Pino Mercuri, HR Director Italy Microsoft
  • d. ssa Francesca Parviero, Digital Innovation HR Strategist – Official LinkedIn EMEA Talent Solutions Partner

12.30 – 12.45 Dibattito e conclusioni
avv. Giulietta Bergamaschi, partner Lexellent
L’incontro si svolgerà:
giovedì 1 marzo 2018
ore 9
Sala Solari – Palazzo delle Stelline
Corso Magenta, 61 – Milano
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Quando l’internazionalizzazione e le tecnologie favoriscono le pari opportunità.

Una nuova consapevolezza manageriale nella gestione della Diversità in tutte le sue forme.
Opinioni ed esperienze a confronto per una visione più chiara del problema.
I corsi sono a numero chiuso, si prega di prenotare con il dovuto anticipo.
Informazioni e prenotazioni 028725171 – lexellent@lexellent.it

Corriere Economia: convegno Lexellent sulle Pari Opportunità.

Su L’Economia, inserto del Corriere della Sera di oggi, si parla del prossimo incontro organizzato dallo studio, dal titolo “Quando l’internazionalizzazione e le tecnologie favoriscono le pari opportunità”.
Nell’articolo, dal titolo “Due convegni sul tecno-legale”, la giornalista Luisa Adani annuncia il prossimo incontro sulle pari opportunità, nonché il V convegno sul tema organizzato dallo studio.
L’appuntamento è per il 1° marzo in occasione della giornata #zerodiscriminationday indetta dalle Nazioni Unite.
 

Competenze, inclusione lavorativa e welfare aziendale: un percorso in Comune.

Lo studio Lexellent  intende mantenere alta l’attenzione sul progetto Inclusive Mindset, di cui è partner legale in materia giuslavoristica, e pertanto ne promuove le attività.

Un appuntamento dedicato a condividere strategie e azioni di inclusione lavorativa realizzate da istituzioni pubbliche e aziende private, mettendo a fattor comune esperienze, innovazioni, difficoltà e sfide.
L’iniziativa è stata realizzata da Fondazione Sodalitas, Fondazione Adecco per le Pari Opportunità e Interaction Farm, con la collaborazione, oltre a quella dello studio Lexellent, del Comune di Milano e di Parks Liberi e Uguali. Un progetto ideato per promuovere l’inclusione nel mercato del lavoro di coloro a rischio discriminazione.
Programma della giornata:
Saluti di benvenuto e introduzione – Comune di Milano
Inclusive Mindset: il lavoro che include – Paolo Beretta, Program manager Inclusive Mindset
Competenze, inclusione lavorativa e welfare aziendale: un percorso in Comune:

Modera: Alessandro Cannavò, giornalista Corriere della Sera

  • Barilla: Andrea Sorbello, Public Affairs and Government Relations
  • IBM Italia: Doriana De Benedictis, Diversity Engagement Partner
  • Flex: Valeria Ferreri, HR Director Italy/ Regional HRBP Design & Engineering

Chiusura – Comune di Milano
Appuntamento per:
Martedì 20 febbraio 2018
ore 9 – 11,30
Comune di Milano, Palazzo Marino, Sala Alessi.
Per iscrizioni: www.inclusivemindset.org/registrazione
Per informazioni: Patrizia Giorgio, patrizia.giorgio@sodalitas.it, 0236572988

Dai Diritti ai Fatti – Esperienze aziendali ad un anno dall’approvazione del DDL Cirinnà.

Il 21 giugno 2017 Giulietta Bergamaschi è tra i relatori dell’incontro DAI DIRITTI AI FATTI – Esperienze aziendali ad un anno dall’approvazione del DDL Cirinnà. Un appuntamento organizzato da MilanoPride e Parks – Liberi e Uguali in occasione della Pride Week che si terrà dal 17 al 25 giugno a Milano
La tavola rotonda, moderata da Monica D’Ascenzo – Sole 24 Ore, vedrà come relatori:
Raffaella Temporiti. HR Director, Accenture Italy Central Eastern Europe and Greece
Patrizia Mezzadra, HR Management and Development, Deutsche Bank
Paola Giorgi, Senior Manager, EMEA, LinkedIn
Leonardo Intriago, Sr Customer Success Manager & Out@in Executive Leader, LinkedIn
Carlo Corollo, Direttore Consumer Devices and Sales e Executive Sponsor D&I, Microsoft,
Luca De Angelis, Senior Partner BDM e GLEAM Lead, Microsoft
Mirco Pirro, Area Manger, Randstad
Giulietta Bergamaschi, Partner, studio legale Lexellent
Appuntamento:
21 giugno 2017, ore 17
Microsoft House
Via Pasubio 21, Milano
 
Per ulteriori informazioni sulla Pride Week http://www.milanopride.it/site/eventi-pride-week/

Abilitiamo la disabilità.

Questa mattina, 28 febbraio 2017, a Palazzo Marino, Sala Alessi, nell’ambito del 6° Forum delle Politiche Sociali organizzato dal Comune di Milano, è stato presentato da Andrea Orlandini il Progetto “Abilitiamo la Disabilità. Per una cultura dell’inclusione nel mondo del lavoro”, promosso da AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) in collaborazione con altre associazioni e aziende. Tale iniziativa si prefigge il fine di “trasformare l’integrazione dei disabili da problema a opportunità”, non solo per i singoli ma anche per le aziende, favorendo una politica tesa all’occupazione delle persone con disabilità attraverso percorsi di inserimento mirato e di integrazione. Quel che è emerso nel corso dell’incontro, al quale hanno partecipato diversi esponenti della realtà milanese, è che la “diversità”, riconosciuta e rispettata, stimola sempre il confronto e costituisce una importante occasione di miglioramento.

Diversity fra legislazione europea e interna: a che punto siamo?

Come di consueto lo studio mette a disposizione dei propri lettori i documenti derivanti dagli incontri a cui partecipa.
Ecco, quindi, le slide relative all’intervento dell’avv. Giulietta Bergamaschi durante l’incontro Diversity Management tenutosi oggi a Milano e organizzato da Este – Cultura d’Impresa.
Download: Diversity fra legislazione europea e interna: a che punto siamo?