Alcuni “perchè” di una politica aziendale in tema di diversità

Pubblichiamo un articolo in tema di politiche di diversity a firma di Giulietta Bergamaschi per il MAG di Legalcommunity.
Con il decreto legislativo n.254/2016 è stata recepita la direttiva 2014/95 UE (in tema di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni) ed è stato modificato l’articolo 123 – bis Tuf, sul contenuto della “Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari” che le società quotate in mercati regolamentati sono tenute a redigere.
La Relazione deve contenere “una descrizione delle politiche in materia di diversità applicate in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo relativamente ad aspetti quali l’età, la composizione di genere e il percorso formativo e professionale, nonché una descrizione degli obiettivi, delle modalità di attuazione e dei risultati di tali politiche”.
L’adozione di politiche in tema di diversity non costituisce un obbligo per le emittenti quotate: la società che non applichi alcuna politica sul tema è tenuta a motivare in maniera chiara e articolata le ragioni della scelta, secondo il principio comply or explain. La modifica del Tuf origina dal 18° considerando della direttiva 2014/95 UE: la diversità per genere, età, provenienza geografica, background professionale tra amministratori e sindaci produce una dialettica che rende la volontà dell’ente aperta a idee innovative; condizione ritenuta imprescindibile perché l’attività sociale sia frutto di un pensiero di gruppo e non di logiche impositive a discapito delle minoranze. Con tale modifica il sistema italiano ha compiuto un passo in avanti per l’affermazione dei valori di board diversity nei sistemi di governance societaria, sulla scia degli effetti positivi prodotti dalla legge n. 120/2011 in tema di equilibrio di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali.
Il percorso di sensibilizzazione delle imprese ai valori di diversità e inclusione, ormai avviato, è orientato verso obiettivi ambiziosi, come confermato da recenti iniziative messe in atto per proseguirlo.
Nel luglio 2018 è stato modificato il codice di autodisciplina di Borsa Italiana: un “modello di riferimento” volto a promuovere il buon governo delle società italiane quotate, in linea con le best practices internazionali, che si è tradotto nell’inserimento dei principi 2. P. 4 e 8. P. 2, a tenore dei quali l’emittente applica criteri di diversità, anche di genere, nella composizione del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale.
Il 22/11/2018 è stato siglato il protocollo d’intesa tra presidenza del Consiglio dei ministri, Consob e Banca d’Italia, che ha istituito l’osservatorio interistituzionale sulla partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società di capitale italiane per la raccolta dei dati e la promozione di attività volte a promuovere la presenza femminile in tali contesti.
Aidaf (Associazione Italiana delle aziende familiari) in collaborazione con l’Università Bocconi, ha formulato un codice di autodisciplina per il governo delle società non quotate a controllo familiare, in vigore dal gennaio 2018, che estende a tali società quei principi di buon andamento societario per la diffusione di un sistema di governance più evoluto e ben funzionante, e promuove i valori di diversità dei componenti sia del consiglio di amministrazione sia del collegio sindacale.
Quanto alle proposte di legge all’esame del Parlamento si segnalano la n. 1418 (presentata il 29/12/2018) sulla proroga della legge n. 120/2011 per 3 ulteriori mandati e la n. 615 (presentata il 11/05/2018).
Quest’ultima andrebbe a modificare l’articolo 46 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (disciplina del rapporto sulla situazione del personale) che ad oggi prevede l’obbligo di formulare detto rapporto con cadenza biennale per le sole aziende che impiegano oltre 100 dipendenti.
La modifica proposta amplierebbe il novero delle aziende chiamate a redigere il rapporto inserendo la facoltà, per le aziende con meno di 100 dipendenti, di elaborare lo stesso documento. Inoltre, rimette al ministero del lavoro la definizione dei “parametri minimi di rispetto delle pari opportunità, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta [in un’ottica di eliminazione/contenimento del gender pay gap] e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” alle aziende rispettose dei parametri verrà rilasciata la “certificazione di pari opportunità di lavoro”.
In definitiva, la diversità e l’inclusione, temi prima al centro delle sole politiche sociali, sono sempre più percepiti come cardini su cui fondare le moderne organizzazioni produttive, intese a largo spettro, quindi anche le società non quotate, di modeste dimensioni o riconducibili ad un modello di controllo familiare. Un’impresa più inclusiva che informa il mercato delle politiche attuate all’interno può indurre gli altri operatori ad allinearsi a tali buone pratiche, nella direzione di un circuito economico complessivamente più virtuoso e trasparente.
In allegato l’articolo in formato PDF

Più donne non significa più parità; il caso delle avvocate e la sfida di AslaWomen.

Per quanto un avvocato su due sia donna, la disparità permane in termini di guadagno, ruoli apicali e decision making. Per spianare queste diversità e favorire la valorizzazione delle donne e delle diversità in genere, nel 2014 è nata ASLAWomen, la sezione di ASLA, Associazione Studi Legali Associati, che presenta un nuovo e importante incontro dal titolo “Diritto al futuro” previsto per il prossimo 18 maggio 2018 a Milano. L’evento, durante un’intera giornata di lavori, toccherà tutti i contenuti della professione forense del futuro e darà risalto ai temi della diversity nelle sue sfumature all’interno degli studi legali.
Alley Oop, il blog  multifirma del Sole24Ore, ha voluto approfondire il tema della diversity negli studi legali associati e gli obiettivi del prossimo convegno con un’intervista di Silvia Pasqualotto alle avvocate Barbara de Muro, componente del Comitato Esecutivo ASLA e responsabile della sezione ASLAWomen, e Giulietta Bergamaschi, componente del Comitato Esecutivo ASLA e componente di ASLAWomen.
Ecco il testo dell’intervista:
In Italia un avvocato su due è donna. E il loro numero sembra destinato a crescere visto che, come attesta la Cassa forense, dal 1981 a oggi il numero delle professioniste è aumentato in modo costante. Nel 1981 le donne che esercitavano la professione in Italia erano solamente il 7%, ma a partire dagli anni ’90 il loro numero è passato al 15%, per poi crescere nuovamente fino ad arrivare al 21% nel 1995, al 30% nel 2001, al 36% nel 2005 e raggiungere il picco del 48% nel 2016.  Non solo. Attualmente in alcune regioni del centro Nord nelle fasce più giovani (26 – 34 anni), il numero di avvocate è persino superiore rispetto al numero di colleghi uomini.
Eppure, a dispetto del loro peso numerico crescente, le giuriste continuano a stare ai margini della professione. In Italia, infatti, il reddito medio delle avvocate è pari al 43% dei colleghi uomini. Secondo una rilevazione della Cassa forense che risalgono al 2015, il reddito medio dichiarato dagli uomini è di 52.763 euro contro i 22.772 euro dalle donne. Oltre a guadagnare di meno, le avvocate fanno anche più fatica a scalare i ruoli all’interno degli studi legali. I dati raccontano infatti che solo il 13,64% dei managing partner (i soci dirigenti) degli studi legali è donna.
Contro queste disparità è nata nel 2014 AslaWomen: il 
gruppo di lavoro costituito all’interno dell’Associazione degli studi legali associati (Asla) che si occupa di sostenere e valorizzare le donne nel loro percorso professionale all’interno degli studi legali associati. “Le professioniste, sebbene rappresentino oggi una componente numericamente importante negli studi legali associati, continuano a essere poco presenti nelle posizioni di vertice”, rivela l’avvocata Barbara de Muro, responsabile della sezione AslaWomen. “Negli ultimi anni – continua la giurista – il numero di avvocate socie negli studi membri è passato dal 16,9% del 2013 al 24,7% del 2016 e il discrimine più netto si avverte nel passaggio a equity partner con solo il 20,40% di avvocate nel 2016”.
A fronte questi numeri tutt’altro che lusinghieri, spiega De Muro, “AslaWomen ha emanato delle linee guida: una sorta di disciplina etica per la gestione degli studi volta a valorizzazione ogni forma di diversity e illustrate politiche di sostegno della famiglia e della persona”.
Un impegno che sembra confermato anche dai numeri. Secondo i dati Asla, nel 2016 il 53,06% degli studi membri ha adottato concrete iniziative di valorizzazione delle differenze e ben due studi su tre (75,51%) ha predisposto una politica di sostegno dei professionisti nella conciliazione tra vita professionale e vita privata, tesa al miglioramento della qualità della vita. Nello specifico, il 56,76% delle law firm realizza l’intento mediante l’organizzazione di momenti conviviali con le famiglie dei professionisti; il 62,16% con la creazione di spazi interni come la mensa, il ristorante, la cucina e la sala relax; il 70,27% fissa le riunioni interne in orari idonei a conciliare eventuali esigenze familiari; l’81,08% attraverso la possibilità di lavorare da casa; il 29,73% stipula polizze assicurative sanitarie.
Bisogna precisare però che questi numeri riguardano un numero ristretto di studi legali. “La realtà milanese – spiega l’avvocata Giulietta Bergamaschi, membro del comitato esecutivo Asla, sezione AslaWomen – rappresenta un unicum che non trova riflesso in quasi nessun altra zona d’Italia. E tuttavia è pur vero che, come dimostrano i dati sul numero di donne alla guida degli studi legali, quello che si fa oggi – anche a Milano – non è ancora abbastanza per le colleghe che lavorano all’interno delle law firm. Bisogna perciò continuare a mantenere alta l’attenzione su questi temi, sensibilizzando non solo le donne ma anche gli uomini”.
A questo scopo, il prossimo 18 maggio a Milano, Asla organizzerà un convegno dal titolo “Diritto al Futuro” dove si parlerà, tra gli altri argomenti, anche di diversity in tutte le sue sfumature. Oltre a discutere di disparità di genere, l’Associazione si interrogherà anche, come spiega Bergamaschi, “sulle differenze a livello di orientamento e di identità sessuale all’interno degli studi legali. Inoltre discuteremo di disabilità visto che ci siamo resi conto che il modo in cui è strutturata oggi la prova di abilitazione professionale può rappresentare un ostacolo per i colleghi e le colleghe i soffrono di disturbi dell’apprendimento. Infine dedicheremo uno spazio alle avvocate nel cinema, analizzando come è cambiata la rappresentazione e la percezione di chi pratica la nostra professione”.
 
Per leggere l’intervista direttamente sul blog Alley Oop.