Gli effetti giuslavoristici della sentenza Uber.

La sentenza cosiddetta Uber della Corte di Giustizia uscita ieri (Sentenza C-434/15) apre interessanti scenari sotto il profilo Giuslavoristico per quella che oggi si chiama gig economy. Nonostante le affermazioni della società secondo la quale “questa sentenza non comporterà cambiamenti nella maggior parte dei Paesi dell’Ue dove già siamo presenti e in cui operiamo in base alla legge sui trasporti “, dalla motivazione della Corte emergono spunti e affermazione di principi che avranno pesanti ripercussioni relativamente alla qualificazione del rapporto fra la piattaforma, e le piattaforme che operano in modo analogo, e gli erogatori del servizio. Quindi può darsi che non ci siano cambiamenti nel settore dei trasporti, ma ce ne potrebbero essere per gli operatori di Uber, e in modo più ampio per quelli della gig economy, dal punto di vista del rapporto di lavoro dei loro collaboratori.   Com’è noto infatti questo tipo di piattaforme si avvale non di lavoratori subordinati, ma bensì di personale inquadrato con le più svariate tipologie contrattuali.  Una delle argomentazioni a sostegno di questo inquadramento contrattuale è che le piattaforme sarebbero semplici intermediari di servizi, non organizzatori degli stessi, e che pertanto si giustificherebbe la natura autonoma del rapporto essendoci un contatto diretto fra l’utente e il fornitore del servizio richiesto. E che mancherebbe da parte dell’operatore qualsiasi organizzazione del servizio, operatore la cui funzione sarebbe meramente la facilitazione dell’incontro fra domanda e offerta del servizio.
Ma il parere della Corte è stato ben diverso. Ha infatti ritenuto che il servizio di Uber “non è soltanto un servizio d’intermediazione che consiste nel mettere in contatto, mediante un’applicazione per smartphone, un conducente non professionista che utilizza il proprio veicolo e una persona che intende effettuare uno spostamento in area urbana…“, ma viceversa è rappresentato da una vera e propria organizzazione di lavoro e di lavoratori “…parte integrante di un servizio complessivo in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto” .  È però evidente che se siamo in presenza di un vero e proprio organizzatore/operatore di servizi di trasporto (o di consegna a domicilio o di altri servizi analoghi) cambia completamente la prospettiva relativamente al rapporto di lavoro di chi opera nell’ambito dell’organizzazione. Diventa quindi molto più difficile sostenere la natura autonoma del rapporto di lavoro, specie in presenza di una situazione, quale quella evidenziata dalla sentenza in cui tale società riceve tale somma dal cliente prima di versarne una parte al conducente non professionista del veicolo e che essa esercita un determinato controllo sulla qualità dei veicoli e dei loro conducenti nonché sul comportamento di quest’ultimi, che può portare, se del caso, alla loro esclusione” . Ed è proprio quest’ultima affermazione relativamente alle attività di controllo e di gestione della prestazione, fino all’eventuale “allontanamento” /licenziamento del conducente, che può avere maggiore rilevanza in termini di qualificazione del rapporto di lavoro. E potrebbe spingere ad una svolta in senso restrittivo della giurisprudenza della Corte di Cassazione nella individuazione degli indici della subordinazione, che costituiscono il criterio principe per la identificazione del rapporto di lavoro subordinato. A queste considerazioni si possono aggiungere le conclusioni cui era giunto nella propria relazione l’avvocato Generale Szpunar: “i conducenti che operano per Uber non svolgono un’attività economica indipendente, quantomeno quando operano nell’ambito dei servizi di quest’ultima”. È pur vero che si tratta di una decisione presa nell’ambito della direttiva sui trasporti comunitari e non in una causa che aveva ad oggetto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, ma certamente, non funzionando la giustizia compartimenti stagni, non si potrà in futuro prescindere da queste argomentazioni anche in ambito lavoristico.

Due diligence sui contratti di lavoro autonomo.

Entra oggi in vigore la nuova legge sul lavoro autonomo (legge 81/2017, cosiddetto Jobs Act degli autonomi).
Per effetto della nuova normativa diventano obsoleti i vecchi contratti di collaborazione continuativa, occasionale e professionali. Infatti non sono più valide le clausole che permettono:
– all’imprenditore (committente) la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;
– il recesso senza congruo preavviso in caso di prestazione continuativa;
– termini di pagamento superiori a 60 giorni;
Si ricorda inoltre che la riforma introduce il principio del contratto scritto, ancorché questo avvenga in modo un po’ machiavellico. Infatti  “si considera abusivo il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta”, la cui mancanza produce solo il diritto al risarcimento del danno  a favore del consulente, che abbia richiesto la forma scritta,  senza prevedere l’invalidità o l’inefficacia del contratto.
I contratti di lavoro autonomo sono stati soggetti in questi ultimi due anni ad una profonda revisione che, partendo dalla sostanziale abolizione dei contratti a progetto intervenuta con il Jobs Act, ha interessato le invenzioni realizzate dai collaboratori nell’ambito del rapporto fino alla novità di oggi.
Pertanto è fortemente consigliabile  effettuare una due diligence dei contratti di lavoro autonomo in essere per essere sicuri di non trovarsi di fronte a sgradite sorprese, foriere anche di gravi conseguenze.
Già il fatto che il contratto risalga a qualche tempo fa dovrebbe far scattare un campanello di allarme e spingere per un’immediata revisione, specie se a suo tempo non era stato scritto ad hoc, ma era stato mutuato, o peggio ancora ricalcato, da uno dei tanti template in circolazione all’epoca.
Almeno queste aree dovranno quindi essere messe sotto esame:

  • Recesso
  • Preavviso
  • Modalità di esecuzione
  • Invenzioni
  • Modalità e termini di pagamento
  • Malattia/infortuni

Brexit: rischio caos per i contratti di lavoro degli espatriati E per il riconoscimento dei versamenti contributivi.

Mercoledì 29 marzo i media hanno “deciso” che era il giorno in cui è iniziata la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, in concomitanza con la lettera inviata dalla premier inglese Theresa May alle autorità di Bruxelles. Malgrado il clamore, tuttavia, gli effetti pratici della decisione sulla vita dei comuni cittadini britannici ed europei sembrano essere ancora lontani.
Ma è veramente così? In realtà, nelle aziende e in particolare per chi si occupa di personale, la situazione è molto diversa e improntata a una grande preoccupazione. Fin da ora, infatti, bisogna ragionare in termini diversi dal passato e a prepararsi a quello che non è ancora successo ma succederà nei prossimi mesi.
Un esempio concreto sono i contratti  di distacco dei lavoratori da o per la Gran Bretagna. E in particolare ci riferiamo a quelli che avranno una probabile scadenza dopo che l’uscita dall’Unione sarà già un fatto compiuto. La giurisdizione e la legge applicabile potrebbero infatti diventare un serio problema.
Oggi, per effetto dell’applicazione delle direttive comunitarie, esistono regole comuni fra Italia e Gran Bretagna: parità di trattamento del lavoratore distaccato, garanzia di applicazione delle norme locali che garantiscono diritti inderogabili anche in caso di scelta della legge della nazione distaccante e la possibilità di agire in giudizio alternativamente nel luogo di lavoro o nel paese dal quale si è stati distaccati anche in caso di scelta della giurisdizione da parte dei contraenti. Queste sono in breve le regole correnti che oggi regolano e tutelano gli espatriati. Ma, da adesso in poi, questo quadro normativo potrebbe venir meno nel corso del rapporto.
Diventa quindi essenziale provvedere fin da subito a inserire nel contratto di lavoro del dipendente distaccato delle clausole che definiscano senza dubbi la corte competente e la legge applicabile al rapporto di lavoro, per evitare rischiosi vuoti regolamentari che potrebbero portare a conseguenze indesiderate tanto per il lavoratore che per il datore di lavoro a cui potrebbe non essere consentito di avvantaggiarsi del nuovo quadro legislativo. In assenza di una pattuizione esplicita contrattuale, infatti, potrebbero innescarsi conflitti di competenza fra le diverse giurisdizioni che ormai, in Europa, sembravano un ricordo del passato.
Un altro possibile problema è quello della posizione previdenziale dei lavoratori. Infatti, in mancanza di accordi bilaterali con i singoli paesi, Brexit comporterà la decadenza del sistema previdenziale che garantisce il pagamento dei contributi nel paese di origine del lavoratore per almeno 24 mesi. Il datore di lavoro potrebbe quindi essere costretto a pagare i contributi in Italia per un lavoratore inglese distaccato o viceversa, con un aumento di costi imprevedibile per le imprese ed effetti negativi sulla posizione contributiva del lavoratore che potrebbe ritrovarsi con doppi versamenti non ricongiungibili, una pensione che si assottiglia, si allontana o entrambi gli spiacevoli risultati.
Insomma, anche se per adesso la Brexit non sembra aver prodotto effetti tangibili e non sembra sul punto di produrne entro breve, in realtà sta già pesantemente condizionando i piani di sviluppo delle multinazionali, grandi o piccole che siano, e nei prossimi mesi potremmo assistere a qualche effetto sorprendente nello sviluppo di strategie che sembravano consolidate.

Invenzioni aziendali: è la somma che fa… il totale!

Immaginate che vi regalino un biglietto per la prima della Scala del 7 dicembre.
Superata l’euforia iniziale verrete attanagliati da un interrogativo: come mi vesto?
A quel punto aprirete il guardaroba e probabilmente vi coglierà uno spiacevole senso di inadeguatezza.
Ecco, quello che abbiamo descritto è grosso modo lo stesso percorso emotivo che affronta un Responsabile HR allorquando gli giunge notizia che un dipendente aziendale ha sviluppato un’invenzione brevettabile.
Solo allora il poveretto tira fuori dal cassetto il contratto d’assunzione del novello Pico della Mirandola, venendo a scoprire che l’ipotesi inventiva non vi risulta in alcun modo contemplata.
E che occorre perciò fare i conti con l’art. 64 del Codice della Proprietà Industriale, una norma che diversamente da Statuto dei Lavoratori, CCNL, Jobs Act, ecc…. è ben poco bazzicata dai Responsabili delle Risorse Umane.
Accade così che solo a cose fatte si affronti il problema delle c.d. “invenzioni d’azienda” (quelle conseguite nell’esecuzione o adempimento di un rapporto di lavoro, ma per le quali non era prevista una specifica retribuzione), laddove al dipendente spetta un compenso straordinario denominato “equo premio”, che sulla scorta delle tabelle di calcolo usualmente applicate (c.d. formula tedesca) può arrivare anche a diverse decine di migliaia di euro!
Mentre sarebbe bastato, in sede di sottoscrizione della lettera d’assunzione, scorporare una somma dal superminimo ed imputarla alla voce “compenso attività inventiva”, per far sì che alla fine l’azienda non scucisse nemmeno un quattrino nel felice momento della conseguita invenzione.
Anche in questo caso, parafrasando il Principe della Risata Antonio De Curtis (in arte Totò), si può quindi concludere che “… è la somma che fa il totale”!
Di questo e molto altro parleremo nel prossimo seminario  dal titolo Il contratto di lavoro che si terrà presso lo studio legale Lexellent il prossimo 28 marzo 2017, alle ore 9 – iscrizioni.

E’ POSSIBILE CAMBIARE IL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE?

Come scegliere quello giusto da applicare ai rapporti di lavoro della vostra azienda: ipotizziamo un caso.
E’ possibile per un’azienda cambiare Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro anche solo per disciplinare un istituto in particolare in modo diverso. L’importante è sapere come fare.
Ipotizzando che la vostra azienda applichi il CCNL Turismo Confindustria e che voglia cambiare contratto per disciplinare in modo diverso le trasferte, applicando il CCNL del Commercio, è necessario, prima di tutto, considerare: 1) la normativa di riferimento; 2) la disciplina dell’attuale CCNL applicato; 3) la possibilità di applicare il CCNL Terziario-Confcommercio.
L’articolo 2.070 del Codice civile fornisce un quadro normativo chiaro ed esaustivo, i cui punti salienti sono tre:

  • L’apparenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore.
  • Se l’imprenditore esercita più attività distinte aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività.
  • Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un’attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività.

Secondo la giurisprudenza prevalente, però, “nel regime di libertà di associazione sindacale di cui all’art. 39 Cost. ed essendo stato abrogato l’ordinamento corporativo, il datore di lavoro non è vincolato all’applicazione del c.c.n.l. concernente il settore dell’attività effettivamente esercitata, in quanto ai contratti collettivi privatistici non è applicabile l’art. 2070 c.c.” (Tribunale di Milano, Sezione lavoro, Giudice dott.sa Porcelli, decreto del 20 maggio 2016).
Anche secondo la prassi, l’individuazione della contrattazione collettiva che regola il rapporto di lavoro va fatta unicamente attraverso l’indagine della volontà delle parti che risulta, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla protratta e non contestata applicazione di un determinato contratto collettivo, non dovendo necessariamente esserci un’automatica e obbligatoria corrispondenza tra attività, settore merceologico e contratto applicabile.
Con specifico riferimento all’indennità di trasferta, il CCNL Turismo Confindustria, prevede per il personale le cui mansioni comportino viaggi abituali un’indennità di trasferta pari al 10% di un ventiseiesimo della retribuzione mensile (art. 196 CCNL Turismo Confindustria del 09.07.2010).
 Il CCNL Terziario Confcommercio non prevede alcuna indennità di trasferta. Sono previste indennità in caso di trasferimenti di residenza, ma l’istituto del trasferimento è ben diverso da quello della trasferta: il primo ha carattere permanente, il secondo temporaneo (art. 170 CCNL Terziario Confcommercio del 18.07.2008).
 Per concludere, nel caso ipotizzato, posto che l’azienda eserciti un’attività compatibile con la categoria contrattuale del terziario, allora la stessa potrà decidere di cambiare CCNL e applicare il CCNL Terziario Confcommercio, per disciplinare in modo diverso le trasferte.
E’ importante, però, considerare che la scelta del nuovo CCNL inciderà anche su altri istituti e, allora, nel passaggio tra le diverse discipline contrattuali sarà necessario compiere l’armonizzazione corretta, non solo con riguardo agli aspetti normativi, ma anche e soprattutto a quelli economici (i.e. minimi retributivi).
Cosa fare, in pillole:

  • Valutare se per l’attività esercitata dalla vostra azienda è possibile applicare un altro CCNL.
  • Confrontare le discipline dell’istituto di cui si vuole cambiare disciplina.
  • Fare una valutazione complessiva (anche con riguardo agli altri istituti) del CCNL che si vuole applicare, per verificare se valga la pena cambiare contratto.
  • Ricordarsi che il CCNL si applica interamente per la stessa categoria di lavoratori. Non è possibile applicare un CCNL per un istituto (i.e. trasferte) e un altro per un istituto diverso (i.e. ferie).
  • Affidarsi agli specialisti per la corretta armonizzazione!
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giornalisti e jobs act: UNA LETTURA CRITICA CON ISTRUZIONI PER L’USO.

Come consuetudine, seguono le presentazioni dei relatori intervenuti al corso di formazione rivolto ai giornalisti:

VOTATA LA FIDUCIA SUL DECRETO LAVORO.

La Camera, con 333 voti favorevoli e 159 contrari, ha votato la questione di fiducia, posta dal Governo, sull’approvazione, senza emendamenti e articoli aggiuntivi, dell’articolo unico del disegno di legge (C. 2208-B) di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese.
Presupposti:
– perdurante crisi occupazionale
– incertezza del quadro economico in cui operano le imprese
Istituti interessati:
– contratto di lavoro a termine
– contratto di apprendistato
Applicazione:
– rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla entrata in vigore del decreto
Tempi di adeguamento:
– 31 dicembre 2014
Verifica da parte del Ministero del Lavoro:
– decorsi 12 mesi
Obiettivo:
– occupazione
Fine ultimo (da attendere e verificare):
– testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro
– in via sperimentale, contratto a tempo indeterminato a protezione crescete
Modifiche al D.lgs. n. 368/2001
“IN PILLOLE”

E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato concluso tra datore di lavoro e lavoratore:
• la durata del contratto non deve essere superiore a 36 mesi
• ai fini del computo massimo di durata dei 36 mesi si tiene conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti
• la durata dei 36 mesi è comprensiva di eventuali proroghe
• le proroghe sono ammesse fino ad un massimo di 5 nell’arco dei complessivi 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi
• il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione
Esenzione dal rispetto della percentuale del 20%:
– datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti (i.e. è sempre possibile stipulare un contratto a tempo determinato)
– istituti pubblici di ricerca o enti privati di ricerca che stipulino contratti per l’esercizio in via esclusiva di attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa (i.e. i contratti aventi ad oggetto attività di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto al quale si riferiscono)
Sanzione amministrativa applicata per ciascun lavoratore in caso di violazione del limite percentuale del 20%:
– 1 lavoratore assunto oltre il limite  sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro
– 2 o più lavoratori assunti oltre il limite  sanzione amministrativa pari al 50% della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro
Maternità:
per le lavoratrici madri il congedo di maternità intervenuto nella esecuzione di un contratto a termine concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza nelle assunzione a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate
Modifiche al D.lgs. n. 167/2011
“IN PILLOLE”

Il contratto di apprendistato contiene il piano formativo individuale:
• in forma sintetica
• definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali
Disciplina specifica per i datori di lavoro con 50 o più dipendenti 
assunzione di nuovi apprendisti subordinata alla prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro alla fine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi che precedono la nuova assunzione, di almeno il 20% degli apprendisti dipendenti
Disciplina specifica per le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro 
specifiche modalità di utilizzo del contratto per lo svolgimento di attività stagionali previste dai contratti collettivi di lavoro.
 
Per scaricare il documento in PDF cliccare il link Fiducia Decreto Lavoro – 13 maggio 2014