Brexit: rischio caos per i contratti di lavoro degli espatriati E per il riconoscimento dei versamenti contributivi.

Mercoledì 29 marzo i media hanno “deciso” che era il giorno in cui è iniziata la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, in concomitanza con la lettera inviata dalla premier inglese Theresa May alle autorità di Bruxelles. Malgrado il clamore, tuttavia, gli effetti pratici della decisione sulla vita dei comuni cittadini britannici ed europei sembrano essere ancora lontani.
Ma è veramente così? In realtà, nelle aziende e in particolare per chi si occupa di personale, la situazione è molto diversa e improntata a una grande preoccupazione. Fin da ora, infatti, bisogna ragionare in termini diversi dal passato e a prepararsi a quello che non è ancora successo ma succederà nei prossimi mesi.
Un esempio concreto sono i contratti  di distacco dei lavoratori da o per la Gran Bretagna. E in particolare ci riferiamo a quelli che avranno una probabile scadenza dopo che l’uscita dall’Unione sarà già un fatto compiuto. La giurisdizione e la legge applicabile potrebbero infatti diventare un serio problema.
Oggi, per effetto dell’applicazione delle direttive comunitarie, esistono regole comuni fra Italia e Gran Bretagna: parità di trattamento del lavoratore distaccato, garanzia di applicazione delle norme locali che garantiscono diritti inderogabili anche in caso di scelta della legge della nazione distaccante e la possibilità di agire in giudizio alternativamente nel luogo di lavoro o nel paese dal quale si è stati distaccati anche in caso di scelta della giurisdizione da parte dei contraenti. Queste sono in breve le regole correnti che oggi regolano e tutelano gli espatriati. Ma, da adesso in poi, questo quadro normativo potrebbe venir meno nel corso del rapporto.
Diventa quindi essenziale provvedere fin da subito a inserire nel contratto di lavoro del dipendente distaccato delle clausole che definiscano senza dubbi la corte competente e la legge applicabile al rapporto di lavoro, per evitare rischiosi vuoti regolamentari che potrebbero portare a conseguenze indesiderate tanto per il lavoratore che per il datore di lavoro a cui potrebbe non essere consentito di avvantaggiarsi del nuovo quadro legislativo. In assenza di una pattuizione esplicita contrattuale, infatti, potrebbero innescarsi conflitti di competenza fra le diverse giurisdizioni che ormai, in Europa, sembravano un ricordo del passato.
Un altro possibile problema è quello della posizione previdenziale dei lavoratori. Infatti, in mancanza di accordi bilaterali con i singoli paesi, Brexit comporterà la decadenza del sistema previdenziale che garantisce il pagamento dei contributi nel paese di origine del lavoratore per almeno 24 mesi. Il datore di lavoro potrebbe quindi essere costretto a pagare i contributi in Italia per un lavoratore inglese distaccato o viceversa, con un aumento di costi imprevedibile per le imprese ed effetti negativi sulla posizione contributiva del lavoratore che potrebbe ritrovarsi con doppi versamenti non ricongiungibili, una pensione che si assottiglia, si allontana o entrambi gli spiacevoli risultati.
Insomma, anche se per adesso la Brexit non sembra aver prodotto effetti tangibili e non sembra sul punto di produrne entro breve, in realtà sta già pesantemente condizionando i piani di sviluppo delle multinazionali, grandi o piccole che siano, e nei prossimi mesi potremmo assistere a qualche effetto sorprendente nello sviluppo di strategie che sembravano consolidate.

LE SANZIONI PER L’ IMPIEGO IRREGOLARE DI LAVORATORI STRANIERI EXTRACOMUNITARI.

L’impiego di lavoratori extracomunitari è soggetto ad una disciplina pubblicistica cosicché le irregolarità commesse dai datori di lavoro nei loro riguardi rilevano in una duplice direzione: contrasto al lavoro sommerso ed irregolare, contrasto dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento.
L’assunzione di un lavoratore straniero non appartenente all’U.E. necessita in prima battuta della verifica da parte del datore di lavoro che questi sia in possesso di un valido permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo o per uno degli altri motivi che consentano di svolgere un’attività lavorativa in Italia.
La carenza di tali requisiti non impossibilita l’assunzione, ma la condiziona alla richiesta, avanzata presso lo Sportello unico per l’immigrazione, del  rilascio del nulla-osta al lavoro, che consentirà al cittadino straniero di ottenere il visto d’ingresso dall’Ambasciata o Consolato italiano nel suo Paese ed infine il permesso di soggiorno da parte della Questura.
In caso di trasgressione da parte del datore di lavoro è integrato il reato di cui all’Art 22 comma 12 del Testo Unico sull’Immigrazione (D.L.vo 25 Luglio 1998 n.286  come modificato dal D.L. 23 Maggio 2008 n.92) per il quale la pena base prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa di 5.000 euro per ciascun lavoratore irregolarmente occupato.
Inoltre con il D.L.vo 16 Luglio 2012 n. 109 il legislatore ha introdotto un’ipotesi aggravata al comma 12 bis in cui le pene previste sono aumentate da un terzo alla metà se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre, se i lavoratori occupati sono minori in età non lavorativa, se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell’art. 603 bis c.p.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il divieto di assunzione di cittadini extracomunitari irregolari deve essere inteso in riferimento non solo ai rapporti di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., ma anche in riferimento alle altre tipologie di lavoro poiché la norma ha una portata capace di ricomprendere la prestazione di qualunque natura, anche atipica ed occasionale (Cass., sez. I, 03/05/2006 n. 15264) ed anche limitata ad una sola giornata (Cass., sez. I, 14/03/2006 n. 8824).
Per la configurazione del delitto è necessario come elemento soggettivo il dolo, quindi non è sufficiente la semplice colpa, con l’apprezzabile effetto di escludere la rilevanza penale delle violazioni commesse per errore sull’idoneità del titolo di soggiorno esibito dallo straniero.
Alle medesime pene base soggiace anche chi occupa uno straniero in possesso di un permesso di soggiorno annullato, revocato o scaduto, senza che ne sia stato chiesto il rinnovo.
In alcuni casi, ancora di maggiore gravità, l’impiego di un lavoratore straniero in assenza di un regolare permesso di soggiorno può anche integrare gli estremi del reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina, punito dall’Art. 12 del Testo Unico in materia di immigrazione con la reclusione sino a 4 anni.
Gli elementi costitutivi del reato sono la condizione di clandestinità del cittadino straniero, una condotta oggettivamente idonea a favorirne la permanenza in Italia e l’iniquità delle condizioni alle quali viene resa la prestazione di lavoro.
La norma richiede il dolo specifico e secondo giurisprudenza costante esso non si configura soltanto nelle ipotesi più estreme di sfruttamento, ma anche quando il lavoratore percepisce una retribuzione inferiore al minimo tabellare previsto nei CCNL, o, ancora, se la controprestazione è costituita dal solo alloggio e vitto, ciò in ragione del divieto di rinuncia di cui al 2113 c.c. in quanto il lavoratore accetterebbe una retribuzione sotto la soglia minima solo in virtù delle particolari condizioni illegali che caratterizzano la sua storia.
Queste le situazioni più gravi con rilevanza penale, non mancano poi quelle con implicazioni solo civilistiche ossia quando è rispettata la normativa pubblicistica ma non quelle contrattuali e di legge, anche queste sono situazioni diffuse e sotto la lente degli organi di vigilanza.
Il risultato del referendum Britannico impone anche queste considerazioni.

La Brexit e le ripercussioni sul mercato del lavoro.

Gli effetti della Brexit sul mercato del lavoro avranno pesanti ripercussioni, magari non immediatamente avvertibili, ma nemmeno troppo lontane .
Come sempre quando interviene un evento particolarmente significativo si tende a sopravvalutarne gli effetti nel breve periodo e sottovalutarne quelli a lungo periodo. Questo è avvenuto per tutte le più rilevanti invenzioni nel corso della storia dell’umanità e questo avverrà molto probabilmente anche per la Brexit. In queste prime ore successive alla decisione inglese di lasciare la Comunità Europea sì sprecano i commenti su quali siano gli effetti. Per i prossimi due anni niente cambierà, almeno per quanto concerne le leggi sul lavoro, e probabilmente una serie di accordi bilaterali verranno raggiunti fra l’Unione Europea e Gran Bretagna per regolamentare una questione di vitale importanza quale la libera circolazione dei cittadini. Su questo probabilmente non ci sarà un grosso ritorno indietro. Quello che però cambierà in modo significativo, anche se per vederne gli effetti dovremo attendere qualche tempo, è l’aspetto legato al contributo dato dalla Gran Bretagna alla elaborazione legislativa e giurisprudenziale della Comunità Europea . Leggi come il Jobs Act  sarebbero probabilmente state inimmaginabili se la Gran Bretagna non fosse stata parte del meccanismo europeo e non avesse influenzato con la sua legge sui licenziamenti altri paesi come la Spagna e Italia tradizionalmente legati a sistemi molto più rigidi.
Quindi anche se la Gran Bretagna ha vissuto con fastidio le direttive comunitarie sul trasferimento di ramo d’azienda o l orario di lavoro, che hanno imposto  limiti alla libertà cui i suoi imprenditori erano precedentemente abituati, d’altra parte è innegabile che il  Regno Unito abbia spinto la CE a introdurre norme molto più flessibili di quelle che si sarebbero avute se non ci fosse stata la sua presenza al tavolo legislativo.
Altro aspetto da sottolineare è quello della standardizzazione delle norme che stava procedendo in modo spedito.
Oggi ancorché le singole legislazioni differiscono le une dalle altre esiste una comune matrice di riferimento, che fa sì che per l’interprete e soprattutto l’operatore del settore sia possibile muoversi all’interno delle legislazioni europee con una certa sicurezza. Da domani venuta meno quella cornice per la Gran Bretagna si dovrà fare riferimento alla sola legge locale e a norme non solo non aderenti, ma magari addirittura in contrasto con quelle comunitarie, Cosa questa che avrebbe pesanti ripercussioni sulla gestione operativa del personale.
Ciò è particolarmente importante per tutte quelle aziende che hanno centralizzato i loro dipartimenti HR a Londra e per le aziende, come spesso succede con le multinazionali americane, che cercano la standardizzazione delle regole interne e magari hanno l’Headquarter proprio a Londra, cioè in un paese che in breve tempo rischia di trovarsi culturalmente e legislativamente lontano dal resto dell’Europa.