Apparentemente l’idea dell’alternanza scuola-lavoro è assolutamente positiva. Tuttavia, come in Italia succede spesso, la legge pone più problemi di quanti ne risolva: se tutti possono convenire sull’opportunità di una maggiore e migliore connessione fra istruzione e occupazione, nella pratica l’alternanza scuola-lavoro rischia di diventare l’ennesima occasione mancata.
Mancano, infatti, il regolamento previsto dalla carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza e la definizione delle modalità di applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro per gli studenti impegnati in attività di stage, tirocinio o didattica di laboratorio.
C’è poi l’incognita del registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro, della cui utilità si può dubitare visto che non sembra obbligatorio per le scuole utilizzare le imprese che si sono registrate per i progetti formativi, che non è ancora stato attivato.
Il registro impone oneri burocratici (la compilazione di un articolato modello di autocertificazione) ed economici (il pagamento di un’imposta di bollo e diritti di segreteria per un totale di 155 €) non indifferenti e scoraggianti per le imprese che intendono iscriversi.
Inoltre, è diviso in due parti: la prima è un’area aperta e consultabile gratuitamente, in cui sono visibili le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili a svolgere i percorsi di alternanza, la seconda è una sezione speciale a cui possono iscriversi le imprese disponibili.
Ma la principale difficoltà, come ha sottolineato il CRIET, Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio dell’Università di Milano-Bicocca, sta nell’enorme numero di ore di alternanza che le scuole secondarie dovrebbero garantire ogni anno ai loro alunni.
A regime: 150 milioni di ore, di cui il 41% nelle regioni del Sud, oltre il 30% del totale nazionale nelle sole Puglia, Campania e Sicilia (più di 45 milioni di ore all’anno).
Dunque, si comprende come non basti dire: «è tempo che le aziende si aprano al lavoro degli studenti», ma come si abbia, invece, bisogno di un tessuto industriale in grado di assorbire questa offerta e, allo stato delle cose, semplicemente non c’è, soprattutto al Sud.
Un secondo problema, che riguarda anche il Nord, è quello delle dimensioni d’impresa. L’87% delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti, cosa che rende molto problematico l’inserimento temporaneo di forza lavoro non formata.
Criticità insuperabili? Non necessariamente: il CRIET sta provando a suggerire soluzioni operative come la creazione della “Casa del lavoro”, in fase sperimentale presso il comparto aerospaziale campano.
Si tratta di una struttura esterna alle imprese, in grado di rappresentare la complessità dei processi aziendali, un luogo in cui gli studenti possono sperimentare il modello lavorativo e gestionale di un’azienda reale, apprendendo competenze tecnico professionali, sviluppando spirito d’iniziativa e assumendosi responsabilità imprenditoriali.
In altre parole: un “simulatore d’impresa” che possa funzionare come stanza di compensazione fra mondo della scuola e mondo del lavoro, mettendo insieme reti di scuole e piccole imprese del territorio, coinvolgendo nel processo di formazione anche le istituzioni locali e le associazioni imprenditoriali.
Le “Case del lavoro”, modello replicabile sul territorio, potrebbero, inoltre, diventare centri di sperimentazione per l’applicazione e lo sviluppo di nuove tecnologie ai mestieri tradizionali delle microimprese italiane, spesso troppo focalizzate sul raggiungimento di obiettivi pratici di breve periodo anche per pianificare lo sviluppo futuro del loro business.
Per ora gli stanziamenti governativi previsti (100 milioni all’anno a partire dal 2016 per sostenere l’alternanza scuola-lavoro più 18,9 milioni previsti dal D.M. n. 435/2015) non permettono di pensare in grande: sarebbero meno di 70 centesimi per ogni ora di formazione da erogare.
Tuttavia l’importanza attribuita dal Governo e dal Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca sul progetto dell’alternanza, definito “una risposta concreta alla dispersione scolastica e alla disoccupazione giovanile”, fanno pensare che su questa base sia possibile cominciare a costruire progetti di aggregazione di tutti i soggetti interessati alla creazione di una forza lavoro più preparata e motivata.
Probabilmente una strada obbligata per consolidare e sostenere la ripresa proprio nell’economia dei territori.