Gli eventi degli ultimi giorni, da Manchester a Londra passando per Torino spingono a qualche riflessione, posto che ci troviamo di fronte ad una situazione che impone una diversa impostazione per ciò che concerne la sicurezza nei luoghi di lavoro.
E’ evidente che chi opera nelle risorse umane, nel momento in cui si attenta alla sicurezza personale in modo indiscriminato e non a obiettivi mirati, è costretto a una nuova visione del problema.
Il primo è certamente l’aggiornamento del DVR – il Documento di Valutazione dei Rischi – che non può non tenere conto della nuova realtà e dei nuovi rischi e soprattutto non deve essere visto come un mero incombente burocratico, ma come lo spunto per rivedere le proprie procedure di sicurezza nel momento in cui nuovi pericoli si affacciano all’orizzonte. Pericoli più accentuati per i luoghi aperti al pubblico: le aree di sosta e ristoro lungo le autostrade, i bar e ristoranti nelle stazioni, i grandi centri commerciali, eventi pubblici di qualsivoglia tipo, le società di trasporto su gomma. Ma senza dimenticare gli obiettivi sensibili: oltre alle istituzioni pubbliche, le redazioni di giornali, radio e televisioni o gli stabilimenti chimici.
Si parla di “guerra”, di “nuove minacce” ma in realtà è oltre un secolo che il terrorismo, ricorrentemente, porta la sua furia distruttrice nella società verso obiettivi “non qualificati” e dunque più facili da colpire (dai morti del caffè Terminus a Parigi nel 1894 alle stragi che hanno insanguinato l’Italia fra gli anni Sessanta – piazza Fontana – e gli anni Ottanta – la stazione di Bologna).
L’obiettivo principale dei terroristi è generare nell’opinione pubblica un sentimento di impotenza e di paura. E drammaticamente a questi si aggiungono alcuni sconsiderati che per fare una bravata rischiano di provocare una strage ancora peggiore. Evitare che qualcuno tenti di commettere attentati è, ovviamente, molto difficile. Ma gli strumenti per prevenire e reagire ci sono e fanno parte del bagaglio indispensabile per la gestione della sicurezza prima di tutto nei luoghi di lavoro.
Qualche esempio:
- Un punto di ritrovo esterno all’azienda in caso di allarme bomba (è molto più facile per un terrorista colpire le persone di un’azienda quando escono e stazionano sul marciapiede di fonte all’edificio che dentro l’edificio stesso);
- Un “luogo sicuro” in caso di irruzione;
- La possibilità di sezionare ed isolare i locali in modo da ritardare eventuali assalitori;
- Procedure di evacuazione collaudate frequentemente;
- Scale di emergenza a prova di irruzione;
- Controllo degli accessi più rigoroso, da tenersi in aree da cui sia difficile accedere all’interno dello stabile;
- La possibilità di dare ospitalità a chi si trovi all’esterno e sotto attacco;
- Predisporre un piano di irruzione nell’edificio in caso di attacco e dunque mettere in rete piantine aggiornate degli edifici, disponibili per le forze dell’ordine.
Devono essere poi sensibilizzati i dipendenti sulla necessità di segnalare in modo corretto e senza creare inutili allarmismi pacchi o valigie sospette, auto e furgoni “anomali”, la presenza ricorrente di estranei equivoci, senza al contempo creare inutili allarmismi o peggio ancora situazioni di panico.
E’ essenziale anche sapersi muovere in caso si diventi bersagli di colpi d’arma da fuoco. Può essere vitale sapere che è più difficile costituire un bersaglio se ci si muove, se si è a distanza e se si studia l’angolo tra obiettivo e tiratore, la capacità di tiro di un’arma, realizzare la differenza tra un nascondiglio, che cela l’obiettivo agli occhi del killer, e un riparo che può anche proteggere da eventuali colpi di arma da fuoco, come scegliere una via di fuga e come comportarsi in presenza di una folla in preda al panico. Senza essere coscienti di tutto ciò si può rischiare di passare da una situazione relativamente sicura ad una esposta.
In poche parole si deve fare cultura della sicurezza che è il primo strumento per combattere il terrorismo.