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Cosa succede ai lavoratori europei con la Brexit?

Ci vorranno almeno due anni perché la situazione degli oltre 800 mila lavoratori italiani in Gran Bretagna si stabilizzi. Ma alcune questioni sono...

Ci vorranno almeno due anni perché la situazione degli oltre 800 mila lavoratori italiani in Gran Bretagna si stabilizzi. Ma alcune questioni sono sul tavolo già da oggi.
La domanda più ripetuta in queste ore, dopo l’annuncio dell’addio del Regno Unito all’Unione Europea, è che cosa può succedere alle oltre 800 mila persone di nazionalità italiana che lavorano in Gran Bretagna di cui circa 500 mila sarebbero nella sola area di Londra? Se venisse meno (non immediatamente ma in prospettiva entro i prossimi due anni) il diritto dei cittadini dell’Unione di risiedere e lavorare in Gran Bretagna? La risposta generale è che ancora non si sa, sarà ovviamente uno dei punti cardine dei negoziati che si apriranno nei prossimi giorni. Ma già si sa che per le aziende multinazionali e per chi lavora per loro qualcosa potrebbe cambiare da subito.
Sergio Barozzi è il managing partner di Lexellent, studio milanese di diritto del lavoro che fa parte del network internazionale Ellint (Employment & Labor Lawyers International), presente in otto paesi, che comprende lo studio inglese Doyle Clayton Solicitors. Ha una lunga esperienza di lavoro a Londra e nel Regno unito e molti clienti multinazionali che hanno sedi in Europa e in Gran Bretagna.
A suo parere alcuni effetti della Brexit sono già prevedibili nel breve/medio periodo: «Per effetto della uscita della GB dalla comunità europea ci saranno conseguenze serie per quanto riguarda la gestione del personale qualora non dovessero intervenire appositi accordi bilaterali. La prima area interessata è quella della libertà di stabilimento e circolazione . Nel futuro non sarà più possibile impiegare nell’Unione un lavoratore inglese in assenza di un visto o di un permesso di soggiorno e lavoro e vice versa. Un serio problema per le agenzie di lavoro interinale che oggi possono agire in Europa sulla base della autorizzazione nazionale senza estensione della autorizzazione.
 
La cosa avrà anche notevoli ripercussioni previdenziali. Oggi la normativa comunitaria consente di continuare a pagare per non meno di 24 mesi  la contribuzione nel paese di origine quando il lavoratore verrà inviato alla estero in distacco. Che cosa accadrà in futuro ?
Un’altra area coinvolta nel terremoto è quella della gestione dei dati personali (privacy). Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento nel 2018 la GB avrà una legge diversa da quella europea ? Se sarà così potrebbero esserci problemi a trasferire i dati dei dipendenti dall’Italia all’Inghilterra, il che renderà impossibile la esternalizzazione di centri di elaborazione dati, uffici paghe o anche solo dipartimenti delle risorse umane.
Dall’uscita verranno poi travolti i consigli aziendali europei, che sono gli organi di rappresentanza dei lavoratori a livello comunitario, con la conseguenza che le aziende potrebbero trovarsi costrette a condurre trattative su più tavoli separati e ad applicare accordi diversi in Gran Bretagna rispetto all’Unione.
Infine non va sottovalutato l’aspetto di uniformità delle legislazioni oggi riconducibili alle norme comunitarie e domani guidate da logiche contrapposte con inevitabili conseguenze operative e gestionali . Se già oggi era difficile leggere una direttiva comunitaria implementata in  Italia con gli occhi degli inglesi,  domani lo sarà molto di più.
 
Parlando di lavoratori e quindi retribuzioni non si può certo dimenticare l’impatto fiscale, specie per quei lavoratori che sono retribuiti all’estero con piani di stock options inglesi o le cui remunerazione sono comunque legale alla piazza inglese. Nelle more della rinegoziazione di trattati sulla doppia imposizione i lavoratori potrebbero trovarsi quella parte di retribuzione tassata due volte o un’accusa di evasione».