Che essere genitori in Italia e fare carriera sia un privilegio di pochi, è sotto gli occhi di tutti. Ma che venga dimostrato, dati alla mano, da una ricerca – condotta da Ipsos su commissione dello studio legale di diritto al lavoro Lexellent, che è stata presentata questa mattina nel convegno «Lavoro e genitorialità: indagini, proposte e prospettive per un’azienda inclusiva» – è una novità.
Il lavoro condiziona le scelte di vita personale, in particolare, la decisione di avere figli? Quasi un terzo dei 1002 rispondenti, 502 genitori e 500 non genitori (50% donne e 50% uomini, tra i 25 e i 45 anni), tutti lavoratori di Pmi sull’intero territorio nazionale, dichiara che avere figli è un ostacolo all’avanzamento professionale. Per la precisione, la risposta è sì per il 63% degli interpellati senza figli. Ma se l’azienda avesse previsto politiche e misure di conciliazione vita-lavoro, il 76% sostiene che avrebbe procreato, mentre il 66% di chi è già genitore dichiara che avrebbe volentieri aumentato la prole.
Secondo Giulietta Bergamaschi, avvocata del lavoro, partner di Lexellent e promotrice dell’iniziativa: «Il punto è che le imprese hanno iniziato a utilizzare le misure fiscali e di decontribuzione previste dal Jobs Act, ma sino ad oggi le hanno considerate come una facilitazione, senza comprendere appieno il valore di un piano strutturato di welfare, in termini di impatto positivo sulla produttività e di ricadute economiche, che arrivano sì, ma non nel breve termine».
Il risultato è che spesso le misure a favore della conciliazione ci sono, eppure non vengono utilizzate dai lavoratori come potrebbero. I motivi sono diversi, ma tutti ascrivibili al fatto che il welfare sia considerato un corollario e non una leva strategica nei confronti dell’organizzazione, tant’è che il 47% dei rispondenti senza figli sostiene di non essere stato informato correttamente sui diritti e le opportunità per i lavoratori genitori.