Si avvicina l’appuntamento delle aziende con lo smart working: il prossimo 18 febbraio, infatti, si svolgerà a Milano la giornata del lavoro agile durante la quale, come nelle edizioni del 2014 e 2015, le aziende più illuminate e innovative avranno la possibilità di sperimentare pratiche dello smart working. Il lavoro agile inoltre si conferma un tema di grande attualità e di interesse sempre maggiore per le aziende: cosa che viene dimostrato sia dal crescente aumento del numero delle imprese che si stanno avvicinando allo smart working, considerandolo un importante strumento di flessibilità e di conciliazione vita-lavoro, sia dalle proposte legislative all’esame del Parlamento volte a dare regolamentazione al lavoro agile, a oggi ancora privo di una vera e propria disciplina normativa. Su questo tema abbiamo sentito il parere dell’avvocato Giulietta Bergamaschi, partner dello studio legale Lexellent, specializzato in diritto del lavoro e vincitore del premio Pari Opportunità 2015. L’avvocato Bergamaschi guida il dipartimento dedicato alle questioni di genere dello studio e si è occupata soprattutto delle pari opportunità, che vanno applicate necessariamente anche allo smart working.
Un parere qualificato sullo smart working
Avvocato Bergamaschi, sul tema dello smart working quali sono secondo il suo parere i vantaggi legati alla sostenibilità?
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2015 il 17% delle grandi imprese italiane aveva avviato dei progetti organici di Lavoro Agile, introducendo in modo strutturato nuovi strumenti digitali, policy organizzative, comportamenti manageriali e nuovi layout fisici degli spazi (nel 2014 erano l’8%). Sempre secondo i dati dell’Osservatorio, a queste imprese si aggiunge il 14% di grandi imprese che sono in fase esplorativa, ovvero che avvieranno progetti in futuro, e un altro 17% che hanno avviato iniziative puntuali di flessibilità ma rivolte solo a particolari profili, ruoli o esigenze delle persone. Tra le PMI, invece, la diffusione del Lavoro Agile risulta ancora molto limitata: solo il 5% ha già avviato un progetto strutturato, il 9% ha introdotto informalmente logiche di flessibilità e autonomia, oltre una su due non conosce ancora questo approccio o non si dichiara interessata.
In termini di sostenibilità, considerato che nel futuro l’ufficio come luogo esclusivo di lavoro verrà in parte meno (l’ufficio rimarrà luogo di incontro importante per l’impresa, ma sarà ripensato per venire incontro alle esigenze dei lavoratori Agili: da una parte luoghi deputati alle riunioni, dall’altra ambienti più isolati per concentrarsi o effettuare telefonate importanti o videoconferenze) e tenuto conto che non è necessario avere una postazione per ogni lavoratore agile, un ufficio pensato per i lavoratori agili riduce gli spazi inutilizzati di circa il 40-50%. La riduzione degli spostamenti casa-ufficio-casa consente anche benefici in termini di riduzione delle immissioni nocive nell’ambiente.
In tema di pari opportunità lo smart working potrebbe aiutare le donne o rischia di penalizzarle ancora una volta?
Il telelavoro, una forma flessibile di lavoro da remoto utilizzata soprattutto in chiave di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle donne, non ha dati buoni risultati. Per fare in modo che il lavoro agile ne abbia, il tema della conciliazione deve restare centrale ma nel quadro sociale odierno deve riguardare tutte le persone, in tutte le fasi della vita, e non essere relegato in chiave di genere; per funzionare davvero deve essere coniugato con i temi più ampi del benessere, della salute, della previdenza e della formazione nel contesto di un sistema dove il welfare della persona è centrale e garantisce la sostenibilità a tutte le persone (donne, uomini, giovani, anziani, disabili) e in tutte le dimensioni della vita. Diversamente, il tema delle pari opportunità perderebbe di significato e ci troveremmo in presenza di uno strumento che invece di agevolare le persone ne penalizzerebbe una parte.
Perché c’è così tanta resistenza da parte delle aziende tradizionali?
Abbiamo visto che la diffusione dello smart working tra le piccole e medie imprese è limitata rispetto alle multinazionali; le multinazionali, più strutturate, beneficiano dell’influenza dall’estero ove questo tipo di esperienze è già iniziata da qualche tempo e non hanno timore di sperimentare attraverso policy o accordi interni, in assenza di una legislazione specifica; le PMI invece, tranne rari casi, necessitano dell’impulso da parte della legislazione, nel timore di muoversi su un terreno non chiaro; questi timori dovrebbero oramai essere stati fugati dall’impegno con cui il Governo ha deciso di completare la riforma del lavoro dedicando un intero provvedimento al lavoro autonomo e al lavoro agile; fino a oggi la fase sperimentale delle PMI è passata attraverso l’attività dei co-working, aziende che mettono a disposizione a ore spazi e strumenti per i professionisti e per le altre aziende. Con l’entrata in vigore della legge, anche le PMI dovranno uscire dalla fase sperimentale per iniziare un vero percorso verso la flessibilità affrontando un cambio di passo manageriale significativo che con buone probabilità le rendere più competitive sul mercato interno ed estero.
Si parla tanto di green economy: secondo lei lo smart working potrebbe aiutare la crescita di una economia verde e di una vera economia della condivisione?
L’utilizzo degli spazi temporanei di co-working mostra alle imprese i vantaggi della flessibilità, che può essere attuata non solo in strutture di co-working ma anche a casa, in viaggio, nella sede della propria azienda o presso i clienti o in altri luoghi condivisi tra il datore di lavoro e il lavoratore agile nell’accordo individuale sottoscritto fra le parti. Bisogna solo che gli italiani, imprenditori e prestatori di lavoro, imparino a cambiare mentalità, lavorando per obiettivi in stretta correlazione fra loro e con estrema fiducia reciproca.