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Jobs Act e sicurezza sul lavoro: “un’occasione mancata”.

Il Jobs Act si è occupato, sia direttamente che indirettamente, anche della disciplina che tutela la salute e la sicurezza nei luoghi di...

Il Jobs Act si è occupato, sia direttamente che indirettamente, anche della disciplina che tutela la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Escludendo i riflessi indiretti sulla materia discendenti dal D.lgs. n. 23/2015 e dal D.lgs. n. 81/2015 in tema di contratti di lavoro e mansioni, le modifiche e le integrazioni dirette sono state introdotte dal D.lgs. n. 151/2015, in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 5, L. n. 183/2014 avente lo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonché degli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.
In particolare, le disposizioni modificative ed integrative del D.lgs. n. 81/2008 (c.d. T.U. Sicurezza) sono contenute nell’art. 20, oltre che ricomprese nell’art. 22 con riferimento all’apparato sanzionatorio in caso di sospensione dell’attività imprenditoriale interessata da violazioni.
L’intervento normativo, per quanto auspicato da tempo, contiene tuttavia modifiche poco incisive e piuttosto marginali, lasciando pertanto inalterate le principali criticità, concretandosi prevalentemente nell’abrogazione di alcuni adempimenti burocratico-formali e in qualche utile correzione ma di impatto assai limitato, sicché la dottrina e gli esperti della materia sono concordi nel ritenere la novella “un’occasione mancata”.
Se, infatti, alcune misure sono certamente apprezzabili sul piano pratico, come ad esempio l’abolizione dell’obbligo di tenuta del registro degli infortuni oramai da trasmettersi per via telematica (art. 53 T.U.), altri invece hanno riguardato prevalentemente la parte c.d. istituzionale, come la composizione del Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza (art. 5 T.U.) e della Commissione consultiva permanente (art. 6 T.U.), oppure l’aggiornamento delle funzioni di quest’ultima, con particolare riguardo alla rielaborazione delle procedure previste anche con riferimento alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato.
Una modifica condivisibile, anche se non di particolare rilievo, ha avuto ad oggetto il lavoro accessorio (art. 3, co. 8, T.U.) in relazione alla esplicitazione dell’assunto secondo cui le norme speciali vigenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori si applicano (solo) nei casi in cui la prestazione lavorativa sia svolta a favore di un committente imprenditore o professionista e vengono escluse con riferimento ai c.d. piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili, stante la particolare brevità delle prestazioni e la stretta contiguità esistente tra lavoratore e datore di lavoro.
Un’altra variazione da menzionare ha riguardato il volontariato (art. 3, co. 12-bis, T.U.): nella specie, viene precisato che ai volontari si applica la norma che prevede obblighi di sicurezza attenuati, relativi ai componenti dell’impresa familiare ed ai lavoratori autonomi, potendo comunque essere definite modalità di estensione delle tutele mediante appositi accordi tra i soggetti interessati, da un lato, e le associazioni di volontariato o gli enti di servizio civile, dall’altro. Preme rilevarsi tuttavia che, qualora la prestazione del volontario venga effettuata nel contesto aziendale, il datore di lavoro (nella definizione di cui al T.U.) sarà comunque tenuto a fornire al soggetto informazioni specifiche sui rischi e sulle misure di sicurezza adottate, nonché ad eliminare o ridurre al minimo i rischi da interferenze tra attività del volontario ed organizzazione dell’impresa.
In relazione alla valutazione dei rischi (art. 28, co. 3-ter, T.U.) è stato, poi, previsto che l’INAIL renda disponibili al datore di lavoro, anche in collaborazione con le ASL, “strumenti tecnici e specialistici” per la riduzione dei livelli di rischio e che con decreto ministeriale saranno individuati strumenti di supporto per la valutazione dei rischi tra cui quelli informatizzati secondo il prototipo europeo OIRA – Online Interactive Risk Assessment (art. 29, co. 6-quater, T.U.).
Si registra, poi, la novella che consente lo svolgimento diretto da parte datoriale dei compiti di primo soccorso, prevenzione incendi ed evacuazione anche oltre la precedente soglia prevista di 5 dipendenti, ferma restando l’eccezione nei casi in cui, per legge, è obbligatoria la presenza del SPP interno (art. 34 T.U.).
Con riferimento al Titolo III del T.U. relativo alle attrezzature di lavoro, viene individuata una nuova definizione di “operatore”, che si estende sino a comprendere il datore che faccia uso di un’attrezzatura di lavoro, e viene introdotta una specifica abilitazione alla conduzione dei generatori di vapore (correggendosi così anche alcune imperfezioni contenute nel testo di legge ante riforma).
Di un qualche rilievo è, infine, la rivisitazione dell’impianto sanzionatorio del Titolo I del T.U. che si arricchisce di nuove previsioni. Il legislatore delegato individua, in particolare, una serie di precetti relativi alla sorveglianza sanitaria ed alla formazione la cui violazione determina il raddoppio dell’importo della sanzione qualora la violazione si riferisca a più di 5 lavoratori o la triplicazione nel caso di più di 10 lavoratori. A tale ultimo proposito, si rileva che si tratta di un provvedimento certamente utile ma di portata troppo limitata, anche alla luce dell’ampiezza della delega legislativa, e che sarebbe stato opportuno rivisitare interamente la disciplina nel senso di privilegiare la sanzione amministrativa, lasciando quella penale per contravvenzione ai casi più gravi, nei quali l’adempimento è strumento di decisione strategica, di pianificazione degli interventi, di scelta del livello di prevenzione e di tutela della salute.
Quanto sopra elencato – e quel poco altro che per necessità di sintesi si è deciso di non richiamare – rende, purtroppo, chiara l’idea della marginalità delle misure adottate.
Il passo da intraprendere avrebbe dovuto essere, invece, quello di un reale sforzo riformatore sorretto da un’adeguata ricognizione dei ben noti problemi applicativi e interpretativi propri di questa materia così complessa.
Per ora non ci si può che accontentare delle piccole semplificazioni decise dal Jobs Act, ma il soddisfacimento delle esigenze che provengono dalle aziende per avere procedure più snelle e più efficaci con meno oneri formali – senza per questo trascurare la visione sistematica della disciplina – restano largamente disattese. Così, nonostante i decisi passi avanti fatti da datori di lavoro e lavoratori, ancora lunga è la strada, anche dopo questa ennesima (mini) riforma, per poter affermare una piena e consapevole diffusione della “cultura” della salute e della sicurezza in tutti i settori produttivi, i luoghi di lavoro e le organizzazioni aziendali.