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Tribunale di Vicenza: vengono prima le sentenze della Corte europea.

Dichiarato illegittimo il licenziamento di un dirigente in base a una sentenza europea solo in seguito recepita dalla legge italiana. Ma come fa il...

Dichiarato illegittimo il licenziamento di un dirigente in base a una sentenza europea solo in seguito recepita dalla legge italiana. Ma come fa il datore di lavoro a sapere quali norme vanno applicate?
Il Tribunale del Lavoro di Vicenza, lo scorso 5 luglio, rifacendosi a una sentenza della Corte di Giustizia europea, ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un dirigente per mancato rispetto della procedura prevista per i licenziamenti collettivi anche se questo atto è avvenuto ben prima dell’entrata in vigore della legge italiana che disciplina questa procedura. Il Tribunale ha anche condannato il datore di lavoro al pagamento dell’indennità suppletiva prevista dal Contratto collettivo nazionale di lavoro.
Questa sentenza ribalta un orientamento giurisprudenziale e dottrinario consolidato non solo nazionale e  può avere effetti che vanno ben oltre il singolo caso: antepone infatti gli effetti di una sentenza europea alla legislazione nazionale intervenuta successivamente. Il licenziamento del dirigente, infatti, era stato intimato dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea del 13 febbraio 2014 (C-596/12) che ha condannato l’Italia per aver escluso la categoria dei dirigenti dall’ambito di applicazione della legge 223 del 1991(che disciplina i licenziamenti collettivi) in violazione della direttiva della Commissione europea numero 59 del 1998, ma prima dell’entrata in vigore della legge 161 del 30 ottobre 2014 con la quale il legislatore italiano ha provveduto anche all’inclusione dei dirigenti nella disciplina dei licenziamenti collettivi. Il giudice si è dunque mosso partendo dal presupposto di essere chiamato lui stesso a dare “piena attuazione” alla sentenza della Corte di Giustizia che ha accertato l’inadempimento dell’Italia “senza dover attendere l’intervento del legislatore nazionale che modifichi eventuali disposizioni contrastanti con il diritto comunitario” e ciò perché l’obbligo di osservare la sentenza “trova il suo destinatario nello Stato nella sua unità” e “il potere giurisdizionale, anche alla luce del principio di leale collaborazione, è chiamato a partecipare attivamente all’attività di implementazione del diritto europeo”.
Proprio questo passaggio è il più significativo: si tratta di uno dei primi casi in cui si afferma l’immediata applicabilità delle sentenze comunitarie nei tribunali degli stati membri. Il problema quindi riguarda gli effetti extraprocessuali di una sentenza “interpretativa” della Corte di Giustizia che produce sicuri effetti diretti nei confronti del legislatore nazionale, ma che appare dubbio possa ritenersi vincolante nei  confronti dei giudici (mentre risulta, invece, sicuramente vincolante la decisione della Corte nel caso di competenza pregiudiziale nei confronti dei giudici di rinvio). Bisogna tuttavia evidenziare la “sottile linea d’ombra” che si è venuta a creare per le società che abbiano licenziato dei dirigenti tra il mese di febbraio e il mese di ottobre del 2014 senza avere avviato – probabilmente a ragione – anche nei loro confronti la procedura prevista dalla legge 223 del 1991 pur essendo interessate nello stesso periodo da licenziamenti collettivi per riduzione di personale. Se l’orientamento del giudice di Vicenza dovesse trovare conferma nei successivi gradi di giudizio e diffusione presso altre Corti di merito le conseguenze economiche nei confronti delle aziende potrebbero essere significative e non solo nel campo del diritto del lavoro. Per le aziende si aprirebbero infatti conseguenze devastanti sul piano operativo:  i datori di lavoro si troverebbero a dover scegliere tra due opzioni, in linea di diritto entrambe legittime, che sono l’applicazione della  legge nazionale da un lato e quella dell’applicazione delle sentenze della Corte europea dall’altro con possibili effetti paradossali. La sentenza di Vicenza infatti condanna l’azienda per aver applicato la legge italiana e la ritiene implicitamente responsabile per il comportamento di terzi, nella fattispecie il Parlamento, su cui non ha alcun potere.