Gig Worker a prova di tutele? Ecco cosa dicono i giuslavoristi sulla nuova direttiva Ue

Su Adnkronos è disponibile un interessante articolo che approfondisce e analizza i diversi aspetti della nuova direttiva europea sul lavoro tramite piattaforme digitali, che ha l’obiettivo di migliorare le condizione di lavoro di oltre 28 milioni di Gig Worker.

La direttiva introduce una serie di tutele relative al lavoro subordinato, all’utilizzo dei dati e alla tutela della salute, sia fisica che mentale, dei lavoratori. Inoltre, dovrà prevedere una serie di controlli e verifiche da parte dei singoli Paesi, inclusa l’Italia, sia attraverso servizi ispettivi sia all’interno delle aziende private.

Come spiega, Marco Chiesara intervistato sull’argomento, “Dovranno essere formati Ispettori del lavoro che siano esperti di algoritmi e che finiranno per ispezionare le piattaforme digitali restando, probabilmente, seduti alle loro scrivanie. Allo stesso tempo, il processo di ‘umanizzazione’ delineato dalla nuova disciplina farà sì che le piattaforme digitali dovranno ripensare la loro organizzazione del lavoro. Dovranno infatti, assumere e/o formare del personale che sorvegli i sistemi di decisione automatizzati dell’algoritmo, conformandoli alla disciplina introdotta dalla Direttiva“.

Per approfondire nel dettaglio l’argomento, l’articolo completo è disponibile qui.

HR & Compliance – L’articolo a firma di Ugo Ettore Di Stefano per Direzione Del Personale

È stato pubblicato il numero 208 di Marzo 2024 di Direzione del Personale, la rivista di AIDP – Associazione Italiana per la Direzione del Personale, con un articolo a firma di Ugo Ettore Di Stefano che analizza il ruolo cruciale della Direzione Risorse Umane nella definizione di un modello di compliance aziendale.

La compliance, intesa come insieme di attività organizzate per gestire i rischi legali dell’impresa, riveste un’importanza fondamentale nelle dinamiche aziendali. Coinvolgendo tutte le funzioni, compresi i direttori risorse umane (HRD), è essenziale per sviluppare un efficace modello di corporate governance e un sistema di sostenibilità aziendale (ESG).

Gli HRD svolgono un ruolo chiave nella gestione della compliance, partecipando attivamente alla definizione di un sistema integrato, creando policy aziendali conformi alle regolamentazioni e garantendo l’organizzazione corretta delle procedure di compliance.

Nell’articolo, Ugo Ettore Di Stefano propone un modello operativo di gestione della compliance, che include la creazione di un “Manuale Aziendale di Compliance”, una guida completa che documenta politiche, procedure, ruoli e responsabilità relative alla compliance aziendale.

Per leggere l’articolo completo e approfondire questo modello operativo, cliccare qui.

Studi legali, la rappresentanza di genere è prossima al 50% – L’indagine di ItaliaOggi

Secondo l’ultima edizione del rapporto “Pink Power 2024 negli studi legali” condotto da Affari Legali di ItaliaOggi, nelle law firm italiane la rappresentanza di genere è prossima al 50%, anche grazie ad un incremento delle politiche di welfare sempre più inclusive.


Lexellent è da sempre uno studio legale attento alle tematiche di diversity e di parità di genere e, sotto la guida di Giulietta Bergamaschi ha avuto un 2023 molto positivo anche grazie all’ apertura di una sede strategica a Bergamo con un lateral d’eccellenza Matteo Luzzana, a rafforzamento delle competenze interne di diritto commerciale e societario.
Tra le professioniste più giovani si è distinta invece Chiara D’Angelo, oltre che per l’attività day-by-day in materia giuslavoristica anche per il suo impegno in ELLINT Next.


Per leggere l’articolo completo cliccare qui.

Workation – Germania e Italia

Il #Workation, coniato dalla fusione delle parole “work” (lavoro) e “vacation” (vacanza), rappresenta una pratica lavorativa che consente alle persone di svolgere le proprie attività da una località turistica, distante da quella abituale, con l’obiettivo di integrare lavoro e relax.
Questa tendenza, sempre più diffusa dopo il periodo post Covid-19, ha evidenziato che lo smartworking e altre forme di lavoro flessibile possono contribuire significativamente alla soddisfazione dei dipendenti. Tuttavia, è importante sottolineare che, se non gestite correttamente attraverso accordi e politiche adeguate, queste pratiche possono comportare alcuni rischi per i datori di lavoro.


Quali sono, dunque, i principali aspetti giuridici da considerare dal punto di vista del datore di lavoro?

Sul sito di Ellint, un interessante articolo redatto da Valentina Boscarino e Luise Brunk dello studio tedesco Altenburg fornisce risposte a questa domanda, concentrandosi su 5 questioni chiave. L’articolo offre una panoramica su come vengono gestite queste specifiche forme di lavoro a distanza in Italia e in Germania.

Per una lettura approfondita, è possibile consultare l’articolo completo in lingua inglese qui.

Agenzie per il lavoro. Approvato il Codice di condotta – Ugo Ettore Di Stefano intervistato da Avvenire

Il Garante per la protezione dei dati personali ha recentemente approvato il Codice di condotta per le Agenzie per il lavoro che definisce le “buone prassi” per il corretto trattamento dei dati durante le attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale.

Su Avvenire è disponibile un interessante articolo di @Maurizio Carucci, il quale ha intervistato diversi esperti e professionisti del settore su questa importante novità.

Tra questi, Ugo Ettore Di Stefano che ha spiegato l’impatto significativo che questo Codice avrà non solo sulle Agenzie per il lavoro, ma anche sulle aziende.
Ha infatti evidenziato che “le regole introdotte per condurre, nel rispetto della privacy e dei principi di non discriminazione, le attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione, ricollocamento, non potranno poi essere disattese dalle aziende clienti, fruitrici dei servizi, nei loro successivi processi interni di selezione. Le aziende sono dunque chiamate a adeguare le proprie policy a quelle stesse regole che, le Agenzie loro fornitrici, si sono date. Il Codice contribuirà ad accrescere anche la consapevolezza dei candidati, per esempio, sul diritto a non essere discriminati in ragione di informazioni non pertinenti e tratte dai social network non aventi scopo professionale.

L’articolo completo è disponibile a questo link.

La fine del contratto di espansione: cosa cambia per le aziende?

La nuova Legge di Bilancio non ha prorogato per il 2024 il contratto di espansione, introdotto nel 2019 dal Decreto Crescita in sostituzione del contratto di solidarietà.
Il contratto di espansione consentiva ai dipendenti non solo di andare in pensione in anticipo (cinque anni prima della data prevista), ma offriva anche un programma di formazione e riqualificazione per i lavoratori rimanenti, consentendo alle aziende di gestire in modo più efficiente la cosiddetta “sfida delle competenze”.

Secondo Giulietta Bergamaschi, sentita sul tema, «il meccanismo di esodo aziendale comportava, oltre alla risoluzione del rapporto di lavoro, il pagamento da parte del datore di lavoro di un’indennità mensile pari al trattamento pensionistico lordo, determinato dall’INPS, maturato dal lavoratore dal momento della cessazione del rapporto di lavoro e sino al raggiungimento del diritto alla pensione, al netto del valore teorico della NASpI, a carico dello Stato». In questo modo, parte dei costi sostenuti dal datore di lavoro venivano compensati dallo Stato attraverso l’utilizzo della NASpI, con conseguenti vantaggi economici per le imprese.

Questo strumento rappresentava quindi un’opportunità per le aziende non solo in termini di ricambio generazionale, pensionamento e formazione, ma anche dal punto di vista economico, grazie al contributo dell’INPS.

Per leggere l’articolo completo, cliccare qui.

Le molestie sul lavoro nella lente giurisprudenziale: perchè sono importanti le circostanze fattuali e ambientali

Su HR Online, Giulietta Bergamaschi e Chiara D’Angelo raccontano gli sviluppi giurisprudenziali in materia di molestie negli ambienti di lavoro.

I Giudici, sia di merito che di legittimità, sono spesso attenti a esaminare i casi di molestia in un’ottica più ampia, cioè andando oltre la singola condotta censurata e ponendo in risalto alcune specificità fattuali che ne hanno costituito lo “sfondo”.

Nell’approfondimento vengono dunque ripercorse alcune pronunce in cui si è dato risalto ad elementi oggettivi dei casi di molestia, quali la presenza di pubblico, l’età, l’anzianità aziendale, l’esistenza o meno di un rapporto gerarchico tra le parti e i rispettivi ruoli ricoperti in azienda.

Il testo completo è disponibile a questo link

Pagamenti successivi alla fine del rapporto di lavoro: Normativa italiana e danese

I dipendenti possono avere diritto a determinati pagamenti anche dopo la fine del rapporto di lavoro. Le indennità di licenziamento, l’indennizzo per le clausole restrittive e la liquidazione finale delle ferie sono tutti esempi di pagamenti dovuti al termine di un rapporto di lavoro o dopo la cessazione dello stesso e spesso è fondamentale che il datore di lavoro abbia preso in considerazione tali pagamenti quando ha deciso di porre fine a un rapporto di lavoro.

La nostra Chiara D’Angelo e Mads Bernstorn dello studio legale danese Mette Klingsten Advokatfirma forniscono in un articolo completo una panoramica di alcuni dei pagamenti post-lavorativi più comuni in Italia e in Danimarca.

L’articolo completo è disponibile qui.

Giulietta Bergamaschi relatrice al Welfare & HR Summit 2024

Si è svolta ieri, giovedì 15 febbraio 2024, la quinta edizione del Welfare & HR Summit, l’evento de Il Sole 24 Ore, dedicato alle novità nel mondo del lavoro e focalizzato, quest’anno, sulla trasformazione digitale in corso e l’evoluzione costante dell’Intelligenza Artificiale.

Tra i relatori, la nostra Managing Partner Giulietta Bergamaschi che è intervenuta per affrontare il tema della contrattazione collettiva e ha spiegato che la legislazione del 2015 ha equiparato la contrattazione collettiva nazionale e quella decentrata, privilegiando la prospettiva aziendale dell’azione sindacale e dando maggiore attenzione alle esigenze dell’impresa.

Giulietta Bergamaschi ha sottolineato, inoltre, che il processo di contrattazione aziendale mira a favorire il rapporto tra management e lavoratori, alla ricerca di un equilibrio tra maggiore produttività e benessere, oltre a intervenire su tematiche quali la prevenzione della violenza e delle molestie, anche di genere, sui luoghi di lavoro o sulla responsabilità sociale d’impresa.

L’articolo a firma di Giulietta Bergamaschi è disponibile qui.

Welfare & HR Summit 2024

Siamo felici di comunicare che anche quest’anno Lexellent è Official Partner della quinta edizione del Welfare & HR Summit, l’evento digitale de Il Sole 24 Ore, che si terrà giovedì 15 febbraio 2024, dalle ore 15.30 alle ore 18.30.

Focus principale dell’evento sarà il mondo del lavoro in relazione alla trasformazione digitale in corso e all’evoluzione costante dell’Intelligenza Artificiale. Tuttavia, la discussione non si limiterà a questi temi, ma affronterà anche i vari cambiamenti in atto, come il salario minimo, la riforma delle pensioni, il “rientro dei cervelli” e le nuove misure fiscali.

Gli argomenti verranno trattati da esperti e professionisti del settore; tra questi la nostra Managing Partner Giulietta Bergamaschi che parlerà de “Le leve della contrattazione“.

L’evento è gratuito ed è possibile registrarsi a questo link

Lexellent nella classifica Lavoro e Welfare di Statista e Il Sole 24 Ore

Lexellent è presente, per il quarto anno consecutivo, nella classifica degli Studi Legali dell’anno 2023 redatta da Il Sole 24 Ore in collaborazione con Statista nella categoria Lavoro e Welfare.


La nostra Giulietta Bergamaschi è stata inoltre intervistata su un tema caro allo studio, quello della certificazione sulla parità di genere e sul lavoro degli studi legali nella sua attuazione: «Sono senz’altro emerse nuove esigenze da parte delle aziende: in particolare, ci è stata chiesta specifica assistenza con riferimento sia alla fase prodromica (assessment preliminare, redazione di policy, codici) che, in senso stretto, all’iter di rilascio della certificazione della parità di genere. In tale contesto, le competenze giuslavoristiche devono entrare in sinergia con quelle più marcatamente attinenti alla gestione aziendale; pertanto, ci stiamo trovando a interagire anche con esperti in altri campi, ad esempio l’ingegneria gestionale».

Potete leggere l’intervista completa qui.

Lexellent apre a Bergamo con una nuova sede guidata dall’avv. Matteo Luzzana e rafforza ulteriormente le competenze interne in diritto commerciale e societario

Milano, 2 maggio 2023 – Lexellent è lieto di annunciare l’ingresso dell’avv. Matteo Luzzana in qualità di Of Counsel.

Con questo ingresso lo Studio apre una nuova sede a Bergamo, rafforza e amplia le proprie competenze in Diritto del lavoro e inaugura il Dipartimento di Diritto commerciale di cui l’avvocato Luzzana sarà Responsabile.

L’avv. Matteo Luzzana, nato nel 1968, è stato dal 2000 al 2014 Partner dello studio bergamasco Zonca Briolini Felli, dal 2015 a 2020 Partner in RPLegal per poi fondare nel 2021 uno studio indipendente.

Nel corso della sua attività Matteo Luzzana si è sempre occupato di Diritto del lavoro e Diritto commerciale. Nel primo ambito presta assistenza su un’ampia gamma di questioni sia in ambito giudiziale che stragiudiziale. In particolare, ha seguito numerose ristrutturazioni aziendali, anche in occasione di procedure concorsuali, operazioni societarie straordinarie e fattispecie transfrontaliere.

Parallelamente, Matteo Luzzana ha sviluppato una notevole esperienza in materia di contratti per le esigenze delle imprese commerciali e industriali (con particolare riguardo a contratti di agenzia, concessione di vendita, appalti, fornitura) oltre a seguire operazioni di joint venture, trasferimenti di azienda e acquisizioni societarie, in ambito sia nazionale che internazionale. Nelle stesse materie presta assistenza nei contenziosi giudiziali e arbitrali, anche internazionali.

Con l’avv. Matteo Luzzana entrerà in Lexellent in veste di Of Counsel anche l’avv. Martina Rovetta.

Giulietta Bergamaschi, Managing Partner di Lexellent, ha dichiarato: “Per Lexellent le questioni giuslavoristiche, centrali nella vita delle aziende, sono sempre più interconnesse alle altre branche del diritto: per questo, abbiamo iniziato un percorso di ampliamento delle competenze, dal Diritto Penale all’ IP, fino al 2021 con l’apertura del Dipartimento di Privacy & Corporate Compliance. L’ingresso dell’avv. Luzzana permetterà ora a Lexellent di essere presente in una città per noi strategica e importante, dove operano già diversi nostri clienti e di rispondere, grazie alla visione dell’avv. Luzzana, anche a esigenze negli ambiti del Diritto commerciale e societario”.

Matteo Luzzana, Of Counsel di Lexellent, ha dichiarato: “Conosco da tanto tempo e soprattutto stimo il gruppo di professionisti di Lexellent e sono onorato che abbiano scelto di compiere con me questo percorso, che mi dà la possibilità di integrare al meglio le competenze che ho sviluppato negli anni trascorsi da partner in studi legali full service e al contempo mi consente di rafforzare la proposta di servizi di diritto del lavoro rivolta alle imprese di Bergamo, della sua provincia e della Lombardia orientale.

Lexellent tra le Leading Firm di The Legal 500 – Guida EMEA 2023

È stata pubblicata la nuova Guida EMEA di The Legal 500, la nota directory internazionale che mappa le eccellenze legali, studi e professionisti, in tutto il mondo.

Anche quest’anno Lexellent è presente, nella lista delle Leading firm per la categoria Italy – Employment.

Per il nostro Studio questo è un traguardo importante, frutto del nostro lavoro di squadra quotidiano, ma soprattutto della fiducia che i nostri clienti ripongono in noi da moltissimi anni. Grazie

“Professione e genere, così l’utilizzo del femminile penalizza (ancora) il ruolo – Il caso “avvocata””, l’articolo a firma di Giulietta Bergamaschi su Open online

Una recente indagine condotta dalla Fondazione Bruno Kessler conferma ancora una volta il pregiudizio dietro a una donna che esercita la professione legale: esprimono maggiore autorevolezza e fiducia le donne che si fanno chiamare “avvocato” piuttosto che “avvocata”.

La nostra managing partner, Giulietta Bergamaschi, racconta ad Open la sua esperienza e come, da qualche anno a questa parte abbia deciso di farsi chiamare “avvocata” in coerenza con il suo impegno per le pari opportunità nel mondo del lavoro e con il suo essere (non fare la) giuslavorista.

“Sono convinta del fatto che declinare al femminile professioni, ruoli e funzioni sia un fondamentale passo verso il cambiamento culturale a favore delle pari opportunità, del riconoscimento delle diversità, del rispetto delle differenze di genere, con l’obiettivo di incrementare la quota dell’occupazione femminile e contribuire alla crescita economica del paese.”

Purtroppo la strada per la parità di genere è ancora lunga come dimostrano i dati rilasciati dal Global Gender Gap del World Economic forum pubblicato a luglio 2022, dove l’Italia si posiziona al 63° posto nel mondo su 146 paesi in termini di parità di genere; sempre secondo il rapporto, ci vorranno 132 anni per raggiungere la parità a livello globale. In Italia, le donne rappresentano la maggioranza della popolazione, ma lavorano meno rispetto agli uomini: una donna su due non lavora. La media europea è pari quasi al 68%. Le donne italiane inoltre guadagnano meno dei colleghi uomini, a parità di mansioni e competenze, anche se il divario si è di recente ridotto.

Per leggere l’articolo completo cliccare qui

Posted in Senza categoria

“Italy: rules regarding use of employees’ portrait” – l’articolo a firma di Renato D’Andrea e Ugo Ettore Di Stefano su Solicitors Journal

Sulla rivista Solicitors Journal un articolo di Renato D’Andrea e Ugo Ettore Di Stefano in merito alle regole di copyright e privacy applicabili in caso di utilizzo della immagine dei dipendenti sui social network e sui siti web aziendali.

Molte aziende, oggi, utilizzano questi strumenti per comunicare e spesso lo fanno anche attraversofotografie o i filmati che ritraggono i propri dipendenti, con l’obiettivo di illustrare i processi produttivi adottati o di promuovere un prodotto o un valore che l’azienda condivide.

Queste pratiche, tuttavia, possono interferire con le norme dell’ordinamento giuridico italiano in tema di copyright e privacy, e pertanto hanno una gestione pratica molto complessa.

Nell’articolo, i due autori, approfondiscono quali sono le leggi che tutelano il copyright e la privacy dei lavoratori e spiegano come i datori di lavoro possano legittimamente utilizzare le immagini dei propri dipendenti. 

L’articolo completo qui.

“Anche gli studi legali devono misurare il gradimento della propria clientela” l’intervista a Ugo Ettore Di Stefano su Italia Oggi

ItaliaOggi ha condotto un’interessante indagine su come gli studi legali misurino il gradimento dell’attività svolta tra i propri clienti.

Secondo un recente studio svolto dall’ Osservatorio Digital Innovation School of Management – Politecnico di Milano, su un campione di PMI, con l’obiettivo di valutare l’operato degli avvocati, l’80% ha espresso soddisfazione per i servizi tradizionali ricevuti, ma ha anche espresso il desiderio di essere più seguito nello sviluppo dell’azienda e nel ricevere consigli in anticipo.

Secondo la stessa ricerca inoltre, gli studi legali, soprattutto quelli di grandi dimensioni, sono oggi più sensibili alle tematiche della soddisfazione del valore generato.

Tra gli intervistati anche il nostro Ugo Ettore Di Stefano, il quale ricorda come @Lexellent sia da sempre particolarmente sensibile al feedback del cliente. Lo Studio infatti mira a individuare quelle che sono le best practice del mercato al fine di costruire servizi sempre più in linea con le esigenze dei clienti: questo ha portato Lexellent a integrare recentemente servizi complementari al diritto del lavoro come ad esempio il dipartimento di Privacy and corporate compliance.

«Quando viene assunto un incarico, sono condivisi obiettivi e strategie, definendo tempi e costi, di modo che sia chiaro se il risultato ottenuto sarà in linea con quanto richiesto. Lo scopo infatti è quello di instaurare una relazione duratura e di fiducia con i propri Clienti e, se per qualche ragione dovesse esservi motivo di insoddisfazione, ci si confronta per trovare una soluzione rapida ed efficace. Nell’ambito del processo di sviluppo e miglioramento della compliance interna, inoltre Lexellent ha attivato un programma di formazione dedicato alla cura del rapporto con il cliente che vada oltre i doveri deontologici e punti alla massima soddisfazione di colui che amiamo definire un “partner in law”».

Per leggere l’articolo completo cliccare qui

“La mobilità transnazionale dei lavoratori”, l’articolo a firma di Marco Chiesara su DDP

Su Direzione del Personale, l’articolo di Marco Chiesara dal titolo “La mobilità transnazionale dei lavoratori”.

Oggi, la mobilità transnazionale dei lavoratori è un fenomeno in costante crescita, poiché il mondo è oramai interconnesso, le distanze sono sempre più ridotte e, grazie all’introduzione delle nuove tecnologie, all’internazionalizzazione e alla plurilocalizzazione delle imprese, l’economia è ormai su scala globale.

Per questa ragione negli ultimi anni l’Unione Europea ha emanato una serie di provvedimenti volti a favorire, regolamentare e tutelare la mobilità dei lavoratori, al fine di agevolarli nello svolgimento delle loro attività lavorative al di fuori dei loro Paesi di origine.

Quali sono i provvedimenti che disciplinano questo fenomeno? E cos’è il distacco transnazionale?

Per scoprirlo, leggete l’articolo intero a questo link

Posted in Senza categoria

Legali creativi per fermare le dimissioni dei talenti – Giulietta Bergamaschi intervistata da Il Sole 24 Ore

Giulietta Bergamaschi è stata intervistata da Massimiliano Carbonaro per Il Sole 24 Ore riguardo al fenomeno della Great Resignation.

Focus dell’intervista, in particolare, sono le leve che le aziende e gli studi legali che le supportano devono utilizzare per contrastare il fenomeno.

L’articolo completo è disponibile oggi in edicola, su Il Sole 24 Ore, o, per gli abbonati a NT Plus Diritto, a questo link.

(Dis)parità di genere: l’articolo di Giulietta Bergamaschi per Direzione del Personale – AIDP

È appena stato pubblicato il numero 200 di Direzione del Personale, la rivista dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale, con un articolo a firma di Giulietta Bergamaschi, Managing Partner di Lexellent, che ripercorre le attuali frontiere delle pari opportunità nel mondo del lavoro.

Tema – oggi più che mai – di assoluta priorità per le imprese perché:

  • La redazione del Rapporto biennale sulla situazione del personale (art. 46 del Codice delle pari opportunità, come modificato dalla L. 162/2021) è condizione necessaria per partecipare a gare pubbliche finanziate con le risorse del PNRR e del PNC.
  • La Ministra per le Pari Opportunità e il Presidente UNI hanno appena presentato la prassi UNI/PdR 125:2022, che definisce criteri ed indicazioni tecniche utili alle imprese per il conseguimento della Certificazione della parità di genere (art. 46-bis del Codice delle pari opportunità, introdotto dalla L. 162/2021), attestante le politiche e misure adottate in azienda per ridurre il divario di genere in azienda.

La Certificazione, finanziata con i fondi del PNRR e ulteriori misure governative, permetterà alle aziende di accedere a consistenti vantaggi economici, specie sotto il profilo degli esoneri contributivi.

L’articolo completo è disponibile qui.

“Covid e lavoro, 7 dubbi ricorrenti sciolti da un’avvocata”, l’intervista a Giulietta Bergamaschi su Vanity Fair

Data la proliferazione delle norme emergenziali, Vanity Fair ha chiesto alla nostra managing partner Giulietta Bergamaschi di rispondere ad alcuni dei principali dubbi di lavoratori e lavoratrici, che si rivolgono alle loro aziende per chiedere supporto nella comprensione delle disposizioni di legge.

L’intervista è disponibile qui.

Green Pass e Super Green Pass sui luoghi di lavoro

Il D.L. 26 novembre 2021, n. 172, pubblicato in G.U. n.282 del 26 novembre scorso, ha introdotto nuove misure per il contenimento dell’epidemia da Covid-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali, tra cui l’ormai noto “Super Green Pass” o “Green Pass Rafforzato”.

Il D.L. è entrato in vigore il 27 novembre scorso e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge, che dovrà intervenire, a pena di perdita di efficacia, entro i 60 giorni successivi alla pubblicazione in G.U.

In questo approfondimento, le principali novità di interesse giuslavoristico introdotte dal D.L.

Discriminazioni sul lavoro: indagine statistica

Lexellent lavora da sempre per la promozione di ambienti di lavoro inclusivi e valorizzanti per tutte le persone, contro ogni forma di discriminazione.

Per contrastare un fenomeno, tuttavia, è necessario conoscerlo a fondo. 

Per questo abbiamo deciso di avviare un’indagine statistica sul tema delle discriminazioni sui luoghi di lavoro, come step fondamentale per contribuire ulteriormente a reprimerle. 

Se vuoi contribuire, invia una mail a lexellent@lexellent.it con oggetto “Indagine Discriminazioni”, entro il 10 novembre. Ti invieremo il link ad un sondaggio riguardante l’approccio della tua azienda nei confronti delle discriminazioni. 

Il sondaggio è totalmente anonimo: non verranno richieste né le tue generalità, né il nome della tua azienda. 

Ti ringraziamo per il tuo contributo.

Politiche attive del lavoro: l’intervista a Giulietta Bergamaschi su Il Corriere della Sera Economia

Giulietta Bergamaschi, Managing Partner di Lexellent, è stata intervistata da Il Corriere della Sera sull’impatto del ricorso massivo agli ammortizzatori sociali, abbinato al blocco dei licenziamenti.

Continue reading “Politiche attive del lavoro: l’intervista a Giulietta Bergamaschi su Il Corriere della Sera Economia”

Politiche attive del lavoro: l’intervista a Giulietta Bergamaschi su Il Corriere della Sera – Economia

Giulietta Bergamaschi, Managing Partner di Lexellent, è stata intervistata da Il Corriere della Sera sull’impatto del ricorso massivo agli ammortizzatori sociali, abbinato al blocco dei licenziamenti.


Secondo l’avv. Bergamaschi, bisognerebbe far sì che il mercato sia in grado di assorbire le flessioni dell’occupazione attraverso investimenti pubblici a sostegno delle politiche lavorative, intervenendo ad esempio sul costo del lavoro. 

L’intervista completa è disponibile qui.

Green Pass: il datore di lavoro può chiedere di esibirlo?

Il datore di lavoro può richiedere ai dipendenti di esibire il Green Pass? Ecco tutte le normative in merito!

L’approfondimento è disponibile qui.

Il Mobility Manager e il Piano Spostamenti Casa-Lavoro: pubblicate le linee guida per la redazione del piano

Sono state pubblicate le linee guida relative al Piano Spostamenti Casa-Lavoro e alla figura del Mobility Manager.

All’interno del decreto vengono illustrate le modalità di stesura del Piano, nonché la struttura che lo stesso dovrà seguire.

L’approfondimento è disponibile qui.

Qualora ve lo foste persi, vi rimandiamo anche al nostro primo post sul tema.

Lexellent prosegue il suo percorso di crescita con l’ingresso di Ugo Di Stefano come nuovo Partner e apre il dipartimento di Privacy&Corporate Compliance

Milano, 20 settembre 2021 – Lexellent, Studio legale specializzato in Diritto del Lavoro con sede a Milano e Roma annuncia l’ingresso dell’avvocato Ugo Di Stefano in qualità di Senior Partner.

Con questo nuovo ingresso lo Studio rafforza e amplia le proprie competenze e inaugura il Dipartimento di Privacy & Corporate Compliance di cui l’avvocato Di Stefano sarà Responsabile.

L’avvocato Di Stefano vanta una lunga esperienza nella gestione di tutti gli aspetti legali e societari, di compliance e regolatori, anche in processi di ristrutturazione e operazioni straordinarie.

Prima di approdare in Lexellent è stato General Counsel e DPO (Data Protection Officer) del Gruppo Mondadori.

L’esperienza ventennale in azienda ha permesso all’avvocato Di Stefano di maturare la capacità di rispondere con professionalità, tempestività e concretezza ai bisogni delle imprese. La comprensione profonda delle dinamiche manageriali e organizzative, si affiancano a quelle tecnico-giuridiche con un approccio problem solving e business oriented.

Per Giulietta Bergamaschi, Managing Partner di Lexellent, “l’ingresso di Ugo rappresenta un’ulteriore crescita per il nostro Studio. Abbiamo riscontrato che il diritto del lavoro è sempre più centrale nella vita delle aziende, trasversale a tutte le funzioni e interconnesso con altre branche del diritto; la visione e l’esperienza di Ugo ci consentiranno di rispondere in modo sempre più efficace a questa esigenza del mercato”.

La rassegna stampa è disponibile qui.

L’obbligo di green pass nel lavoro privato (D.L. n.127/2021 in vigore dal 22 settembre 2021

Lo Studio Lexellent ha preparato una circolare relativa al D.L. n. 127/2021, in vigore da oggi 22 settembre 2021, sull’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro privati a partire dal 15 ottobre 2021.
 
In particolare, il D.L. n. 17/2021 prevede che il lavoratore risultato privo di green pass durante i controlli va “considerato assente ingiustificato” fino a presentazione della certificazione, non oltre il 31 dicembre 2021, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
 
Altra novità riguarda, con riferimento alle imprese con meno di 15 dipendenti, la possibilità di rinnovo, per una sola volta, della sospensione applicata al lavoratore dopo il 5° giorno di sua assenza ingiustificata per mancato possesso del green pass.

L’approfondimento è disponibile qui.

Il burnout e la gestione (fallimentare) dello stress lavorativo

L’ultimo articolo del Prof. Francesco Bacchini sul tema del burnout lavorativo, per il numero di settembre di HR Online, periodico dedicato alle Risorse Umane di AIDP.

*****

L’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), nell’11a revisione della classificazione internazionale delle malattie (ICD-11) datata 28 maggio 2019(che entrerà però in vigore nel gennaio del 2022), ha qualificato il burnout nei termini di “fenomeno professionale”.
Nello specifico, il burnout è inteso non quale malattia o condizione di salute, bensì nel capitolo: “Fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari”, all’interno del quale vengono incluse le cause per cui le persone si rivolgono al sistema sanitario.
L’OMS imputa il burnout alle inefficienze (con esiti irreversibili) della gestione dello stress lavorativo, in quanto “sindrome concettualizzata come conseguenza dello stress cronico sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo”.
Sicché, alla luce delle recenti acquisizioni in argomento, il burnout integra un rischio psicosociale di portata generale, che può materializzarsi in qualsiasi organizzazione di lavoro, anche al di là dei contesti professionali “tipici” da cui, storicamente, trae origine.
Proprio alla luce di tali considerazioni non sembra dunque più possibile intendere il burnout (termine che rimanda, letteralmente, alla vicenda del “bruciarsi” o “consumarsi”) quale epilogo di un processo stressogeno cronico che si ambienta sullo sfondo delle sole c.d. “helping professions”; attività, cioè, che si traducono in mansioni di aiuto, ascolto e cura in favore di soggetti comunque in stato di precarietà emotiva, incapaci di provvedere alla cura di sé, e perciò necessitanti di costante supporto: è il caso, in particolare, di addetti a reparti di pronto soccorso o specializzati in patologie croniche e invalidanti (psichiatrici, oncologici o di terapia intensiva) ma anche di operatori dei servizi sociali e scolastici, nonché di psicologi, agenti delle forze dell’ordine e di polizia penitenziaria o addetti al volontariato socio-assistenziale.
Il burnout si pone, dunque, quale vera e propria “sintomatologia da stress” (che comprende: fenomeni di affaticamento, logoramento, esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotta realizzazione personale e improduttività lavorativa, ma anche una costellazione di altri sintomi come somatizzazioni, apatia, eccessiva stanchezza, risentimento, infortuni), direttamente riconducibile all’obbligo di tutela della salute dei lavoratori e alla valutazione dei rischi lavorativi.
Leggendo, infatti, il profilo scientifico del burnout in funzione del T.U.S.L (d.lgs. n. 81/2008), non può non osservarsi come, ai sensi dell’art. 2, co 1, lett. o), esso rientri a pieno titolo in una definizione di “salute” (sul lavoro) di tenore talmente ampio da risultare onnicomprensiva, rilevando quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.
La stessa totalizzante vocazione sociale al benessere psico-fisico ispira anche l’art. 28 del medesimo decreto, a tenore del quale il datore di lavoro è obbligato a valutare, tra l’altro, i rischi connessi allo stress lavoro-correlato (definito dall’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, integralmente recepito dall’accordo interconfederale 9 giugno 2008, come “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative […]).
La normativa richiamata si pone, quindi, quale espressione di quel percorso giuridico – sociale volto ad orientare le condizioni organizzativo-ambientali del lavoro alla prioritaria tutela della dignità del dipendente: processo, questo, tutt’altro che compiuto, nella misura in cui impone che la gestione aziendale dello stress correlato al lavorosi confronti con le più recenti acquisizioni di psicologia e psichiatria anche sociali.
In altri termini, l’emergere di inediti disagi individuali legati ai target economici, alla valutazione delle performance, ai conflitti interpersonali, all’intensità dei ritmi lavorativi, all’eccessivo affaticamento sul posto di lavoro determina, inevitabilmente, il dilatarsi del novero delle circostanze “stressogene”, in quanto tali lesive della salute del lavoratore.
E’, quindi, un campo d’indagine sempre in continuo divenire quello entro cui vanno condotte sia, in via preliminare, la valutazione del rischio stress, sia, successivamente, la classificazione degli interventi in termini di prevenzione primaria, secondaria e terziaria (da attuare in conseguenza, rispettivamente, dell’orientamento al contrasto delle fonti, della finalità di gestione e di impedimento delle situazioni, della focalizzazione sulla gestione negativa dello stress che si è già manifestato).
Rimane comunque fermo che, così come lo stress, anche il burnout rileva, ai fini lavoristici, soltanto qualora tragga origine da fattori propri del contesto occupazionale ed estranei a dinamiche della vita privata, soprattutto familiare; non è, quindi, infondato ritenere che la novità sia di maggior pregio (non già sul piano strettamente giuridico il quale, per ora, resta del tutto invariato, ma) perché, essenzialmente, recepisce ed estende il consolidato indirizzo scientifico in materia di processi stressogeni cronici lavorativi con esito patologico.
Ciò in disparte, nessun dubbio, dall’entrata in vigore della nuova classificazione, in merito all’obbligo di valutare e gestire le fonti e le situazioni potenzialmente sfocianti nella sindrome da burnout; il che, evidentemente, a tutela di dignità e produttività del lavoro, della salute del singolo, così come del benessere aziendale.
L’articolo disponibile anche qui.

Trasparenza e prevedibilità delle condizioni di lavoro dopo la Direttiva UE

Su Guida al Lavoro –  Il Sole24Ore, l’approfondimento normativo a firma della managing partner di Lexellent Giulietta Bergamaschi, sulla Direttiva UE 20 giugno 2019 n. 1152, in vigore dal prossimo 31 luglio 2019.

***

Il legislatore europeo ritorna sul tema della trasparenza delle condizioni di lavoro, in linea con i radicali mutamenti economici degli ultimi anni, che hanno ampliato le esigenze di stabilità nel mondo del lavoro; la direttiva, il cui recepimento segnerà l’abrogazione della n. 533/91, oltre a ridisegnare i confini dell’obbligo informativo gravante sulla parte datoriale, detta le nuove prescrizioni minime indispensabili a garantire la prevedibilità delle condizioni contrattuali da parte del lavoratore.
L’articolo completo è disponibile, per gli abbonati, sul portale di Guida al lavoro.

Burnout lavorativo. Perché l’azienda deve combatterlo e prevenirlo

L’ultimo editoriale del Prof. Francesco Bacchini, per il Quotidiano di IPSOA, parla di burnout lavorativo. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta.

Sentimenti di esaurimento o esaurimento energetico. Maggiore distanza mentale dal proprio lavoro, negativismo o cinismo. Ridotta efficacia professionale. Sono le tre dimensioni principali del burnout, incluso quale “fenomeno professionale” nell’undicesima revisione della classificazione internazionale delle malattie da parte dell’organizzazione mondiale della sanità, in vigore dal 2022. Il burnout si pone, in modo esplicito, quale effetto del fallimento e dell’insuccesso nella gestione dello stress lavorativo, che si è cronicizzato, diventando irreversibile. Rilevare le disfunzioni nell’organizzazione del lavoro e gestirle è solo un primo passo per l’azienda. Quali sono gli altri?

Secondo la letteratura scientifica propria del settore della psicologia e della psichiatria sociale, declinate in chiave lavoristica, il burnout è l’esito patologico di un processo stressogeno cronico che interessa, in varia misura, diverse tipologie di operatori e di professionisti quotidianamente e ripetutamente impegnati o, più esattamente, compromessi ed emotivamente coinvolti in attività lavorative che implicano relazioni interpersonali.
 
Nell’accezione di cui sopra, il termine burnout, letteralmente bruciato (o bruciarsi), consumato (o consumarsi), ricomprende manifestazioni psicologiche e comportamentali quali fenomeni di affaticamento, logoramento, esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotta realizzazione personale e improduttività lavorativa, ma anche una costellazione di altri sintomi come somatizzazioni, apatia, eccessiva stanchezza, risentimento, infortuni, connessi, usualmente, allo svolgimento di attività professionali a carattere sociale, più precisamente all’esecuzione di tutte quelle occupazioni che si sostanziano in mansioni di aiuto, ascolto e cura (helping professions).
 
Gli studi e le ricerche più significativi in materia di burnout hanno, infatti, riguardato gli operatori (medici e infermieri) dei reparti psichiatrici, dei pronto soccorso, della terapia intensiva, dei reparti oncologici (o di quelli in cui si assistono i malati di Aids) o, comunque, dei reparti e degli ambulatori per patologie croniche e invalidanti, ma anche gli operatori dei servizi sociali, gli psicologi, i pedagogisti, i docenti degli istituti scolastici, gli educatorie in genere tutti coloro che operano a stretto contatto con soggetti disadattati in contesti sociali degradati, fino ad arrivare agli agenti delle forze dell’ordine, ai vigili del fuoco e agli operatori del volontariato e ciò in quanto il contatto con un’utenza bisognosa di protezione, sofferente, emarginata, comunque problematica, è maggiormente coinvolgente e carico di emotività psichicamente traumatica.
 
Al netto dei fattori soggettivi e delle assai mutevoli caratteristiche personali, al di là della capacità di resistenza alle frustrazioni e di adozione di più o meno efficaci strategie di copying (adattamento), il collasso fisico e mentale a cui, progressivamente, approda il burnout seguendo le quattro dimensioni dell’esaurimento emotivo, della spersonalizzazione, del sentimento di frustrazione e della perdita della capacità di controllo professionale, una volta spogliato del coinvolgimento emotivo tipico delle professioni d’aiuto e rivestito dei panni più larghi del deterioramento dell’impegno e delle emozioni associati generalmente al lavoro, nonché della capacità di adattamento professionale, profilando una sintomatologia da stress potenzialmente riscontrabile in qualsiasi organizzazione di lavoro, configura un rischio psicosociale di portata generale.
 
Si ritiene, infatti, che la sensazione di inaridimento emotivo, di esaurimento, di svuotamento e perdita delle proprie energie e risorse in relazione al proprio lavoro, la sensazione di “non riuscire più a farcela”, a cui segue, prima, un atteggiamento di distacco, cinismo, ostilità, aggressività e, poi, il crollo dell’autostima determinato dalla mancata realizzazione delle proprie aspettative e dalla sensazione di inadeguatezza nello svolgere il proprio ruolo, con apatia, perdita della capacità di controllo nei confronti della propria attività professionale e riduzione del senso critico che determina una errata attribuzione di significato alla sfera lavorativa, possa essere rilevabile in ogni ambito occupazionale.
 
Del resto, analizzando le cause più frequenti del disadattamento da burnout, a partire dal sovraccarico di lavoro (con richieste lavorative così elevate da esaurire le energie individuali e non rendere possibile il recupero), dal senso di impotenza, dalla mancanza di controllo (percezione di avere insufficiente potere o autorità sulle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro in modo efficace), dal riconoscimento inadeguato per il lavoro svolto, dalla mancanza di senso di comunità (quando viene meno il sostegno, la fiducia reciproca e il rispetto), per arrivare all’assenza di equità nell’ambiente di lavoro (in relazione all’assegnazione dei carichi di lavoro, della retribuzione, dei premi, delle promozioni e dell’avanzamento di carriera) e al conflitto di valori all’interno del contesto lavorativo circa le scelte operate a livello organizzativo, è semplice constatarne la trasversalità rispetto a ogni attività lavorativa e a ogni organizzazione aziendale.
 
Poiché nella condizione di burnout convivono svariati indizi: psicosomatici come l’insonnia, psicologici come la depressione, ma anche somatici, espressione del deterioramento del benessere fisico che determina l’insorgenza di patologie varie come: ulcera, cefalea, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali, ecc., si è consolidato nella letteratura scientifica il suo inserimento fra le sindromi, ovvero la sua collocazione all’interno di quell’insieme di sintomi e segni clinici che costituiscono le manifestazioni di una o di diverse malattie, la cui eziologia distintiva è rappresentata dallo stress lavorativo.
 
Il disagio vissuto nella dimensione professionale dai soggetti affetti da burnout, si trasla poi facilmente anche sul piano della devianza personale, esponendoli a un rischio elevato per quanto riguarda l’abuso di alcol, di sostanze psicoattive e, finanche, per il compimento di atti autolesionistici che possono arrivare al suicidio.
 
Così, al cospetto e nel solco, vincolante, di una definizione talmente ampia e con una fortissima vocazione sociale da risultare onnicomprensiva, giacché, ex art. 2, co 1, lett. o), D.lgs. n. 81/2008, per salute (sul lavoro) deve intendersi uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”, il fenomeno del burnout, determinando l’esposizione del prestatore a pericoli per la salute discendenti da situazioni di stress, evidentemente correlate al lavoro, deve essere adeguatamente e specificamente valutato dal datore di lavoro, “secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004” così come impone l’art. 28 del decreto sopra richiamato, “a far data dal 31 dicembre 2010”, utilizzando le indicazioni metodologiche contenute nella circolare del Ministero del lavoro del 18 novembre 2010 (e nel manuale Inail sulla valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato del 2011 aggiornato nel 2017).
 
L
’inserimento dell’obbligo di valutazione del rischio da stress (con l’opinabile esclusione delle fattispecie di mobbing) collegato al lavoro, infatti, non è altro che l’inevitabile risultato di un percorso sociale volto a valorizzare sempre di più l’interazione tra le condizioni organizzativo-ambientali e con la salute e la dignità del lavoratore.
 
L’accordo europeo, integralmente recepito dall’accordo interconfederale 9 giugno 2008, definisce lo stress lavoro-correlato come “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative […]. Lo stress non è una malattia, ma una situazione prolungata di tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute”: in tale definizione, rientra, ovviamente a pieno titolo, anche la fattispecie del burnout.
 
Pur non essendo una malattia, lo stress funge da “agente patogeno” in quanto espressione di “disfunzioni dell’organizzazione del lavoro (costrittività organizzative)” relativamente all’insorgenza di malattie professionali inserite nella lista II – “malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità”, dell’elenco delle malattie professionali (tabellate) per le quali è obbligatoria la denuncia/segnalazione da parte dei medici, ai sensi dell’art. 139 del d.p.r. 1124/1965, all’Inail, all’ITL e all’ASL/ATS (l’ultimo aggiornamento dell’elenco di tali malattie è contenuto nel decreto del Ministero del lavoro del 10 giugno 2014).
 
Si tratta di due classificazioni di patologie psichiche e psicosomatiche: il disturbo dell’adattamento cronico (con ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta e/o della emotività, disturbi somatoformi) e il disturbo post-traumatico cronico da stress.
 
La denuncia delle malattie di cui sopra quale esito patologico di un processo stressogeno cronico correlato al lavoro, già da tempo esplicitamente possibile, riceverà significativa accelerazione in conseguenza dell’inclusione del burnout nell’11a revisione della classificazione internazionale delle malattie (ICD-11) da parte dell’OMS (organizzazione mondiale della sanità), datata 28 maggio 2019 (che entrerà però in vigore nel gennaio del 2022), quale “fenomeno professionale” (per la verità il burnout era già stato incluso nella revisione precedente, ICD-10, all’interno della stessa categoria ma con una definizione meno dettagliata).
 
Pur non essendo classificato come malattia o condizione di salute (condizione medica), il burnout è descritto nel capitolo: “Fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari”, all’interno del quale vengono incluse le cause per cui le persone si rivolgono al sistema sanitario.
 
In linea con la proposta ricostruzione, l’OMS definisce il burnout “una sindrome concettualizzata come conseguenza dello stress cronico sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo”.
 
Nella definizione offerta dall’OMS il burnout si pone, dunque, in modo esplicito, quale effetto del fallimento, dell’insuccesso nella gestione dello stress lavorativo, che, conseguentemente si è cronicizzato divenendo irreversibile.
 
Tale definizione, perfettamente in linea con la letteratura scientifica, ripropone la centralità del processo di gestione aziendale dello stress correlato al lavoro ossia, innanzitutto, la sua valutazione (preliminare e approfondita), poi la classificazione degli interventi di gestione del rischio stress in termini di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, da attuare in conseguenza, rispettivamente, dell’orientamento al contrasto delle fonti, della finalità di gestione e di impedimento delle situazioni, della focalizzazione sulla gestione negativa dello stress che si è già manifestato.
 
Anche in relazione all’individuazione degli elementi descrittivi del burnout l’OMS, seppur in modo sintetico, conferma la caratterizzazione proposta dalle ricerche epidemiologiche, evidenziando tre dimensioni principali: sentimenti di esaurimento o esaurimento energetico; maggiore distanza mentale dal proprio lavoro, così come sentimenti di negativismo o cinismo relativi al proprio lavoro; ridotta efficacia professionale.
 
Ricordato che, così come lo stress, anche il burnout si riferisce specificamente ai fenomeni che si manifestano nel contesto occupazionale e non dovrebbe essere applicato per tracciare esperienze di inaridimento emotivo, di esaurimento, di svuotamento, insorgenti fuori dal rapporto di lavoro in altri ambiti della vita, soprattutto familiare, a dispetto della comunicazione mediatica evidentemente attratta dalla connessione indiretta, fra stress lavorativo e malattia psicosociale, la novità è più di forma che di sostanza, più di indirizzo scientifico che di diretta ricaduta sul piano strettamente giuridico il quale, per ora, resta del tutto invariato.
 
Comunque sia, le fonti e le situazioni che possono determinare la sindrome da burnout aspettano solo di essere valutate prima e gestite poi: dignità e produttività del lavoro se ne gioveranno largamente e con esse la salute del singolo così come il benessere aziendale.

Clicca qui per leggere l’articolo in formato PDF

DL Crescita, si parte. Aziende, Pa e studi legali testano le novità – Italia Oggi-

Giulietta Bergamaschi, managing partner di Lexellent, è stata sentita da Antonio Ranalli relativamente alle novità introdotte dal Decreto Crescita in cui ha spiegato cos’è il contratto di espansione e quali sono le regole per le aziende per poter accedere a questo tipo di incentivo.

….

Sul fronte lavoro, il DL Crescita abroga i contratti di solidarietà, mentre, tra gli ammortizzatori sociali, introduce il contratto di espansione. «Il legislatore ha eliminato un ammortizzatore strutturale – i contratti di solidarietà espansiva – che era a disposizione di un ampia platea di datori di lavoro, per sostituirla con una misura in via sperimentale (anni 2019 e 2020), destinata a un più ristretto pubblico di imprese», spiega Giulietta Bergamaschi, managing partner di Lexellent. «Il contratto di espansione è destinato, infatti, a imprese con un organico superiore a 1.000 unità lavorative che vogliano intraprendere un processo finalizzato al progresso e allo sviluppo tecnologico e che per fare ciò abbiano necessità di razionalizzare le competenze professionali in organico, di assumere nuove professionalità e di fare a meno di altre. Le nuove assunzioni mirano al ricambio generazionale all’interno dell’organico aziendale, dando la possibilità di inserimento ai tanti giovani in cerca di lavoro. Visto il requisito in termini di organico aziendale, saranno però solo le grandi imprese, e non anche quelle medio-piccole che in Italia sono la maggior parte, a poter contare sugli incentivi messi a disposizione dal nuovo istituto per il caso in cui si affrontino percorsi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale. La misura prevede inoltre un piano di esodo per alcuni dipendenti che hanno maturato i requisiti richiesti (e cioè che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento del diritto alla pensione). Per l’accesso a tali benefici sono previsti limiti complessivi di spesa per cui, esauriti i fondi a disposizione da qui al 2021, le domande non saranno più prese in considerazione dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali».
Clicca qui per leggere l’articolo completo in formato PDF

Giudizio medico alla mansione, limitazioni e prescrizioni, disabilità, accomodamenti ragionevoli e licenziamento discriminatorio

Pubblichiamo di seguito l’articolo del Prof. Francesco Bacchini su Diritto24. Il contributo torna sul tema del diritto al lavoro dei disabili focalizzando sulla nuova disciplina antidiscriminatoria europea.
Come si è già avuto modo di osservare in questa sede (cfr. “L’inserimento lavorativo delle persone con disabilità“, pubblicato il 14.5.19), il tema dell’inclusione lavorativa dei portatori di disabilità condiziona il rapporto di lavoro nella sua interezza, informando la disciplina di tutte le sue fasi: instaurazione (tramite le previsioni della L. n. 68/1999 in materia di collocamento obbligatorio); esecuzione (mediante le garanzie, di cui infra, dirette all’effettivo mantenimento del soggetto disabile – anche per patologie sopravvenute – in azienda); scioglimento (per le tutele avverso il licenziamento discriminatorio intimato in ragione della sola disabilità).
La necessità di assicurare il pieno inserimento del lavoratore disabile nella comunità aziendale sta, anzitutto, alla base del nuovo Diritto antidiscriminatorio europeo in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
La Direttiva 2000/78 CE, infatti, ha imposto ai datori di lavoro l’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sempre che tali misure non implichino un onere finanziario sproporzionato.
Tale vincolo, dapprima ignorato dal legislatore italiano, è stato in seguito recepito (anche sulla scorta della condanna inflitta dalla Corte di giustizia nella C-312/11) tramite l’introduzione, nel corpo dell’art. 3 del D. Lgs. n. 216/2003, del c. 3-bis, che così recita: “al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori”.
Conseguentemente, alla luce della novella legislativa, il datore di lavoro è tenuto a fronteggiare la condizione di disabilità del dipendente adottando ogni accorgimento ragionevole di tipo organizzativo (ad es., la modificazione delle mansioni, la riduzione dell’orario o dei ritmi di lavoro, la trasformazione del contratto di lavoro da full-time in part-time) o di tipo tecnico (ad es., la dotazione di peculiari strumenti o attrezzature di lavoro, la sistemazione delle postazioni lavorative e l’abbattimento delle barriere architettoniche) che consentano, se non di superare, almeno di mitigare i limiti scaturenti dalla patologia inabilitante del lavoratore (si veda sull’argomento il punto 10 dell’Accordo Interconfederale Confindustria, CGIL, CISL, UIL del 12/12/2018 “Salute e sicurezza. Attuazione del patto per la fabbrica”).
Paradossalmente tale obbligo risulta maggiormente rilevante e impegnativo proprio a fronte della c.d. “disabilità sopravvenuta”, ossia nel caso in cui la “duratura” menomazione fisica, mentale, intellettuale o sensoriale del lavoratore sia intervenuta in costanza di rapporto ma non sia scaturita dall’inadempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi posti a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (in questo caso, ex art. 1, c. 7, L. n. 98/1999, il datore è tenuto a garantire la conservazione del posto di lavoro a chi sia divenuto disabile in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale).
La giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, infatti, in ossequio alla nozione europea di disabilità ricavabile dalla Direttiva 2000/78 CE e alla consolidata interpretazione della Corte di Giustizia Europea, ritiene che la malattia di lunga durata, non breve e transitoria (fra le tante, CGUE, 1 dicembre 2015, C-395/15) con attitudine ad incidere e ostacolare la vita professionale per un lungo periodo, integri, indipendentemente dal giudizio e dal grado di invalidità (per la computabilità nella quota di riserva ex l. n. 68/1999), la nozione di handicap ovvero di disabilità (Trib. Milano, sent. 11/02/2013 e Trib. Bologna ord. 18/06/2013) con ciò imponendo l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, circa la possibilità di adattamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del rerecesso (Cass. Civ. Sez. Lav., 19/3/2018, n. 6798), conseguendone che laddove il datore di lavoro non provi di averli adottati (o non dimostri l’impossibilità di metterli in atto perché economicamente non proporzionati alle dimensione e alle caratteristiche dell’impresa o non rispettosi delle condizioni di lavoro dei colleghi dell’invalido, Cass. Civ. Sez. Lav., 26/10/2018, n. 27243), il licenziamento irrogato a un lavoratore disabile per sopravvenuta inidoneità psico-fisica allo svolgimento delle mansioni, deve ritenersi ingiustificato per violazione del principio di non discriminazione (Trib. Pisa, 16/04/2015).
La questione della sopravvenuta malattia di lunga durata che, compromettendo in modo persistente lo stato psico-fisico, integra la condizione di disabilità, necessariamente intercetta la disciplina dell’obbligo di sorveglianza sanitaria (ovvero, ex art. 2, lett. m), l’insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa), di cui al T.U.S.L. e, segnatamente, quella del giudizio medico relativo alla mansione specifica di lavoro.
Trattasi di questione assai rilevante se solo si riflette sui, preoccupanti, dati 2018 dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane secondo i quali circa il 40% della popolazione, ossia 24 milioni di italiani, sono affetti da malattie croniche o multi-croniche (poco più della metà); secondo stime di proiezione nel 2028 nella classe di età 45-74 anni, quelli affetti: da ipertensione saranno 7 milioni, da artrosi/artrite 6 milioni, da osteoporosi più di 2 milioni e mezzo, da diabete 2 milioni, da cardiopatie 1 milione abbondante. Secondo altri dati meno recenti (PH Work – Promoting health work for people whit chronic illness, 2011-2013) quasi il 25% della popolazione in età lavorativa è affetta da almeno una malattia cronica, con proiezioni in deciso aumento rispetto agli over 55, ossia la fascia di popolazione economicamente attiva maggiormente soggetta al rischio di idoneità solo parziale o discontinua al lavoro.
Al cospetto di tale situazione, pertanto, il giudizio di inidoneità o di idoneità parziale con limitazioni e/o prescrizioni, permanente (e non temporaneo) alla mansione lavorativa (ricorribile, sia dal lavoratore che dal datore, entro 30 giorni dalla comunicazione, nei confronti della commissione medica dell’ASL) espresso ex art. 41, c. 5, T.U.S.L., dal medico competente in relazione a patologie croniche durature, finisce fatalmente per sancire lo stato di disabilità del prestatore e con esso l’insorgenza da parte del datore di lavoro, vincolato ex art. 42 ad attuare le misure sanitarie, dell’obbligo di adottare gli accomodamenti ragionevoli di cui all’art. 3, c. 3-bis, del D. Lgs. n. 216/2003.
L’adempimento di tale obbligo condiziona, infatti, il potere di recesso del datore di lavoro, il quale potrà legittimamente licenziare il lavoratore (per giustificato motivo oggettivo) a fronte della sopravvenuta inidoneità alla mansione per motivi di salute, solo dopo aver adottato tutti gli accomodamenti ragionevoli, oppure dopo aver dimostrato l’inesistenza o l’irragionevolezza, se esistenti, dei possibili adattamenti per comprovata sproporzione degli oneri finanziari necessari per realizzarli: pena la reintegrazione (e il risarcimento del danno) del lavoratore per licenziamento discriminatorio.
Se il giudizio, permanente, di idoneità parziale alla mansione con limitazioni (misure di restrizione, come ad es. l’indicazione di un orario lavorativo ridotto o del divieto di spostare oggetti superiori ad un determinato peso o, ancora, di compiere determinati movimenti) e prescrizioni (terapie e profilassi come ad es. l’indicazione di determinati strumenti o attrezzature di ausilio e supporto o particolari modalità di comportamento lavorativo, tipo pause o interruzioni), frequentemente utilizzata dai medici competenti, finisce sostanzialmente per individuare i ragionevoli accorgimenti, organizzativi e/o tecnici, che permettono alla persona disabile di conservare il posto di lavoro e non essere discriminata, quello di inidoneità impone, invece, di adibire, ove possibile, il lavoratore a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori (disponendone, se necessario vista l’obbligatorietà della misura, il trasferimento da un’unità produttiva ad un’altra per evidenti ragioni organizzative), garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
Siffatta ultima previsione, contenuta all’art. 42 T.U.S.L., costituiva, come noto, una delle principali deroghe al divieto, imposto dall’art. 2103 c.c. nella sua previgente formulazione, di trasferimento del lavoratore a mansioni inferiori, senonché, la riscrittura del dato codicistico disposta dal c.d. “Jobs act” (D. Lgs. 81/2015) ha determinato il venir meno della preclusione in parola.
Il “nuovo” art. 2103 c.c., infatti, contempla oggi sia il trasferimento unilaterale a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore (purché rientranti nella stessa categoria legale), sia (al c. 6) il c.d. “patto di dequalificazione”: accordo, quest’ultimo, da raggiungersi “in sede protetta”, finalizzato a sancire il mutamento peggiorativo delle mansioni e/o della categoria di lavoro, nonché del relativo trattamento retributivo, “nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”.
Alla luce di quanto sopra, occorre, quindi, delineare i rapporti intercorrenti tra la previsione di cui all’art. 42 T.U.S.L. e l’art. 2103 c.c., per comprendere quale norma, tra le due, sia destinata a prevalere qualora il caso concreto sia sussumibile in entrambe le fattispecie astratte.
In altri termini, occorre chiedersi se, una volta formulato il giudizio, permanente, di inidoneità o di idoneità parziale con accomodamenti “irragionevoli” alla specifica mansione da parte del medico competente, debba necessariamente applicarsi la disciplina dell’art. 42 (sicché al lavoratore spetterebbe il trattamento economico previsto per le mansioni di provenienza), ovvero possa procedersi ad un accordo di dequalificazione ex art. 2103, c. 6, c.c. (con conseguente riduzione della retribuzione).
Ebbene, ai fini della questione appena esposta, sembrerebbe invocabile il principio di specialità (per cui lex specialis derogat generali), quale criterio utile alla soluzione delle antinomie normative; principio che condurrebbe all’applicazione della norma speciale (in concreto, quella prevista dal T.U.S.L.) a scapito di quella generale (codicistica), anche se, in un ottica di rinunzia (con transazione) ex art. 2113 c.c., conciliata in sede protetta, pare, nel caso concreto, del tutto ammissibile anche il “patto di dequalificazione” ex art. 2103, c. 6, c.c.
L’articolo completo disponibile anche qui.

L’inserimento nel mondo del lavoro delle persone affette da disabilità – La L. 23 marzo 1999, N. 68 a 20 anni dalla sua emanazione

Pubblichiamo di seguito l’articolo a cura di Giulietta Bergamaschi e Alberto Buson su Diritto24. Il contributo analizza lo stato dell’arte a 20 anni dall’emanazione della Legge 23 marzo 1999 n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.
Con la Legge 23 marzo 1999, n. 68 recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili“, si è cercato di superare un sistema normativo, fino a quel momento, a vocazione puramente assistenziale, ponendo le basi per la costruzione di un modello di piena (?) inclusione sociale.
Finalità della legge è, infatti, quella di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, attraverso mirati servizi di sostegno e di collocamento (come, ad esempio, il c.d. “Collocamento mirato” di cui all’art. 2).
Lo scopo che si prefigge il legislatore è, dunque, quello di favorire, anche attraverso la previsione di assunzioni obbligatorie, l’inserimento all’interno delle aziende di persone con disabilità, le quali altrimenti rischierebbero di essere escluse dal mondo del lavoro e di rimanere emarginate dalla nostra stessa società.
Passando ad analizzare i contenuti della norma, si può osservare come all’art. 1, comma 1, vengono individuate le diverse categorie di soggetti interessati all’applicazione delle disposizioni normative in essa contenute.
Per tali persone, così come identificate dall’art. 1, il legislatore prevede, all’art. 2, il c.d. “Collocamento mirato”, intendendo per tale “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”.
Il Collocamento mirato si concretizza poi attraverso l’istituto delle assunzioni obbligatorie, di cui al successivo art. 3 della legge in esame.
Con tale disposizione normativa, la Legge 68/99 ha previsto per i datori di lavoro, sia privati che pubblici, l’obbligo di assumere i lavoratori appartenenti alle categorie di cui all’art. 1, nella misura che segue:
a) 7% dei lavoratori occupati, se la società occupa più di 50 dipendenti;
b) 2 lavoratori, se la società occupa da 36 a 50 dipendenti;
c) 1 lavoratore soltanto, se la società occupa da 15 a 35 dipendenti.
Al riguardo, si deve precisare che la determinazione del numero di persone affette da disabilità da assumere obbligatoriamente è dato dal computo, tra gli stessi dipendenti, di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato (art. 4, L. 68/99). Tra l’altro dal 1° gennaio 2018 è scattato l’ulteriore obbligo per le imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti di assumere un lavoratore disabile anche se non vi sono state nuove assunzioni.
Il legislatore, oltre ad istituire servizi mirati di collocamento (art. 6) e disciplinare le modalità delle assunzioni obbligatorie (art. 7), ha poi previsto, nel rispetto dell’art. 33 del Regolamento UE n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, specifici incentivi a favore di quei datori di lavoro che assumono persone affette da disabilità con contratti a tempo indeterminato.
Allo scopo, dunque, di agevolare ulteriormente l’inserimento nel mondo del lavoro di tali persone, l’art. 13 ha concesso una serie di incentivi economici, da calcolarsi sulla retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, che variano in funzione del grado di riduzione della capacità lavorativa.
Dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 151/2015, gli incentivi di cui possono beneficiare i datori di lavoro che assumono lavoratori disabili sono i seguenti:
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% –› 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 36 mesi;
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disabili con riduzione della capacità lavorativa tra il 67% e il 79% –› 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 36 mesi;
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori con disabilità psichica ed intellettiva con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% –› 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 60 mesi;
Viene, inoltre, riconosciuta un’agevolazione anche per le assunzioni a tempo determinato di durata non inferiore a 12 mesi di persone affette da disabilità psichica ed intellettiva con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%. In tal caso l’incentivo spetta per tutta la durata del contratto.
Con la Legge di Bilancio 2019, sono state inoltre previste nuove risorse finanziarie destinate a tali incentivi (la L. 30 dicembre 2018, n. 145 con l’art. 1, comma 520, ha disposto infatti che “La dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili di cui all’art. 13, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68, è incrementata di 10 milioni di euro per l’anno 2019”).
Dopo una rapida panoramica degli istituti più importanti disciplinati dalla legge in commento, appare doveroso domandarsi se a distanza di 20 anni dalla sua entrata in vigore l’obiettivo di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone affette da disabilità nel mondo del lavoro sia stato effettivamente raggiunto dal legislatore italiano.
In tale quadro, occorre anche considerare che il D.Lgs. n. 151/2015 aveva previsto l’emanazione di uno o più decreti legislativi (da adottarsi entro 180 giorni) con i quali definire specifiche linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità al fine di favorirne l’inserimento lavorativo sulla base di determinati principi quali: i) la promozione di una rete integrata con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio e con l’INAIL; ii) la promozione di accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari e con le altre organizzazioni del terzo settore; iii) l’individuazione di modalità di valutazione bio-psico-sociale della disabilità e la definizione dei criteri di predisposizione dei progetti di inserimento lavorativo che tengano conto delle barriere e dei facilitatori ambientali rilevati; iv) l’analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro da assegnare, anche con riferimento agli accomodamenti ragionevoli che il datore di lavoro è tenuto ad adottare; v) la promozione dell’istituzione di un responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro, con compiti di predisposizione di progetti personalizzati e di risoluzione dei problemi legati alle condizioni di lavoro (c.d. figura del “Disability manager”); vi) l’individuazione di buone pratiche di inclusione lavorativa.
Ebbene, nonostante la volontà di procedere ad una riforma del collocamento mirato, ad oggi, non sono stati ancora emanati i decreti legislativi attuativi.
Sebbene dai dati dell’Ottava Relazione al Parlamento sul diritto al lavoro delle persone disabili relativa al biennio 2014-2015, presentata dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali il 28 febbraio 2018, emerga rispetto al passato un aumento del numero degli avviamenti effettivi al lavoro con una crescita,fra i contratti stipulati, della quota di quelli a tempo indeterminato, il tasso di occupazione delle persone affette da disabilità continua a rimanere di gran lunga inferiore rispetto a quello dei lavoratori senza disabilità.
Ad oggi, quindi, nonostante la legge preveda a favore delle imprese anche degli importanti incentivi per le assunzioni, la mancata attuazione della riforma del collocamento mirato fa pensare che l’obiettivo prefissato dalla Legge n. 68/99, a distanza di 20 anni, non sia stato affatto raggiunto.
La piena realizzazione degli scopi prefigurati dal legislatore del 1999, dunque, non potrà che passare da un sistema normativo efficacemente e concretamente volto a garantire un utile inserimento del disabile nell’organizzazione aziendale attraverso la scelta del posto di lavoro più adatto alle caratteristiche specifiche del soggetto protetto. Soltanto in tale modo si potrà neutralizzare il più possibile l’handicap e valorizzare completamente la professionalità di tali persone, al pari di ogni altro lavoratore presente in azienda.
L’articolo è disponibile anche qui.

Aumento delle sanzioni in materia di lavoro, salute e sicurezza: i chiarimenti dell’Inl

Dall’Ispettorato nazionale del lavoro le prime istruzioni sull’aumento delle sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale, introdotto dalla Legge di Bilancio n. 145/2018.
Nell’ambito di un significativo inasprimento delle sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale, espressione di un “recondito” sfavore nei confronti del  mondo imprenditoriale, l’art. 1, com 445, lett. d), della L. n. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019), ha previsto la maggiorazione degli importi sanzionatori di quelle violazioni che, evidentemente più di altre, incidono sulla tutela degli interessi, della dignità e dell’integrità dei lavoratori, su tutte quelle in materia di “lavoro nero”, di somministrazione irregolare di lavoro e appalti non genuini, di inosservanza dei precetti sull’orario di lavoro, sulle ferie annuali e sul riposo giornaliero e, in particolare, di violazione delle disposizione di salute e sicurezza del lavoro.
L’articolo completo di Francesco Bacchini è disponibile su Guida al Lavoro (n. 4 / 25 gennaio 2019) – Il Sole 24 Ore previa registrazione.
 

Agente in esclusiva, monomandatario, regime ordinario: di che cosa parliamo?

L’avvocato Alessia Gagliano ha scritto per la rubrica “Storie legali” un articolo in cui spiega quali sono i limiti e le modalità di svolgimento dell’attività di agente di commercio
Clicca qui per leggere l’articolo

“Decreto Dignità? Chi ci rimette è la nostra credibilità”: l’intervista di Giulietta Bergamaschi su Economy Mag

Alla luce del Decreto Dignità appena varato, le scelte del nuovo Governo in tema di lavoro sembrano rendere più incerte le regole in cui operano le imprese italiane.
Giulietta Bergamaschi, Managing Partner di Lexellent, boccia senza mezze misure il primo provvedimento del governo.
Leggi l’articolo pubblicato su Economy Mag, disponibile anche in formato PDF: Economy Mag.

“Aspettando il Forum Sicurezza e Salute 2019”, il 9 maggio 2018 a Torino

Il Prof. Francesco Bacchini, responsabile del Dipartimento Sicurezza del lavoro di Lexellent, sarà tra i relatori del convegno dal titolo “Aspettando il Forum Sicurezza e Salute 2019 – Gli attori della sicurezza a confronto”, a Torino, il 9 maggio 2018.
Per informazioni ed iscrizioni: https://www.fondazioneperlarchitettura.it/corso/aspettando-il-forum-sicurezza/
20180509_AspettandoForumSicurezzaSalute2019_Locandina

Formazione vera. Non da computer

La sintesi.
Il docente esclude il fattore casualità alla base degli infortuni.
“Le ragioni sono altre”.
di Luca Balzarotti.
Milano
“Dentro un evento tragico come quello di Treviglio ci sono tanti ingredienti. L’ultimo è il caso”.
Francesco Bacchini è professore di Diritto del Lavoro alla Scuola di Economia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Non si iscrive al partito dei fatalisti?
“Sono situazioni che non si riescono a governare per diverse ragioni e che determinano incidenti. Troppo spesso mortali. Ma non sono determinati dal caso”.
Che idea si è fatto dell’incidente di Treviglio?
“E’ un caso complicato, che necessita di ulteriori approfondimenti da parte degli inquirenti per capire cosa ha determinato il pericolo all’origine dell’esplosione. Posso ipotizzare che l’apertura dei boccaporti abbia fatto passare ossigeno in un’atmosfera satura di gas. La magistratura dovrà verificare se la procedura è stata effettuata correttamente. Se, e dove, c’è stato un errore umano e quali procedure erano indicate nel piano di emergenza dell’azienda”. Al di là di questo episodio, ritiene che i lavoratori siano più preparati ad affrontare le emergenze?
“Purtroppo devo constatare ancora una certa superficialità nella pianificazione delle emergenze”.
Colpa della legge?
“La legge è precisa e dettagliata. Nel 2011 un Decreto del presidente della repubblica ha disciplinato ulteriormente le norme di sicurezza per gli ambienti di lavoro confinati o sospetti di inquinamento come cunicoli, gallerie e silos. C’è poi la parte del Testo unico che prevede le regole per la protezione da atmosfere esplosive. Questo quadro normativo paradossalmente ha diffuso un’ansia da adempimenti formali, a discapito di una formazione e un addestramento sul campo adeguati alle mansioni e agli strumenti di lavoro realmente utilizzati”.
Il risultato è la formazione da brochure o online?
“Formazione da brochure è una sintesi che mi sembra appropriata. Per quanto riguarda l’e-learning, vi sono norme di carattere generale che possano essere apprese anche tramite percorsi online. Ma esistono regole da insegnare sul campo. Invece la formazione è confinata ai ritagli di tempo”.
La presenza di aziende nei centri abitati la preoccupa? Gli operai di Treviglio sono stati allertati dai cattivi odori avvertiti dagli abitanti…
“Nella Bergamasca e in Brianza, come in tante altre zone, troviamo anche grandi aziende all’interno dei centri abitati, soprattutto quelli piccoli. In alcuni casi, sono parte della storia di quei Comuni. Ci sono aziende a rischio di incidente rilevante che devono essere lontano dal resto della collettività per evitare che le conseguenze di eventuali emergenze non si riverberino sulla popolazione. Ma non è il caso di Treviglio.”
infortuni sul lavoro

La ciclista sfortunata: paralleli nel diritto del lavoro.

La recente vicenda della ciclista che ha mostrato il dito (“flipped the bird”) al presidente Trump, ha avuto interessanti sviluppi sul piano lavorativo. La ciclista infatti è stata licenziata dal datore di lavoro in base alla considerazione che aveva pubblicato oscenità sui social media e ciò contravvenendo alle precise policy aziendali in vigore, il cui controllo, ironia della sorte, rientrava fra i compiti della lavoratrice.

Inoltre, ha sostenuto l’azienda, la foto avrebbe potuto mettere a repentaglio la propria reputazione, nonostante non vi fosse alcun elemento, sul profilo della lavoratrice, che potesse creare una correlazione con il datore di lavoro. Il cui nome, come prevedibile, è uscito sulle prime pagine di tutti i giornali solo dopo, e a causa, del licenziamento.

La questione è ovviamente molto interessante e potrebbe tranquillamente essere esportata nel nostro ordinamento: sarebbe legittimo un licenziamento di questo tipo in Italia? La risposta sarebbe molto probabilmente negativa a meno che l’azienda non abbia una chiara policy sull’uso dei social media che vieti comportamenti di questo tipo, ma in ogni caso la mancanza di correlazione fra dipendente ed azienda potrebbe comunque renderla inutile. Inoltre il lavoratore potrebbe invocare il diritto di critica e di espressione delle proprie idee politiche, in ciò ben supportato dalla Costituzione.

E’ interessante notare come il principio della libertà di opinione non costituisca una protezione negli Usa, a differenza di quello che comunemente si crede.

Infatti il primo emendamento della Costituzione americana («Il Congresso non promulgherà leggi …che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea ….») esclude la punibilità per aver espresso la propria opinione, ma la garanzia non si estende al settore privato. Con la conseguenza che un imprenditore può licenziare quale reazione a espressioni del pensiero non gradite. Il principio per cui “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (art 21 Costituzione Italiana) non si applica quindi nelle aziende del paese più libero del mondo.

Alternativamente il lavoratore potrebbe sostenere che il gesto, certo non educato, non costituisce un’oscenità che possa portare al licenziamento, in un contesto, come quello italiano, dove vige una considerevole libertà di linguaggio. Ciò specie laddove comportamenti o linguaggi simili avessero trovato nel passato una tacita approvazione o non fossero stati contrastati dall’imprenditore, ad esempio con provvedimenti disciplinari o altre idonee misure.

E si tratta proprio di una delle obiezioni sollevate dalla sfortunata ciclista: in passato un manager delle società aveva pubblicato espressioni come “fuxx…bastxxx” senza per questo essere licenziato, nonostante dal profilo Facebook fosse possibile identificarlo come dipendente dell’azienda.

A Ms Briskman resta però aperta anche che la strada della discriminazione: la policy che ha portato al suo licenziamento può essere considerata equa da un punto di vista dell’etnia, della religione, del genere?

E in ogni caso, ne è stata data un’applicazione neutra e non discriminatoria? Se la risposta fosse negativa il licenziamento sarebbe illegittimo con conseguente liquidazione dei danni a favore della lavoratrice.

The flawed labour logic of Trump’s reshoring agenda.

L’avv. Sergio Barozzi mette in luce le implicazioni e i limiti dei tentativi del Presidente Trump di riportare posti di lavoro nei confini nazionali, il cosiddetto reshoring.
Viene affrontato il problema dei posti di lavoro che diminuiscono o che vengono trasferiti in diverse aree geografiche dove i costi di produzione sono inferiori. Serve un approccio diverso capace di prendere in considerazione diversi fattori.
Per leggere l’intero l’articolo, in inglese.

Abilitiamo la disabilità.

Questa mattina, 28 febbraio 2017, a Palazzo Marino, Sala Alessi, nell’ambito del 6° Forum delle Politiche Sociali organizzato dal Comune di Milano, è stato presentato da Andrea Orlandini il Progetto “Abilitiamo la Disabilità. Per una cultura dell’inclusione nel mondo del lavoro”, promosso da AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) in collaborazione con altre associazioni e aziende. Tale iniziativa si prefigge il fine di “trasformare l’integrazione dei disabili da problema a opportunità”, non solo per i singoli ma anche per le aziende, favorendo una politica tesa all’occupazione delle persone con disabilità attraverso percorsi di inserimento mirato e di integrazione. Quel che è emerso nel corso dell’incontro, al quale hanno partecipato diversi esponenti della realtà milanese, è che la “diversità”, riconosciuta e rispettata, stimola sempre il confronto e costituisce una importante occasione di miglioramento.

DISCRIMINAZIONE SUL LAVORO E SANZIONI.

Con il D.LGS 114.2006 n 198 è stato rivisto l’apparato sanzionatorio per i casi di discriminazione nei luoghi di lavoro.
La caratteristica fondamentale della riforma è che la sanzione penale è ora riservata alla sola ipotesi di inottemperanza agli ordini giudiziali di rimozione delle discriminazioni accertate in sede giudiziale. Operazione che può avvenire anche attraverso la introduzione di un piano da concordare con le OO.SS. o con la consigliera di parità.
La pena oggi prevista è quella dell’arresto fino a 6 mesi o dell’ammenda fino a 50.000 euro, ma qualora successivamente a prescrizione il datore di lavoro poi ottemperi, la sanzione penale si trasforma in una sanzione amministrativa pari ad € 12.500.
Il resto delle sanzioni sono oggi tutte depenalizzate e quindi sanzioni amministrative.
In caso di discriminazione ( diretta o indiretta) nell’accesso al lavoro la sanzione è da 5.000 a 10.000 euro per ogni violazione (non per ogni lavoratore) . Giova sottolineare che l’attività lavorativa presa in considerazione è tanto quella subordinata quanto quella autonoma e si può verificare anche per il tramite dei soggetti di cui l’imprenditore si avvale per la selezione del personale.
Ulteriore ed analoga sanzione è prevista per la discriminazione nell’orientamento, formazione e aggiornamento, che può verificarsi sia per quanto concerne l’accesso, sia per quanto concerne i contenti stessi dei programmi.
Diversa retribuzione o classificazione dei lavoratori non giustificata da contenuti tecnici e per lavoratori e lavoratrici che ricoprono le stesse mansioni è ugualmente colpita con la identica pena, ma ciò vale anche per eventuali ingiustificate differenze per quel che riguarda l’assegnazione di mansioni, qualifiche, e soprattutto progressioni di carriera. Più rara, ma possibile, e trattata identicamente  la discriminazione in materia di prestazioni previdenziali, che si configura per esempio con l’anticipato pensionamento della lavoratrice, o con la mancata erogazione degli assegni familiari.
Si ricorda ancora che permane l’obbligo, per le aziende che occupano oltre 100 dipendenti, di inviare il report biennale, redatto in conformità alle istruzioni rilasciate dal Ministero del lavoro, che contiene le informazioni essenziali con riferimento alla situazione del personale alla sua mobilità e retribuzione .
La trasformazione delle sanzioni da penali ad amministrative ha comportato non già un alleggerimento, ma piuttosto ad un loro sostanziale inasprimento. Oggi infatti non esiste più la ciambella di salvataggio della prescrizione e la procedura per l’applicazione diviene più semplice, non dovendo più passare dal vaglio dell’autorità giudiziaria.
Per il testo completo del decreto testo Dlgs 11-04-2006 n. 198

GIOVANI E LAVORO: LE NOVITÀ NORMATIVE PIÙ RECENTI, A PARTIRE DAL JOBS ACT.

A seguito del corso tenuto dallo studio Lexellent unitamente a Sodalitas, è possibile scaricare il materiale presentato:
Giulietta Bergamaschi, Partner Lexellent e Alessandra Rovescalli, Associate Lexellent
Le tipologie contrattuali
 

Posted in Senza categoriaTagged

Riflessioni sul Global Gender Gap Report 2015.

Secondo i risultati del Global Gender Gap Report 2015, pubblicati dal World Economic Forum il 19 novembre, fatta eccezione per gli anni 2010 e 2012, quest’anno l’Italia ha raggiunto il suo miglior risultato per quanto riguarda il “Global Index”, posizionandosi al 41° posto su 145 Paesi (nel 2014 era al 69° posto). Colpisce il fatto che la scalata verso le prime 50 posizioni, negli ultimi tre anni, sia stata guidata dall’incremento della presenza femminile nei luoghi del potere politico (“Political Empowerment”). Solo nel 2014 l’Italia ha infatti conquistato ben 28 posizioni grazie all’incremento della percentuale di donne in Parlamento e tra i Ministri.
L’Italia è però tra i tre Paesi meno performanti della regione, insieme a Malta e Turchia, dal punto di vista della partecipazione femminile nel mondo economico e delle opportunità economiche per le donne (“Economic Participation and Opportunity”).
Ancora più allarmanti i dati riguardanti il mondo del lavoro, dove l’Italia si colloca al 91° posto per occupazione femminile ed al 109° per differenza retributiva tra uomini e donne a parità di mansioni svolte.
Analizzando questi ultimi risultati, è interessante notare come il 31,1% delle donne occupate svolga attività in part time, mentre solo il 7,1% degli uomini occupati svolga l’attività lavorativa con la stessa modalità di orario di lavoro.
Con riferimento al fatto che le donne spesso lavorino in modalità part time, anziché full time come la maggior parte degli uomini, i risultati del McKinsey Global Institute ribadiscono che, in Europa occidentale, si potrebbe raggiungere il 50% del potenziale economico di crescita del PIL soltanto colmando il divario di ore lavorate da parte delle donne tra part time e full time.
Infatti, in Olanda, dove nel 2000 il Governo promulgò il “Work and Care Act” per incentivare il part time lungo sia per le donne che per gli uomini, i risultati del Global Index collocano il Paese tra i migliori 13.

promozione dell’occupabilità di disabili e giovani alla luce del jobs act.

Diritto 24 / Link all’articolo

Legge 78 del 16 maggio 2014: la conversione in legge del decreto lavoro.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 114 del 19 maggio 2014, è stato pubblicato il testo della legge n. 78 del 16 maggio 2014 intitolata: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”, entrata in vigore il 20 maggio.
Per il testo completo della legge clicca al seguente link: Legge78_2014

Posted in Senza categoria

Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36.

→ PDF

Posted in Senza categoria

Confronting Labour Reform in Italy.

A recent court case in Italy in which Lexellent Partner Giulietta Bergamaschi defended a pharmaceutical company (against claims by a former employee that their dismissal was unjust and that they should be reinstated) may lead to a change in the Italian Fornero Labour Reform which was introduced only 18 months ago.
→ PDF

L’evoluzione nella gestione del Personale.

LO STATO DELL’ARTE NEL DIRITTO DEL LAVORO

L’evoluzione nella gestione del Personale

Potere disciplinare
Nel contesto del più ampio potere direttivo: rappresenta la facoltà riconosciuta al datore di lavoro – nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato – di irrogare sanzioni disciplinari al lavoratore
che venga meno ai propri obblighi contrattuali