Riders e platform workers. La tutela (incompiuta) del lavoro digitale

Pubblichiamo di seguito l’editoriale del Prof. Francesco Bacchini per IPSOA – Quotidiano, che torna sul tema dei lavoratori delle piattaforme digitali, riders e consimili, e sull’opportunità di una decretazione d’urgenza.

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Un decreto d’urgenza per i riders? Che sono circa il 10%, 10.000 quelli che lavorano per le piattaforme di food delivery, del decisamente più vasto fenomeno della gig economy digitale, lavori on demand che si incontrano on-line attraverso apposite piattaforme digitali? Numeri significativi, ma certo non al punto, soprattutto per quanto riguarda i rider, da necessitare una decretazione d’urgenza, per giunta asistematica e incompleta. Infatti, benché riferito universalmente alla tutela del lavoro tramite piattaforma (anche) digitale, il campo di applicazione delle tutele lavoristiche è limitato ai soli rider che consegnano beni in città, con buona pace di tutti gli altri (molti) lavoratori che forniscono beni e servizi tramite piattaforme non solo digitali. E che dire della retribuzione?

L’ennesimo decreto legge in materia di lavoro. Ma davvero siamo sempre di fronte a casi straordinari di necessità e di urgenza che consentono al Governo di emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria anche senza delegazione delle Camere?
Per quanto riguarda il D.L. n. 101/2019, rubricato “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”, se necessità e urgenza possono ravvisarsi in relazione alla risoluzione delle crisi aziendali (ILVA in particolare), così non pare per le opinabili e controverse disposizioni in materia di lavoro tramite piattaforme digitali o, più precisamente e, purtroppo, limitatamente, di lavoro digitalmente intermediato, consistente “in attività di consegna di beni per conto altrui in ambito urbano”(i riders), infilate alla bell’e meglio nel D.Lgs. n. 81/2015.
 
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Infatti, secondo una recente indagine (Fondazione Rodolfo Debenedetti i cui risultati preliminari sono riportati nel rapporto INPS 2018) i rider sono circa il 10%, 10.000 quelli che lavorano per le piattaforme di food delivery, del decisamente più vasto fenomeno della gig economy digitale (lavori on demand che si incontrano on-line attraverso apposite piattaforme digitali) che vede occupati, in maggioranza in modo intermittente di breve durata e per breve tempo, circa 700.000 lavoratori.
Numeri significativi in generale, ma certo non al punto, soprattutto per quanto riguarda i rider, da necessitare una decretazione d’urgenza, per giunta asistematica e incompleta.
L’analisi dell’intervento normativo teso a tutelare il lavoro tramite piattaforma digitale deve essere condotta su due istituti che il legislatore consapevolmente distingue, ma che, forse suo malgrado, risultano inevitabilmente connessi: il primo è rappresentato dalla collaborazione organizzata dal committente della quale si pretende di precisare (inutilmente) l’ambito di operatività delle “disposizioni” precettive, estendendolo espressamente ai platform worker tutti, digitali e non; il secondo è l’introduzione di una ulteriore nuova disciplina della prestazione di lavoro non subordinato e, quindi, autonomo che, apparentemente, sancisce tutele minime per tutti i platform workers anche se, in concreto, si limita a prevederle solo per i rider.
 
Ma andiamo con ordine, per quanto possibile, cercando di trovare, sempre che ve ne siano, i tratti sistematici del provvedimento normativo.
La scelta del Governo è stata, innanzitutto, quella di tentare di disciplinare la materia rifugiandosi, forzandone la mano in termini di fattispecie, nella già travagliata e caotica interpretazione applicativa dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015.
E’ possibile ritenere che tale scelta sia stata indotta dalla sentenza della Corte d’Appello di Torino relativa alla vicenda dei riders di Foodora, secondo la quale, diversamente dall’interpretazione fatta propria dal giudice di prime cure, ravvedendo nella richiamata disposizione il tertium genus fra subordinazione (etero diretta ed etero organizzata) e collaborazione continuativa consensualmente coordinata fra le parti (auto organizzata e diretta), i ciclofattorini devono essere qualificati collaboratori organizzati dal committente (non etero diretti però etero organizzati) reputandosi la fissazione della turnistica, delle zone di partenza, degli indirizzi di consegna da parte della piattaforma, condizione idonea a provare l’organizzazione impositiva altrui, da cui deriva, nei loro confronti, l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, compatibile, aggiungiamo noi, con l’attività comunque autonoma, siccome effettivamente prestata nella vigenza del rapporto contrattuale.
 
Prescindendo dalla condivisibilità o meno dell’arresto giurisprudenziale, che si fonda sulla controversa e opinabile distinzione fra etero direzione e etero organizzazione quali condizioni genetiche distinte della subordinazione lavorativa e, in relazione alla seconda, sulla ritenuta sufficienza a configurare, nella sola unilaterale (ammesso e non concesso che, nel caso di specie, lo fosse) determinazione del tempo e del luogo della prestazione da parte del committente (svalorizzando quel “anche” il quale parrebbe ricondurla all’interno della più ampia organizzazione delle modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro che tanto ha fatto discutere) il presupposto per l’applicazione alla collaborazione autonoma della disciplina della subordinazione, l’aggiunta all’art. 2, comma 1, della previsione secondo la quale le disposizioni in esso contenute “si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”, risulta, in ogni caso, del tutto inutile.
 
Inutile in quanto, non potendo in alcun modo attribuire al provvedimento natura di presunzione legale riguardo all’etero organizzazione del lavoro tramite piattaforma (anche) digitale (come, invece, parrebbe ricavarsi dalla lettura della definizione di piattaforma digitale di cui al comma 2, dell’art. 47-bis contenuto nel nuovo Capo V-bis e sembrerebbe adombrarsi nella relazione tecnica al D.L. n. 101/2019), né relativa (iuris tantum) né, men che meno, assoluta (iuris et de iure), sarà sempre e comunque il giudice a valutare la sussistenza, nel caso di specie, delle modalità esecutive della prestazione di lavoro unilateralmente determinate dal committente anche (ma non solo?) con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro e, conseguentemente, ad applicare ai collaboratori etero organizzati dalle piattaforme, digitali e non, gli istituti tipici del lavoro subordinato: retribuzione diretta, indiretta e differita da CCNL, contribuzione previdenziale, ferie, riposi, malattia, tutela della genitorialità, tutela di sicurezza e salute e assicurazione INAIL, solo per citare quelli compatibili e già riconosciuti dalla giurisprudenza di merito anche prima del 5 settembre, data di pubblicazione del D.L. in G.U. e di entrata in vigore della novella.
Ma i dubbi sulla “sensatezza” del disegno normativo contenuto nel D.L. n. 101/2019 nella parte relativa alla tutela del lavoro tramite piattaforma anche digitale aumentano non poco alla luce del nuovo Capo V-bis del D.Lgs. n. 81/2015, specialmente se interpretato in combinazione con la modifica dell’art. 2, comma 1, del medesimo decreto, della quale si è appena trattato.
 
Infatti, benché riferito universalmente alla tutela di tale modalità di prestazione del lavoro, i destinatari delle tutele in realtà sono esclusivamente i prestatori occupati con rapporti di lavoro non subordinato impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui (soltanto) in ambito urbano che utilizzano biciclette (velocipedi) o motorini a due, tre o quattro ruote (anche elettrici) che non superino i 50 cm cubici e la velocità di 50 km/h (veicoli a motore di cui all’art. 47, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 285/1992).
Il campo di applicazione soggettivo delle tutele lavoristiche è, quindi, limitato ai soli riders che consegnano beni in città, con buona pace di tutti gli altri (molti) lavoratori che forniscono beni e servizi tramite piattaforme non solo digitali.
Pure la definizione di piattaforma digitale (quella di piattaforma non digitale, implicitamente evocata dall’uso della congiunzione “anche”, non è stata fornita, ma la relazione tecnica al decreto la esemplifica ricorrendo ai sistemi di smistamento di chiamate telefoniche, vale a dire il centralino del radiotaxi) risulta, di conseguenza, assai parziale e marginale e ciò in quanto limitata ai programmi e alle procedure informatiche di ogni impresa che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, organizza (unicamente) le attività di consegna di beni, fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione.
 
Ai riders, espressamente qualificati lavoratori non subordinati, ma implicitamente organizzati dal committente-piattaforma digitale (e non), si applicano, dunque, alcune tutele minime e, segnatamente: quella retributiva, quella dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e quella in materia di sicurezza e salute del lavoro (sancendosi, par di capire, l’applicabilità nei loro confronti di tutti gli adempimenti di cui al D.Lgs. n. 81/2008 a cura e spese dell’impresa che si avvale della piattaforma anche digitale, la quale assume, quanto meno in chiave antinfortunistica, la posizione di garanzia del datore di lavoro).
 
Se poi i riders risulteranno iscritti alla gestione separata INPS (e non ad altre forme previdenziali obbligatorie) e rispetteranno i requisiti di cui all’art. 2-bis del D.Lgs. n. 81/2015, introdotto dal D.L. n. 101/2019, ad essi sarà riconosciuta: l’indennità giornaliera di malattia, l’indennità di degenza ospedaliera, il congedo di maternità e il congedo parentale.
Essendo stata al centro del dibattito politico e giuridico, la questione della determinazione della retribuzione dei riders merita un sintetico approfondimento, segnalando, fin da subito, che il tanto sbandierato divieto di cottimo a favore di una paga oraria (previsto ad esempio dalla legge della Regione Lazio n. 4 del 2019) è stato compromesso dalla fissazione di una specie di cottimo misto, ossia: una parte di corrispettivo è legato alla consegna, ma non deve essere prevalente, e un’altra parte è riconosciuta in base alle ore di lavoro, ma ciò a patto che il rider accetti almeno una chiamata per ciascuna ora di disponibilità al lavoro (previsione problematica nella misura in cui non risultasse concretamente possibile, per il gran numero di riders disponili, rispondere ad almeno una chiamata all’ora). Sulla base di questa regolazione rigida del corrispettivo, il Governo rinvia alla contrattazione collettiva (da intendersi tanto di primo come di secondo livello) che potrà definire schemi di retribuzione modulare e incentivante che tenga conto delle modalità di esecuzione e dei diversi modelli di organizzazione del servizio. Tale rinvio, di difficile attuazione, visto che non esiste una organizzazione sindacale datoriale delle imprese che si avvalgono di piattaforme e considerato che, anche a livello aziendale o territoriale, è improbabile la costituzione di rappresentanze sindacali dei lavoratori dotate di maggiore rappresentatività comparata sul piano nazionale (le quali, peraltro, hanno costruito, nel CCNL logistica e trasporto merci, la figura del rider sulla subordinazione intermittente e non sulla collaborazione autonoma), finirà per restare lettera morta a tutto vantaggio della regolazione datoriale di cui al contratto di individuale di lavoro.
 
Prescindendo dalla reale effettività delle tutele (a fronte di diffusi episodi di illegalità, alcuni dei quali decisamente gravi come il presunto “caporalato” sul quale indaga la Procura della Repubblica di Milano) anche in relazione all’incerta qualificazione giurisdizionale della prestazione di lavoro, dalla disciplina contenuta nel D.L. n. 101/2019 deriva, comunque, una singolare situazione: per quanto riguarda i riders e solo per loro, benché collaboratori organizzati dalla piattaforma, valgono i diritti riconosciuti dal nuovo Capo V-bis del D.Lgs. n. 81/2015, mentre per tutti gli altri platform workers, nel caso in cui il giudice li valuti come tali, si applicheranno, ex art. 2, comma 1, del medesimo decreto, le ben maggiori tutele, soprattutto retributive, previste per il lavoro subordinato, la qual cosa, a ben vedere, suona proprio come una beffa.
 
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