Rassegna stampa

“Professione e genere, così l’utilizzo del femminile penalizza (ancora) il ruolo – Il caso “avvocata””, l’articolo a firma di Giulietta Bergamaschi su Open online

Una recente indagine condotta dalla Fondazione Bruno Kessler conferma ancora una volta il pregiudizio dietro a una donna che esercita la professione...

Una recente indagine condotta dalla Fondazione Bruno Kessler conferma ancora una volta il pregiudizio dietro a una donna che esercita la professione legale: esprimono maggiore autorevolezza e fiducia le donne che si fanno chiamare “avvocato” piuttosto che “avvocata”.

La nostra managing partner, Giulietta Bergamaschi, racconta ad Open la sua esperienza e come, da qualche anno a questa parte abbia deciso di farsi chiamare “avvocata” in coerenza con il suo impegno per le pari opportunità nel mondo del lavoro e con il suo essere (non fare la) giuslavorista.

“Sono convinta del fatto che declinare al femminile professioni, ruoli e funzioni sia un fondamentale passo verso il cambiamento culturale a favore delle pari opportunità, del riconoscimento delle diversità, del rispetto delle differenze di genere, con l’obiettivo di incrementare la quota dell’occupazione femminile e contribuire alla crescita economica del paese.”

Purtroppo la strada per la parità di genere è ancora lunga come dimostrano i dati rilasciati dal Global Gender Gap del World Economic forum pubblicato a luglio 2022, dove l’Italia si posiziona al 63° posto nel mondo su 146 paesi in termini di parità di genere; sempre secondo il rapporto, ci vorranno 132 anni per raggiungere la parità a livello globale. In Italia, le donne rappresentano la maggioranza della popolazione, ma lavorano meno rispetto agli uomini: una donna su due non lavora. La media europea è pari quasi al 68%. Le donne italiane inoltre guadagnano meno dei colleghi uomini, a parità di mansioni e competenze, anche se il divario si è di recente ridotto.

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