Tre anni di legge Cirinnà ma l’omogenitorialità è ferma. E (alcune) aziende si organizzano

17 maggio 2019 – giornata internazionale contro l’omofobia. Pubblichiamo di seguito un articolo pubblicato da Open sul tema della...

17 maggio 2019 – giornata internazionale contro l’omofobia. Pubblichiamo di seguito un articolo pubblicato da Open sul tema della omogenitorialità e in particolare sullo stato dell’arte delle famiglie arcobaleno a tre anni dall’entrata in vigore della Legge Cirinnà. Come si sono organizzate e/o si stanno organizzando le aziende per tutelare i propri dipendenti in fatto di omogenitorialità alla luce del vuoto normativo?
Tra le varie voci, anche un commento della Managing Partner Giulietta Bergamaschi, in qualità di membro dell’associazione Parks – Liberi e Uguali.
Il 17 maggio è la giornata internazionale contro l’omofobia. Nonostante i passi avanti sulle unioni civili, in Italia non esiste una legislazione che tuteli il genitore sociale, e la decisione sul riconoscimento o meno del figlio spetta unicamente alla giurisprudenza. Alla luce del vuoto normativo, le aziende si stanno organizzando autonomamente per fornire i necessari benefit alle famiglie arcobaleno.
Dall’approvazione della Legge Cirinnà in Italia sono state celebrate più di 7mila unioni civili tra persone delle stesso sesso. A oggi però, la genitorialità di entrambi i partner è raramente riconosciuta, nel caso in cui la coppia abbia un figlio. Per le coppie omosessuali unite civilmente, il riconoscimento della genitorialità del secondo partner rimane insabbiata in un vuoto normativo.
Questo vuoto è in parte colmato dalla giurisprudenza: le «stepchild adoption», le adozioni del figlio del partner, sono infatti gestite caso per caso dai tribunali. La decisione è rimessa all’arbitrarietà del magistrato e le coppie devono avere la fortuna di trovarsi di fronte ai giudici giusti.
Cosa dice la legge Cirinnà
Era il  20 maggio 2016 quando, dopo vari compromessi tra le parti, l’iter parlamentare della legge Cirinnà si è concluso. Con l’entrata in vigore della 76/2016, le unioni civili hanno fatto ufficialmente il loro ingresso nel diritto di famiglia. Nonostante la conquista, il matrimonio rimane un’istituzione ben distinta dalle unioni civili: a differenza di altri paesi dell’Europa occidentale, in Italia la differenza tra le due permane sia a livello costituzionale (si fondano su articoli diversi della Costituzione) sia di legge ordinaria.
Per non contravvenire al terzo articolo della Costituzione («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale»), la legge ha permesso il riconoscimento dei congedi matrimoniali, dei permessi mensili previsti dalla ex 104, dei congedi straordinari per assistere partner e familiari in difficoltà etc. Tutto, ma non i congedi parentali.
«Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», si legge al comma 20 dell’articolo 1. La questione dell’adozione per le coppie omogenitoriali era, e resta, un tabù parlamentare. E il genitore sociale (cioè il partner che non contribuisce biologicamente alla gravidanza) viene tagliato fuori da qualsiasi riflessione sulla genitorialità.
Se Maometto non va alla montagna.. quando le aziende superano le mancanze dello Stato
«Un genitore sociale che non è riconosciuto non può prendersi i permessi per malattia dei figli», ha spiegato a Open l’avvocatessa Giulietta Bergamaschi, membro di Parks, associazione che si occupa di diversità in ambito aziendale. «Nessun permesso previsto dalla 104, nessuno sgravio fiscale, nessun congedo».
Ma la distanza tra i tabù del Parlamento e la realtà dei fatti – nonché le esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici – ha creato un bug su cui alcune aziende hanno scelto di intervenire in maniera autonoma.
«Dopo l’approvazione della versione finale della legge Cirinnà abbiamo capito che la questione della genitorialità era ancora tutt’altro che risolta», ha spiegato a Open Sarah Bonte, CSR Manager presso CNPVita, «Abbiamo capito che per tenere fede ai valori dell’azienda, avremmo dovuto farci carico di provvedimenti non previsti dallo Stato».
In altre parole, CNPVita – come tante altre aziende italiane – equipara a proprie spese le tutele e i benefit dei genitori sociali a quelle dei genitori biologici, a patto che questi siano uniti civilmente. Questo prevede permessi particolari per eventuali malattie dei figli, assistenza sanitaria per gli stessi, contributi per l’iscrizione al nido e possibilità di telelavoro se il bambino ha meno di 10 anni. Il genitore non biologico, sia nelle coppie gay sia in quelle lesbiche, fa riferimento ai congedi previsti tradizionalmente per il padre. Può usufruire, cioè, di massimo 5 giorni di permesso obbligatorio.
«Nonostante la legge Cirinnà abbia colmato una lacuna importante in merito ai rapporti omosessuali, siamo tutti consapevoli che ancora manca un pezzo molto importante. Non possiamo fare finta che non esistano certe situazioni: ormai i tempi ci impongono di intervenire», conclude Bonte.
Quando l’azienda è pronta ma la burocrazia no
La questione, comunque, presenta difficoltà su più livelli. Perché anche quando il genitore sociale viene riconosciuto dal Tribunale, non è detto che l’esercizio del diritto sia immediatamente garantito. Come fa notare Ferdinando Poscio, avvocato di Famiglie Arcobaleno, uno dei problemi principali è costituito dalla burocrazia.
È il caso del portale online dell’Inps, al quale bisogna necessariamente far riferimento per scaricare i moduli per riconoscimento, deleghe o congedi: anche nel caso in cui entrambi i partner siano legalmente riconosciuti come genitori, le procedure sono bloccate se i genitori vengono riconosciuti dello stesso sesso.
«L’Inps ha un sistema informatico che nel momento in cui si inserisce il codice fiscale di due genitori dello stesso sesso blocca qualsiasi operazione» riferisce Poscio. L’assenza di una legge che riconosca automaticamente il figlio di una coppia concepito, per esempio, tramite fecondazione assistita, fa si che per i primi mesi se non anni della vita del bambino, uno dei due genitori possa non venire riconosciuto come tale. E proprio «nei primi mesi di vita del bambino, quelli in cui ce ne sarebbe più bisogno», aggiunge Poscio.
Tra l’altro, la step-child adoption, almeno per come è stata riconosciuta finora, non equivale a un’adozione «piena». Anche se viene stabilito un legame di filiazione, il figlio non ha nessun legame giuridico con i membri della famiglia del genitore adottivo. Un bambino adottato tramite step-child adoption non è per esempio nipote dei fratelli o dei genitori della madre o del padre adottivo. Ancora più paradossalmente, se i due partner adottano reciprocamente il figlio biologico dell’altro, i bambini diventano figli di entrambi, ma non fratelli tra loro.
Lo stato delle cose, visto da chi ha scritto la legge 
Dove stiamo andando? «Con questo governo non andremo mai e poi mai avanti sull’omogenitorialità» è il commento di Monica Cirinnà, intervistata da Open, «Un governo fatto da un partito che ha tradito i bambini arcobaleno rifiutandosi di approvare il primo emendamento il 16 febbraio».
La parlamentare si riferisce a quello che è stato ribattezzato il #dietrofront5stelle, episodio in cui il M5S, bocciando un aspetto procedurale del dibattito in Senato, ha finito per compromettere la diretta approvazione della legge 76, sacrificando di fatto l’emendamento sulla Step Child Adoption. «Non li vedo ai pride, non li vedo a fianco dei ragazzini gay bullizzati. Non li trovo mai da nessuna parte. O danno un segno o sono esattamente come la Lega, finora non ho visto nemmeno una proposta sui diritti da parte di questo governo», conclude Cirrinà.