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Perchè conviene la Diversity nel mercato del lavoro?

Spesso, quando si parla dei valori dell’inclusione e della diversity in azienda gli interlocutori sembrano pensare che sia solo un argomento...

2017_8-marzo_LexellentSpesso, quando si parla dei valori dell’inclusione e della diversity in azienda gli interlocutori sembrano pensare che sia solo un argomento “buonista”, che riguarda solo un’eventuale sfera etica del lavoro e non aspetti molto precisi che toccano la produttività e i ricavi di un’azienda. Ma nelle stesse aziende ci capita sempre più spesso, per esempio, di sentire direttori del personale e amministratori delegati che affermano di aver urgente bisogno di «assumere persone qualificate con caratteristiche specifiche che, semplicemente, sul mercato non ci sono». Frasi del genere vengono ripetute talmente tante volte che probabilmente si tratta di un problema urgente e tutt’altro che secondario. Eppure manca la coscienza che una risposta possibile a quest’esigenza può venire proprio da un diverso approccio al problema della diversity.
Il mercato del lavoro sembra vedere masse crescenti di lavoratori non qualificati che vorrebbero entrare nel mondo del lavoro e pochi “eletti” iperqualificati corteggiatissimi che magari riescono anche a spuntare retribuzioni superiori al mercato: troppo pochi per le esigenze delle aziende e nella stragrande maggioranza maschi. E se donne, donne che hanno dovuto venire a patti con numerosi sacrifici, imponendosi un rigore che agli uomini non è richiesto.
Un punto di vista solo parziale? I numeri dimostrano il contrario. Uno studio recente della KPMG  sostiene che nei paesi industrializzati ci sarebbero almeno 100 milioni di donne qualificate, cioè perfettamente in grado di ricoprire posizioni di responsabilità e tecnicamente complesse, che hanno lasciato il loro impiego per dedicarsi alla famiglia. Una scelta irreversibile? Fino a qualche anno fa, sì: o manager o mamma. O la carriera o la famiglia. Oggi le aziende più avvedute, le multinazionali, fanno da apripista perché hanno una visione globale che le aiuta nella capacità di interrogarsi sul futuro, hanno cominciato ad accorgersi di questa “miniera” di competenze e capacità inutilizzate e a puntare ad assunzioni mirate proprio in quest’area. Di qualche giorno fa la notizia di una multinazionale inglese delle telecomunicazioni che punta ad assumere in tre anni mille donne (non solo ex dipendenti) che sono state a casa dopo la maternità fino a dieci anni.
È solo un esempio possibile di un utilizzo inclusivo della diversity che offre alle aziende la possibilità di trovare le risorse che mancano o risorse migliori, più qualificate, più motivate.  Anche le PMI, se vogliono rimanere competitive in un mercato globale sempre più difficile, non possono permettersi di ignorare una “miniera” del genere, ricordando anche qualche altro dato riportato da Istat ed Eurostat nella monumentale ricerca del 2013 sul lavoro femminile in Italia realizzata dall’UE e da Italia Lavoro: nel nostro paese le donne occupate sono meno della metà del totale (il 46,1%) e meno di un terzo (il 30,8%) al sud. Il tasso di laureate occupate (70,1%) è di nuovo il più basso d’Europa, anche se è dimostrato che le laureate italiane sono in media molto più in gamba dei maschi, tant’è che a Berlino e Londra (due delle destinazioni privilegiate per la fuga dei cervelli) lavorano più italiane laureate che italiani, mentre in Italia le donne dirigenti sono meno del 13% del totale. Nel 2010, in Italia, la media delle donne che lasciava il lavoro dopo una maternità era ancora al 25%, nel 2015, secondo l’Ocse, siamo ancora intorno al 22%. In Italia la platea per effettuare la “ricongiunzione” delle madri con il posto di lavoro non è di pochi casi sparuti. Stiamo parlando di un universo di oltre un milione e mezzo donne, fra cui anche laureate in materie tecniche, alcune con esperienze di lavoro molto significative.
Noi di Lexellent stiamo ragionando su questi fattori, perché siamo convinti che è anche da qui che nasceranno le migliori opportunità per le aziende che avranno successo nei prossimi anni. E che l’inclusione sia una delle chiavi di lettura per un mondo del lavoro di oggi e di domani.