Pubblichiamo di seguito l’articolo a cura di Giulietta Bergamaschi e Alberto Buson su Diritto24. Il contributo analizza lo stato dell’arte a 20 anni dall’emanazione della Legge 23 marzo 1999 n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.
Con la Legge 23 marzo 1999, n. 68 recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili“, si è cercato di superare un sistema normativo, fino a quel momento, a vocazione puramente assistenziale, ponendo le basi per la costruzione di un modello di piena (?) inclusione sociale.
Finalità della legge è, infatti, quella di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, attraverso mirati servizi di sostegno e di collocamento (come, ad esempio, il c.d. “Collocamento mirato” di cui all’art. 2).
Lo scopo che si prefigge il legislatore è, dunque, quello di favorire, anche attraverso la previsione di assunzioni obbligatorie, l’inserimento all’interno delle aziende di persone con disabilità, le quali altrimenti rischierebbero di essere escluse dal mondo del lavoro e di rimanere emarginate dalla nostra stessa società.
Passando ad analizzare i contenuti della norma, si può osservare come all’art. 1, comma 1, vengono individuate le diverse categorie di soggetti interessati all’applicazione delle disposizioni normative in essa contenute.
Per tali persone, così come identificate dall’art. 1, il legislatore prevede, all’art. 2, il c.d. “Collocamento mirato”, intendendo per tale “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”.
Il Collocamento mirato si concretizza poi attraverso l’istituto delle assunzioni obbligatorie, di cui al successivo art. 3 della legge in esame.
Con tale disposizione normativa, la Legge 68/99 ha previsto per i datori di lavoro, sia privati che pubblici, l’obbligo di assumere i lavoratori appartenenti alle categorie di cui all’art. 1, nella misura che segue:
a) 7% dei lavoratori occupati, se la società occupa più di 50 dipendenti;
b) 2 lavoratori, se la società occupa da 36 a 50 dipendenti;
c) 1 lavoratore soltanto, se la società occupa da 15 a 35 dipendenti.
Al riguardo, si deve precisare che la determinazione del numero di persone affette da disabilità da assumere obbligatoriamente è dato dal computo, tra gli stessi dipendenti, di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato (art. 4, L. 68/99). Tra l’altro dal 1° gennaio 2018 è scattato l’ulteriore obbligo per le imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti di assumere un lavoratore disabile anche se non vi sono state nuove assunzioni.
Il legislatore, oltre ad istituire servizi mirati di collocamento (art. 6) e disciplinare le modalità delle assunzioni obbligatorie (art. 7), ha poi previsto, nel rispetto dell’art. 33 del Regolamento UE n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, specifici incentivi a favore di quei datori di lavoro che assumono persone affette da disabilità con contratti a tempo indeterminato.
Allo scopo, dunque, di agevolare ulteriormente l’inserimento nel mondo del lavoro di tali persone, l’art. 13 ha concesso una serie di incentivi economici, da calcolarsi sulla retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, che variano in funzione del grado di riduzione della capacità lavorativa.
Dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 151/2015, gli incentivi di cui possono beneficiare i datori di lavoro che assumono lavoratori disabili sono i seguenti:
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% –› 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 36 mesi;
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disabili con riduzione della capacità lavorativa tra il 67% e il 79% –› 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 36 mesi;
• Per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori con disabilità psichica ed intellettiva con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% –› 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con durata dell’incentivo pari a 60 mesi;
Viene, inoltre, riconosciuta un’agevolazione anche per le assunzioni a tempo determinato di durata non inferiore a 12 mesi di persone affette da disabilità psichica ed intellettiva con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%. In tal caso l’incentivo spetta per tutta la durata del contratto.
Con la Legge di Bilancio 2019, sono state inoltre previste nuove risorse finanziarie destinate a tali incentivi (la L. 30 dicembre 2018, n. 145 con l’art. 1, comma 520, ha disposto infatti che “La dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili di cui all’art. 13, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68, è incrementata di 10 milioni di euro per l’anno 2019”).
Dopo una rapida panoramica degli istituti più importanti disciplinati dalla legge in commento, appare doveroso domandarsi se a distanza di 20 anni dalla sua entrata in vigore l’obiettivo di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone affette da disabilità nel mondo del lavoro sia stato effettivamente raggiunto dal legislatore italiano.
In tale quadro, occorre anche considerare che il D.Lgs. n. 151/2015 aveva previsto l’emanazione di uno o più decreti legislativi (da adottarsi entro 180 giorni) con i quali definire specifiche linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità al fine di favorirne l’inserimento lavorativo sulla base di determinati principi quali: i) la promozione di una rete integrata con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio e con l’INAIL; ii) la promozione di accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari e con le altre organizzazioni del terzo settore; iii) l’individuazione di modalità di valutazione bio-psico-sociale della disabilità e la definizione dei criteri di predisposizione dei progetti di inserimento lavorativo che tengano conto delle barriere e dei facilitatori ambientali rilevati; iv) l’analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro da assegnare, anche con riferimento agli accomodamenti ragionevoli che il datore di lavoro è tenuto ad adottare; v) la promozione dell’istituzione di un responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro, con compiti di predisposizione di progetti personalizzati e di risoluzione dei problemi legati alle condizioni di lavoro (c.d. figura del “Disability manager”); vi) l’individuazione di buone pratiche di inclusione lavorativa.
Ebbene, nonostante la volontà di procedere ad una riforma del collocamento mirato, ad oggi, non sono stati ancora emanati i decreti legislativi attuativi.
Sebbene dai dati dell’Ottava Relazione al Parlamento sul diritto al lavoro delle persone disabili relativa al biennio 2014-2015, presentata dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali il 28 febbraio 2018, emerga rispetto al passato un aumento del numero degli avviamenti effettivi al lavoro con una crescita,fra i contratti stipulati, della quota di quelli a tempo indeterminato, il tasso di occupazione delle persone affette da disabilità continua a rimanere di gran lunga inferiore rispetto a quello dei lavoratori senza disabilità.
Ad oggi, quindi, nonostante la legge preveda a favore delle imprese anche degli importanti incentivi per le assunzioni, la mancata attuazione della riforma del collocamento mirato fa pensare che l’obiettivo prefissato dalla Legge n. 68/99, a distanza di 20 anni, non sia stato affatto raggiunto.
La piena realizzazione degli scopi prefigurati dal legislatore del 1999, dunque, non potrà che passare da un sistema normativo efficacemente e concretamente volto a garantire un utile inserimento del disabile nell’organizzazione aziendale attraverso la scelta del posto di lavoro più adatto alle caratteristiche specifiche del soggetto protetto. Soltanto in tale modo si potrà neutralizzare il più possibile l’handicap e valorizzare completamente la professionalità di tali persone, al pari di ogni altro lavoratore presente in azienda.
L’articolo è disponibile anche qui.