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Lavoro agile: le prospettive di sviluppo.

In un momento storico delicato per il lavoro e la concertazione, il fatto di svolgere la propria attività da casa potrebbe essere visto solo come un...

In un momento storico delicato per il lavoro e la concertazione, il fatto di svolgere la propria attività da casa potrebbe essere visto solo come un sistema furbo per tagliare i costi messo in atto da parte delle aziende e non come l’opportunità di gestire in modo più flessibile la propria giornata lavorativa. In effetti, il telelavoro è spesso una modalità imposta da motivi di forza maggiore. Diverso è il caso del lavoro agile, che si propone di

“migliorare la produttività, rendendo il lavoro più conciliabile con la vita personale del dipendente”

Non deve essere necessariamente svolto solo in ufficio o da casa e richiede una sintonizzazione continua fra dipendente e datore di lavoro per quanto riguarda location, tempi e obiettivi. Ne vale la pena? Questa modalità di lavoro è adatta a tutti i settori? Siamo pronti ad adottarla? In questa parte dell’intervista all’avvocato Marco Giangrande, esperto di diritto del lavoro presso lo studio legale Lexellent, abbiamo cercato di rispondere a queste domande.

Che conseguenze potrebbe portare l’adozione del lavoro agile sul piano produttivo?

Il lavoro agile nasce proprio per migliorare la produttività, tagliare i costi e gli spostamenti inutili, ottimizzare i tempi e aumentare la qualità della vita del dipendente. Oggi grazie agli strumenti elettronici e informatici a disposizione, certe tipologie di lavoro possono essere svolte potenzialmente ovunque. La novità dell’approccio consiste nello slegare la prestazione da orari di lavoro fissi e quindi dalla quantità di lavoro legandola invece alla qualità del lavoro stesso, misurata sugli obiettivi. Non essendoci un controllo orario perché non si passa il badge la qualità della prestazione viene valutata in base ai risultati. Ed è chiaro che non tutte le mansioni lo consentono.
Se un dipendente deve portare a casa un certo numero di contratti con i clienti o un certo numero di articoli, tanto per fare due esempi che si prestano, ed è in grado di organizzarsi per farlo nel minor tempo possibile o quando gli è più comodo, potrà recuperare ore preziose da dedicare a sé, alla famiglia, al tempo libero. Risultato: meno dipendenti che contano le ore vivacchiando in ufficio e riempiendo i tempi morti sui social network e più persone motivate a lavorare in modo agile ed efficiente, mettendoci il tempo giusto.

Che prospettive ci sono per questa forma contrattuale?

Sulla carta buone. Dalle ricerche sul tema emergono dati interessanti: chi lavora fuori dall’azienda è mediamente più produttivo dei dipendenti che timbrano il cartellino (+35-40% di produttività), si assenta meno (-63% di assenteismo), è più soddisfatto e difficilmente lascerà l’azienda. Cosa che risparmia all’azienda stessa lo sforzo di investire nella formazione di una nuova persona. Una ricerca prodotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milanostima che l’adozione di pratiche di lavoro agile in Italia potrebbe significare

“27 miliardi in più di produttività e 10 miliardi in meno di costi fissi”

Nel caso in cui, ovviamente, questa forma di lavoro fosse adottata in modo consistente e non è da dare per scontato nel Paese dove fino a poco tempo fa c’era il mito del posto fisso e della poltrona in ufficio.

Dice che non siamo ancora pronti ad adottare il lavoro agile?

Lo dicono i dati. Prendiamo il telelavoro che al momento è la forma che più si avvicina al lavoro agile. Secondo questa stessa ricerca, è presente nel 20% delle imprese in Italia ma è reso disponibile a tutti i lavoratori solo nel 2% dei casi. Nel 2013 la percentuale dei telelavoratori che ne hanno usufruito per più di un quarto del loro tempo lavorativo è stata appena del 6,1%.Quindi le ricerche dimostrano da una parte che il lavoro agile potenzialmente ha un grande valore, dall’altra che la forma contrattuale corrente che più gli si avvicina in Italia è poco utilizzata perché è poco conosciuta e forse perché non c’è molta predisposizione.
Sui social network sta però crescendo l’interesse dei manager e alcune aziende, che per lo più sono multinazionali americane o inglesi, stanno cominciando ad applicare quando possibile anche in Italia regolamenti aziendali basati sullo smart working. Non a caso nei Paesi d’origine questa modalità di lavoro è già ben rodata. Da noi bisognerà cambiare forma mentis ma i dati dimostrano che ne vale la pena.