Raggiungere l’ufficio attraversando tutti i giorni il traffico cittadino e trascorrervi le canoniche otto ore anche quando non ci sono mansioni da svolgere può essere fonte di stress e frustrazione. Non mancano poi le polemiche sull’assenteismo, la scarsa produttività e la sovrabbondanza di personale in alcune aziende pubbliche. Un’alternativa di cui molto si è parlato di recente, soprattutto da quando è stata depositata in Parlamento una proposta di legge sul tema, è lo smart working, altrimenti detto lavoro agile. Si lavora per obiettivi e non più ad ore in qualsiasi location che consenta lo svolgimento delle mansioni previste. Una nuova modalità che, riorganizzando la giornata lavorativa,
“permette di recuperare tempo, aumentare la produttività e tagliare i costi inutili”
Non è il telelavoro e non è il coworking: per quanto abbia punti in comune con entrambe queste modalità, in Italia non è ancora normato dalla legge dal punto di vista contrattuale. E forse non siamo ancora pronti ad applicarlo. Per fare chiarezza ne abbiamo parlato con l’avvocato Marco Giangrande, esperto di diritto del lavoro presso lo studio legale Lexellent.
Che differenza c’è fra lavoro agile e coworking?
Il lavoro agile è una forma contrattuale rivolta ai lavoratori subordinati proprio perché fino ad ora non hanno goduto della stessa libertà e flessibilità organizzativa che hanno i lavoratori autonomi. Il coworking è la messa a disposizione di uno spazio comune molto usato dai liberi professionisti ma di cui in teoria potrebbe usufruire anche il lavoratore agile perché l’idea è di consentire al dipendente, che normalmente lavora in azienda con orari fissi e prestabiliti, di svolgere la prestazione in qualsiasi luogo previo accordo con il datore di lavoro. A casa, in uno spazio condiviso, ma anche all’estero o in una sala d’aspetto in aeroporto. L’importante è che sia in grado di eseguire le mansioni richieste. È quindi diverso dal telelavoro, forma contrattuale già prevista in Italia, che è il lavoro solo da casa. Il lavoratore agile può tornare in ufficio in qualsiasi momento. Una settimana magari lavorerà da casa e l’altra in azienda. Oppure la mattina a casa e i pomeriggi in azienda. Oppure un certo numero di ore in ufficio, e il resto altrove, sempre previo accordo con il “capo” per sintonizzare le reciproche esigenze.
Lo spazio del coworking così come l’ufficio è un luogo assicurato e certificato per il lavoro. Che garanzie può avere un lavoratore agile che opera in altri contesti?
Alla base del lavoro agile ci deve essere un accordo scritto su base volontaria fra le due parti coinvolte, datore di lavoro e dipendente, e deve prevedere delle forme di tutela della sicurezza del secondo offerte dal primo. Per capirci, se in ufficio accade un infortunio a un lavoratore subordinato subentrano l’INAIL ed eventualmente l’assicurazione a coprire il danno perché si tratta di un infortunio sul lavoro. La stessa tutela dovrebbe essere garantita al lavoratore agile in ambito domestico o altrove, ovunque si trovi nel pieno svolgimento delle sue mansioni lavorative. Insomma, con questo contratto il datore di lavoro dovrebbe assumersi laresponsabilità di ciò che accade al lavoratore dipendente ovunque stia lavorando.
Perché usa il condizionale?
Perché stiamo parlando di un’ipotesi, di un’opportunità che non è ancora stata normata dalla legislazione italiana. Più precisamente lo smart working è l’oggetto di una proposta di leggeche è stata depositata il 29 gennaio 2014 da Alessia Mosca del PD, Barbara Sanltamartini di NCD e da Irene Tinagli di Scelta Civica. Ed è tuttora al vaglio del Parlamento. Quello che le ho detto è quello che è stato recepito nella proposta basandosi sulle esperienze di altri Paesi dove questa tipologia di lavoro è già prassi comune.
Ciò non toglie che anche da noi per certe tipologie professionali già esistano delle forme contrattuali che consentono al dipendente di lavorare al di fuori dell’ufficio – pensiamo ai lavoratori commerciali che sono sempre in giro dai clienti – ma non è il lavoro agile. Per funzionare, cioè per aderire alle esigenze personali e professionali delle parti garantendo la produttività, questa forma contrattuale flessibile molto probabilmente prevederà degli obblighi di informativa e preavviso e dei calendari prestabiliti per potersi organizzare al meglio. E poiché deve essere mantenuta la possibilità di accedere ai locali aziendali, l’idea è anche quella di ridurre eventualmente le postazioni in azienda mettendole a disposizione dei dipendenti a rotazione.
E per quanto riguarda la possibilità di accedere a spazi di coworking?
Questo è un aspetto che ancora non è stato considerato dalla proposta di legge ma dovrà esserlo perché, se per il lavoro da casa si può fare riferimento alla normativa sul telelavoro, il fatto che il lavoratore acceda a uno spazio di coworking pagando un affitto e che questo sia a carico del datore di lavoro deve essere previsto in modo esplicito nell’accordo.