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Approfondimenti

LAVORARE TROPPO PUO’ FAR MALE ALLA SALUTE DEI DIRIGENTI .. E AL LORO PORTAFOGLIO.

  • 13 Ott. 2016
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Un orientamento consolidato della Giurisprudenza, anche di legittimità, afferma che il dirigente perde il diritto all’indennità sostitutiva delle...

Un orientamento consolidato della Giurisprudenza, anche di legittimità, afferma che il dirigente perde il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute quando, pur potendo determinare il periodo di godimento, non sfrutta questa possibilità.
Il caso sottoposto a giudizio è quello, frequente, di un dirigente che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, si vede negare la liquidazione dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute entro i successivi 18 mesi. Si tratta, spesso, di somme importanti, che danno luogo a contenzioso. La norma utile a comprendere il principio più volte espresso dalla Cassazione è l’art. 10 del D. Lgs. n. 66/2003, richiamata negli anni successivi dal Legislatore e dalla contrattazione collettiva. La norma prevede l’obbligo di godimento, in caso di richiesta del lavoratore, per almeno due settimane nell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.
Fermo il principio espresso anche dalla Suprema Corte (tra le più commentate, v. Cass., Sez. lavoro, n. 12226/2006), al dirigente non rimane che provare la ricorrenza di eccezionali e obiettive necessità aziendali che impediscono tale godimento. Si tratta di prova ardua, che deve riguardare un periodo temporale molto lungo, l’anno in cui le ferie sono maturate e l’anno e mezzo in cui dovevano essere necessariamente godute. L’impedimento deve riguardare tutto il periodo.
L’esimente è stata pure valutata dalla Suprema Corte, secondo cui non può desumersi una presunzione per tutti i dirigenti di piena autonomia decisionale nella scelta del se e quando godere delle ferie, essendo evidente che tale potere non spetta a tutti i dirigenti in quanto tali. (a partire da Cass., Sez. lavoro, n. 13953/2009). Anche il potere di autodeterminare le proprie ferie costituisce, per l’effetto, oggetto di prova “sul fatto”, dovendosi condividere che non accompagna sempre la qualifica di dirigente. Sul dirigente ricade l’onere di provare anche questo elemento.
La pratica di accumulare ferie residue da liquidare al momento della cessazione del rapporto in modo da incrementare le competenze di fine rapporto è, dunque, rischiosa. Tale scelta, nel caso di superamento dei limiti indicati, espone il dirigente al rischio di perdere le ferie e la loro monetizzazione.

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